Muoversi 1 2022
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L’UNIONE FA LA FORZA

L’UNIONE FA LA FORZA

intervista a Giuseppe Ricci

di Marco D’Aloisi


Giuseppe Ricci

Presidente
Confindustria Energia

Come nasce, quali sono i punti di forza e gli obiettivi del “Manifesto Lavoro-Energia” che avete presentato nelle scorse settimane insieme ai sindacati?

Il “Manifesto” nasce dalla consapevolezza che la decarbonizzazione e la transizione energetica non possono prescindere dalla salvaguardia dell’occupazione e dalla riconversione professionale dei lavoratori. Per questo già nella primavera 2020, in pieno lockdown, sindacati di categoria e Confindustria Energia hanno costituito un Tavolo Strategico in cui definire proposte concrete che salvaguardino obiettivi ambientali e occupazione.

I punti di forza del Manifesto sono tre: il valore e l’imprescindibilità della sostenibilità integrata (ambientale-economica-sociale) la necessità di adottare un approccio olistico concreto e razionale, rifiutando quello ideologico; il processo partecipativo, che ha visto il coinvolgimento dei diversi principali attori della transizione: parti sociali, istituzioni, università, imprese, associazioni dei consumatori, che sono state in grado di convergere su proposte concrete e fattibili. 

    

Il Presidente del Consiglio e il ministro Cingolani hanno parlato di un modello anche per altri settori soprattutto perché siete riusciti a mettere d’accordo diversi punti di vista, a volte distanti. Stiamo finalmente uscendo dalla logica della contrapposizione?

È stata la forza del modello partecipativo, ben riconosciuto da Draghi e da Cingolani. Mentre su altri tavoli continuava la contrapposizione su basi spesso ideologiche, nel nostro caso le premesse della sostenibilità integrata e dell’approccio olistico hanno permesso di guidare lo sviluppo del Manifesto e delle proposte. In Confindustria Energia convivono da sempre componenti diverse dell’energia, come le rinnovabili, il gas, i prodotti petroliferi, i biocarburanti, ecc., che sono solo apparentemente in contrapposizione perché le Associazioni che rappresentiamo hanno maturato la consapevolezza che, per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, è necessario ricercare sinergie e complementarietà piuttosto che farsi la guerra.

Una parte del mondo dell’ambientalismo accusa, soprattutto le Istituzioni, di agire poco sul fronte del contrasto al cambiamento climatico. Siamo veramente all’anno zero?

Il problema di molti ambientalisti è che ragionano solo in modo ideologico, senza considerare il problema nella sua interezza. L’approccio ideologico è il peggior nemico della transizione energetica perché la rende più difficile e costosa, aumenta il rischio di non raggiungere gli obiettivi e, con il pesante costo sociale che ne deriva, rischia di scatenare un rigetto da parte della società civile. Il recente esempio dell’aumento del costo dell’energia è emblematico perché di colpo l’Europa si è accorta che il re è nudo e finalmente si sta riparlando del ruolo del gas nella transizione e persino del nucleare.

Mentre su altri tavoli continuava la contrapposizione su basi spesso ideologiche, nel nostro caso le premesse della sostenibilità integrata e dell’approccio olistico hanno permesso di guidare lo sviluppo del Manifesto e delle proposte. In Confindustria Energia convivono da sempre componenti diverse dell’energia, che sono solo apparentemente in contrapposizione perché le Associazioni che rappresentiamo hanno maturato la consapevolezza che, per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, è necessario ricercare sinergie

Un bel passo avanti rispetto alla posizione ideologica che ipotizza un modello energetico basato solo sulle rinnovabili classiche (solare e fotovoltaico), peraltro con un incremento della domanda elettrica dovuto alla forzata elettrificazione dei trasporti e dei consumi civili e industriali.

Forzare la crescita dei consumi elettrici quando la dipendenza dalle fonti fossili è ancora prevalente, non sono risolti i problemi dell’intermittenza delle rinnovabili e non ci si vuole affidare al gas come fonte di transizione, pone di fronte ad un bivio: accettare un sistema energetico non più sicuro e molto più costoso, oppure rilanciare le fonti energetiche più inquinanti come il carbone.

Voi avete proposto dieci punti concreti. Cosa servirebbe affinché tutto ciò non resti solo sulla carta?

Come auspicato proprio dal Premier, con il ministro Cingolani abbiamo concordato di proseguire il lavoro partendo non solo dal Manifesto, ma dall’elaborato che i tavoli hanno sviluppato in modo strutturato per produrre una serie di proposte concrete che consegneremo al governo già nelle prossime settimane.

 

Uno dei punti del “Manifesto” è quello di assicurare un costo dell’energia sostenibile per cittadini e imprese. Come ci si può riuscire e su quali leve si dovrebbe agire?

Purtroppo, l’escalation del costo dell’energia era prevedibile e gestibile se non si fosse adottato l’approccio ideologico di cui parlavo prima. La forte spinta alla decarbonizzazione che ha dirottato gli investimenti delle imprese dalle fonti tradizionali a quelle rinnovabili, la progressiva sostituzione del carbone con il gas da parte della Cina e lo stop al nucleare da parte di molti Paesi hanno fatto sì che l’offerta di energia non fosse adeguata ad una domanda che è repentinamente risalita dopo i lockdown, con l’ovvia conseguenza sui prezzi. Una soluzione è certamente riconoscere il ruolo del gas come fonte energetica di transizione e quindi massimizzare l’utilizzo delle risorse nazionali.

Inoltre, riflettere sull’incremento imposto dei consumi elettrici (nei trasporti e nell’industria e residenziale) perché aggraverebbe lo sbilancio tra domanda e offerta, optando di più per altre soluzioni low carbon. Tra queste, i biocarburanti per i trasporti, il biometano, l’idrogeno blu e la cattura e stoccaggio della CO2 per le industrie energivore.

Purtroppo, l’escalation del costo dell’energia era prevedibile e gestibile se non si fosse adottato l’approccio ideologico di cui parlavo prima. La forte spinta alla decarbonizzazione che ha dirottato gli investimenti delle imprese dalle fonti tradizionali a quelle rinnovabili, la progressiva sostituzione del carbone con il gas da parte della Cina e lo stop al nucleare da parte di molti Paesi hanno fatto sì che l’offerta di energia non fosse adeguata ad una domanda che è repentinamente risalita dopo i lockdown, con l’ovvia conseguenza sui prezzi

L’obiettivo comune è quello della transizione e della decarbonizzazione. A tale proposito parlate anche di neutralità tecnologica e di sperimentare tutte le strade. L’approccio del “Fit for 55” della Commissione europea è invece diverso. Quali correttivi servirebbero?

Il “Fit for 55” ha inseverito i già ambizioni obiettivi della SEN: al 2030 dovremo aver ridotto di ben 160 Mtonn/anno le emissioni di CO2 (16 Mtonn/anno quando dal 1990 ad oggi la riduzione media è stata di soli 3 Mtonn). Non è una sfida, è un’emergenza, che va affrontata concentrandoci solo sugli obiettivi, senza approcci ideologici. Non esiste un’unica soluzione. Non serve disquisire di idrogeno blu o verde, ma solo di idrogeno decarbonizzato (che è il vero obiettivo), non bisogna parlare solo di trasporto elettrico ma di trasporto decarbonizzato (biocarburanti, biometano, idrogeno low carbon, ecc.), le industrie cosiddette “hard to abate” debbono poter catturare la CO2 e confinarla con la CCS, le risorse fossili nazionali come il gas vanno sfruttate al massimo, cercando di sostituirle per quanto possibile alle analoghe importazioni. Inoltre, è fondamentale sviluppare e assicurare una filiera energetica italiana sui nuovi vettori energetici come il biometano, l’idrogeno, la cattura e trasporto della CO2, la valorizzazione dei rifiuti. Non possiamo permetterci di ripetere l’errore fatto con gli oltre 200 miliardi di incentivi alle rinnovabili (che stiamo ancora pagando in bolletta) in gran parte andati all’estero perché in Italia non si producono pannelli fotovoltaici.

 

Ha detto che il “Manifesto” vuole contribuire a far sì che la transizione diventi un’opportunità di crescita per il Paese e non lasci indietro nessuno. Sarà veramente così?

Se il nostro approccio e le nostre proposte verranno adottate la transizione potrà essere un’opportunità. Dalle valutazioni fatte dalle Associazioni di categoria emerge che, da una parte, con lo sviluppo delle rinnovabili, dell’idrogeno e del biometano previsti per raggiungere gli obiettivi “Fit for 55”, si potranno avere oltre 120.000 nuovi posti di lavoro, ma, dall’altra, ci sono circa 300.000 posti di lavoro a rischio nei settori tradizionali, ai quali si possono aggiungere parte dei 700.000 lavoratori dei settori energivori che rischiano la delocalizzazione se il costo dell’energia non sarà competitivo con quello degli altri Paesi. Il rapporto è 1 a 10 e per questo il tema della riconversione e trasformazione dei settori industriali tradizionali e del costo dell’energia sono fondamentali. Ancora una volta le nostre proposte di adottare tutte le soluzioni low carbon permetteranno di agevolare la trasformazione e la valorizzazione di settori industriali con elevatissimo know-how, infrastrutture esistenti e tessuto imprenditoriale locale già radicato sui territori, minimizzando il rischio di chiusure e decolalizzazioni.

Si potranno avere oltre 120.000 nuovi posti di lavoro, ma, dall’altra, ci sono circa 300.000 posti di lavoro a rischio nei settori tradizionali, ai quali si possono aggiungere parte dei 700.000 lavoratori dei settori energivori che rischiano la delocalizzazione se il costo dell’energia non sarà competitivo con quello degli altri Paesi. Il rapporto è 1 a 10 e per questo il tema della riconversione e trasformazione dei settori industriali tradizionali e del costo dell’energia sono fondamentali

Il Cite in una delle sue ultime riunioni ha discusso del possibile phase out delle automobili nuove con motore a combustione interna dal 2035.
Contemporaneamente ha ribadito il ruolo imprescindibile dei biocarburanti su cui siamo all’avanguardia. Come si conciliano le due cose?

Noi riteniamo che sia sempre un errore puntare su un’unica soluzione e mi auguro che non si arrivi a questa drastica decisione. Il motore a combustione interna ha fatto passi da gigante negli ultimi anni e può ancora migliorare molto le sue prestazioni, e non dimentichiamo i mezzi pesanti per i quali il motore a combustione interna resta l’unica tecnologia di diffusione di massa. Adottando l’approccio olistico e di neutralità tecnologia, da sempre promosso in Confindustria Energia, potremo ottimizzare il mix di soluzioni, massimizzandone l’applicazione dove è migliore il rapporto tra costi e benefici. Non dimentichiamo che l’età media dei veicoli in Italia è di quasi 15 anni e al 2030 con gli ambiziosi obiettivi del “Fit for 55” si prevedono meno di 8 milioni di veicoli elettrici leggeri su più di 38 totali circolanti), per cui le soluzioni low carbon, come i biocarburanti, possono contribuire in modo significativo alla decarbonizzazione dei trasporti fin da subito, utilizzando le infrastrutture esistenti. Ancora una volta l’approccio ideologico rischia di avere pesanti conseguenze su imprese e lavoratori.

Tutto il settore automobilistico europeo sta subendo l’impatto di queste decisioni e c’è il concreto rischio che gran parte della produzione (le batterie, ma non solo) sia delocalizzata al di fuori della UE.