Muoversi 1 2023
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Fusione nucleare: ancora tanta strada da fare

FUSIONE NUCLEARE: ANCORA TANTA STRADA DA FARE

di Cristiana Pulcinelli

Cristiana Pulcinelli

Giornalista scientifica

Cosa accadrà nei prossimi anni al settore della produzione di energia dall’atomo? La domanda è rimbalzata su quasi tutti i media mondiali dopo che il 13 dicembre scorso il Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti ha dato con una certa enfasi l’annuncio di un risultato sperimentale: per la prima volta da una reazione di fusione nucleare controllata è stata ottenuta più energia di quella che era servita per farla partire.

La fusione nucleare è il processo inverso rispetto alla fissione nucleare. Quest’ultima avviene quando un nucleo atomico di un elemento pesante (come l’uranio) si rompe e viene diviso in due nuclei di atomi più leggeri, le cui masse sommate non raggiungono la massa originaria. La perdita di massa dà origine all’emissione di una grande quantità di energia, secondo la nota equazione di Einstein E = mc2. La fusione consiste invece nell’unione dei nuclei di due atomi leggeri (in particolare deuterio e trizio, due isotopi dell’idrogeno) che danno vita al nucleo di un nuovo elemento (l’Elio) più pesante dei singoli elementi da cui si genera, ma il cui nucleo ha comunque una massa leggermente inferiore rispetto alla somma delle masse dei nuclei di partenza.  Dato che “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, anche in questo caso la massa persa si trasforma in energia liberata.

L'energia nucleare costituisce oggi circa il 10% della produzione di energia elettrica mondiale. È diffusa in 32 Stati che ospitano 422 reattori nucleari a fissione per una capacità installata di 378,3 GW. Ci sono inoltre 57 reattori in costruzione, la maggior parte dei quali in Cina, India, Turchia e Russia, con una capacità complessiva di circa 60 GW, mentre 17 reattori hanno sospeso l’attività, quasi tutti in Giappone. Quasi un centinaio sono in rogrammazione, specie in Asia

Tutta l’energia nucleare prodotta oggi al mondo viene ottenuta con la fissione nucleare, la cui storia è piuttosto recente. Comincia a Roma in un giorno del 1934, quando i ragazzi di via Panisperna guidati da Enrico Fermi bombardano l’uranio con neutroni rallentati grazie a un blocco di paraffina, ottenendo la prima fissione nucleare sperimentale. Da allora passarono 17 anni prima che, grazie a un reattore nucleare, venisse prodotta per la prima volta elettricità per scopi puramente civili.  Il 20 dicembre del 1951, infatti, la stazione sperimentale EBR-I, collocata vicino alla cittadina di Arco nello stato dell’Idaho (Stati Uniti), produsse tanta energia da illuminare
4 lampade da 200 Watt. Non era molta, ma era l’inizio di una nuova era. O almeno così si pensava.

Da allora molte cose sono cambiate e la fortuna dell’energia nucleare ha conosciuto alti e bassi. In seguito alla crisi petrolifera del 1973, ad esempio, ha avuto una grande espansione, ma dopo i due gravi incidenti di Three Mile Island (Stati Uniti) nel 1979 e di Chernobyl (ex URSS) nel 1986, il movimento antinucleare è cresciuto portando a una marcia indietro un po’ ovunque e in Italia al referendum che ha chiuso le centrali e bloccato la produzione. All’inizio degli anni Duemila, anche in conseguenza della preoccupazione per le emissioni di gas serra, si ventilava una rinascita del settore con la realizzazione di nuovi impianti, ma l’incidente alla centrale giapponese di Fukushima avvenuto nel 2011 bloccò di nuovo la spinta in avanti.

I dati più aggiornati della IAEA (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica), rilasciati a gennaio 2023, dicono che l’energia nucleare costituisce oggi circa il 10% della produzione di energia elettrica mondiale. È diffusa in 32 Stati che ospitano 422 reattori nucleari a fissione per una capacità installata di 378,3 GW. Ci sono inoltre 57 reattori in costruzione, la maggior parte dei quali in Cina, India, Turchia e Russia, con una capacità complessiva di circa 60 GW, mentre 17 reattori hanno sospeso l’attività, quasi tutti in Giappone. Quasi un centinaio sono gli impianti in programmazione, principalmente in Asia, mentre ad oggi sono gli Stati Uniti d’America ad ospitare la maggior quantità di reattori. In Europa gli impianti nucleari, presenti in 13 Paesi, hanno generato circa il 25,2% di tutta l’energia ottenuta nel 2021. Un dato che è diminuito del 20% dal 2006 ad oggi a causa soprattutto del crollo della produzione tedesca.

Questo è lo stato dell’arte sulla produzione di energia elettrica da fissione, altro capitolo è la ricerca che da anni si concentra sul processo di fusione nucleare.

La fusione nucleare è quella che avviene sul Sole e sulle stelle, ma già dagli anni Cinquanta del secolo scorso si è cominciato a pensare di copiare quello che avviene in cielo per la produzione di energia sulla Terra. In teoria sappiamo che questo processo può produrre un’enorme quantità di energia, e che, come la fissione, non produce inquinanti come l’anidride carbonica in grado di alterare il clima. Inoltre, può presentare dei vantaggi: innanzitutto, mentre i prodotti della fissione sono fortemente radioattivi, il prodotto della fusione è un gas, l’elio, innocuo per gli esseri umani. È vero che i materiali che compongono la parte interna della camera in cui è contenuto il plasma acquistano radioattività e devono essere adeguatamente trattati, ma si tratta di scarti radioattivi di livello medio-basso e quindi richiederebbero solo depositi di superficie. In secondo luogo, la reazione di fusione è intrinsecamente sicura in quanto è sufficiente una variazione rispetto al valore ottimale di densità del gas, temperatura ed efficacia del confinamento del gas stesso affinché la reazione si spenga. Quindi non possono verificarsi incidenti dovuti alla mancanza di controllo della reazione, come invece può avvenire (ed è avvenuto più volte) nel processo di fissione nucleare.

Il risultato conseguito nei laboratori Usa per la fusione nucleare è senz’altro interessante dal punto di vista scientifico, ma davvero siamo vicini a risolvere i nostri problemi energetici? Sembrerebbe di no. Kim Budil, direttore dei laboratori Lawrence Livermorelo ha detto chiaramente: avere elettricità in abbondanza dalla fusione nucleare è un obiettivo per il quale ci vorranno decenni

Tuttavia, il processo di fusione in un reattore è cosa complessa, tanto che, dopo tanti anni, siamo ancora in fase sperimentale. Innanzitutto, ottenere una fusione controllata richiede temperature altissime (100-150 milioni di gradi), ovvero quasi 10 volte la temperatura presente al centro del Sole. In anni di tentativi il risultato di ottenere un guadagno netto di energia, ovvero far sì che l’energia in uscita fosse di più di quella utilizzata per innescare la reazione nucleare, non è mai stato raggiunto. Almeno fino ad oggi. Nell’esperimento americano di cui parlavamo all’inizio dell’articolo, infatti, gli scienziati avrebbero centrato questo obiettivo utilizzando un’energia di 2,05 megajoules sul bersaglio per ottenere 3,15 megajoules, con un guadagno di 1,1 megajoules.

L’esperimento è stato eseguito al laboratorio Lawrence Livermore in California. Il laboratorio ha come principale obiettivo lo sviluppo di armi nucleari per il Governo degli Stati Uniti. Tra le numerose strutture contenute al suo interno c’è Il National Ignition Facility (NIF), un’installazione per la ricerca sulla fusione nucleare. La struttura, la cui costruzione è terminata nel 2009 ed è costata 3,5 miliardi di dollari, ha un ruolo importante nella ricerca sugli armamenti atomici perché riesce a mimare un’esplosione nucleare senza bisogno di test come quelli svolti a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale fino all’inizio degli anni Novanta in varie zone del pianeta. Il laboratorio si è ritagliato un ruolo anche nella ricerca sulla fusione da utilizzare per la produzione di energia civile.

Il metodo utilizzato al NIF è diverso da quello sperimentato in altri progetti attualmente in corso. È chiamato “a confinamento inerziale” e utilizza 192 giganteschi fasci di laser ad altissima energia per innescare reazioni di fusione dentro al reattore. L’altra tecnologia utilizzata è quella detta “a confinamento magnetico”. In questo caso vengono utilizzati reattori a forma di ciambella chiamati tokamaks entro i quali il gas di deuterio e trizio viene scaldato a temperature così elevate che gli elettroni vengono strappati via dai nuclei creando quello che si chiama “plasma”, una miscela di ioni ed elettroni all’interno della quale i nuclei, scontrandosi ad altissima velocità, si fondono rilasciando energia in forma di neutroni. Il problema di mantenere il plasma all’interno del reattore viene risolto utilizzando campi magnetici potentissimi, il cosiddetto confinamento magnetico.

Questa tecnologia è utilizzata da diversi reattori sperimentali, tra cui ITER, un progetto internazionale che vede la cooperazione tra Unione europea, Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti d’America, Corea del Sud e India. ITER è il progetto più avanzato al momento, in costruzione nel sud della Francia, però non è ancora il prototipo di centrale di produzione di energia elettrica ma solo una macchina sperimentale destinata a dimostrare di poter ottenere le condizioni di guadagno energetico necessarie. L’Italia è coinvolta nella progettazione e costruzione del sistema di sospensione magnetica, del sistema di riscaldamento e del condotto di scarico dell’elio. Il primo plasma doveva essere generato da ITER entro il 2025, ma alcuni problemi tecnici ne ritarderanno probabilmente la partenza, secondo quanto affermato da Pietro Barabaschi, direttore del progetto, in un’intervista rilasciata al quotidiano inglese The Guardian il 6 gennaio scorso.

Il risultato americano, quindi, è senz’altro interessante dal punto di vista scientifico, ma davvero siamo vicini a risolvere i nostri problemi energetici? Sembrerebbe di no. Kim Budil, direttore dei laboratori Lawrence Livermore lo ha detto chiaramente: avere elettricità in abbondanza dalla fusione nucleare è un obiettivo per il quale ci vorranno decenni. I problemi da risolvere sono ancora molti. Per quanto riguarda il confinamento magnetico risiedono nel raggiungere le altissime temperature e nel mantenere il plasma stabile e isolato dalle infrastrutture. Per il confinamento inerziale, serviranno laser in grado di fare non uno sparo alla volta, ma diversi al secondo, con energie molto più alte dell’attuale. Infatti, come ha sottolineato un editoriale sul New York Times, è vero che nell’esperimento c’è stato un guadagno energetico, ma l’energia applicata direttamente dai laser è solo una parte dell’energia totale richiesta dall’intero sistema. Il prossimo passo – ottenere così tanta energia dalla fusione da superare l’energia totale prelevata dalla rete – è ancora molto lontano. C’è poi il problema dei costi che al momento, per entrambe le tecnologie, si presentano troppo alti per pensare ad una produzione commerciale. 

Il grande fisico Niels Bohr diceva “È difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro”. Mai come in questo caso sembra un’affermazione calzante.