Muoversi 1 2023
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SUI CARBURANTI CLIMATICAMENTE “NEUTRI” LA PORTA IN EUROPA NON È CHIUSA

SUI CARBURANTI CLIMATICAMENTE “NEUTRI” LA PORTA IN EUROPA NON È CHIUSA

di Antonio Pollio Salimbeni

Antonio Pollio Salimbeni

Corrispondente da Bruxelles del Sole 24 Ore

L’Europa aveva chiuso il 2022 con una tabella di marcia precisa: dal 2035 stop all’immissione sul mercato europeo di auto e furgoni nuovi a benzina e diesel. L’intrecciarsi della crisi energetica e della rivoluzione produttiva verde hanno alimentato forti preoccupazioni economiche e sociali, ma questo non fa apparire alle viste ripensamenti su impegni e scadenze per assicurare emissioni zero di CO2 allo scarico. È evidente, però, l’accelerazione delle idee e delle proposte per potenziare l’azione pubblica – degli stati e della UE – a sostegno della transizione ecologica del modo di produzione e consumo. Nelle capitali come a Bruxelles ci si rende ben conto del rischio di spiazzamento dell’industria europea sotto una doppia sferzata: da un lato, il Buy American, con il sostegno fiscale agli acquisti di auto made in Usa che discrimina l’Europa; dall’altro lato, il rischio di plasmare un futuro di nuove dipendenze dell’industria europea con il passaggio alla nuova generazione di veicoli elettrici. I produttori europei, infatti, non hanno accesso diretto alle materie di base per realizzare la rivoluzione tecnologica del secolo in particolare per quanto concerne le batterie: la Cina controlla oltre il 60% della produzione mondiale; altri paesi asiatici tra i quali spicca la Corea del Sud ne forniscono il 21%; gli Stati Uniti il 10%. Un effettivo svantaggio concorrenziale.

A Bruxelles ci si rende conto del rischio di spiazzamento dell’industria europea sotto una doppia sferzata: da un lato, il Buy American, con il sostegno fiscale agli acquisti di auto made in Usa che discrimina l’Europa; dall’altro, il rischio di plasmare un futuro di nuove dipendenze dell’industria europea con il passaggio alla nuova generazione di veicoli elettrici

La risposta dell’Unione europea è multipla e attualmente è concentrata sulla moltiplicazione delle “alleanze industriali” per potenziare la base produttiva continentale e sul sostegno finanziario pubblico alla transizione ecologica. L’European Battery Alliance e la Renewable and Low Carbon Fuels Value chain industrial alliance hanno l’obiettivo di facilitare la cooperazione pubblico-privato sui progetti produttivi. L’Alleanza sulle batterie ha attratto finora 440 soggetti e circa cento miliardi di impegni di investimento; l’Alleanza nella catena del valore dei combustibili si concentra sull’aumento della produzione e della fornitura di carburanti rinnovabili e a basse emissioni di carbonio mirata soprattutto ai settori dell’aviazione e delle navi. Per quanto concerne il sostegno finanziario alla transizione verde, di cui la mobilità è solo un aspetto (il trasporto su strada pesa per circa un quinto delle emissioni di CO2 nella UE), si stanno seguendo due strade: un’accresciuta flessibilità per gli aiuti di stato alle imprese, finanziamenti comuni per progetti di interesse comune. La prima pista è più semplice, ma se tutto si esaurisse lì si approfondirebbero le divergenze tra i paesi UE: chi ha più margini di bilancio avrà più risorse per difendere “campioni” industriali nazionali e sostenere i consumatori a fronteggiare i costi attuali e futuri della transizione (compreso l’acquisto sovvenzionato di un’auto elettrica).

La Commissione europea ha quindi delineato la prospettiva di creare un fondo sovrano europeo per la transizione energetica: è la pista parallela ritenuta da molti una necessità inderogabile. Tuttavia, ancora alla fine del 2022 non esistevano le condizioni politiche per operazioni finanziate con obbligazioni UE: l’opposizione tedesca, olandese e degli altri paesi “frugali” permane a raddoppiare il modello Next Generation EU usato per la ripresa e la resilienza delle economie post pandemia.
L’accordo preliminare emerso dal trilogo tra il Consiglio, il Parlamento e la Commissione UE di fine ottobre sullo stop ad auto e furgoni nuovi con motore endotermico fra tredici anni deve essere votato in via definitiva dagli eurodeputati a febbraio/marzo, poi passerà al Consiglio UE che deciderà a maggioranza qualificata: non sono prevedibili al momento intoppi sostanziali. I malumori delle rappresentanze dell’industria UE a Bruxelles persistono. Per tutti vale la posizione di BusinessEurope, che rappresenta le “Confindustrie” nazionali, secondo cui il 100% di riduzione delle emissioni allo scarico (tail-pipe only target) al 2035 “non è in linea con il principio della neutralità tecnologica; non prende in considerazione lo sviluppo di condizioni abilitanti fondamentali come le infrastrutture di ricarica e rifornimento; disincentiva gli investimenti in tecnologie cruciali come i carburanti liquidi a basse emissioni di carbonio e rinnovabili”. Certamente l’esito delle politiche collaterali che garantiscono la congruità dell’obiettivo al 2035 – e costituiscono una sfida enorme – è una scommessa aperta: ciò riguarda la produzione sostenibile di batterie nella UE in quantità e a costi competitivi; la produzione di modelli con un’autonomia che permetta di superare 600 km di viaggio; sufficienti infrastrutture di carica lungo le strade (l’ostacolo più grande per l’accettazione della mobilità elettrica da parte dei consumatori).

Nel 2026 la Commissione valuterà i progressi verso i target e la necessità di rivederli tenendo conto degli sviluppi tecnologici e dell'importanza di una transizione sostenibile, socialmente equa. In teoria la UE potrebbe decidere di rinviare lo stop al motore a combustione che utilizza e-fuel o biocarburanti

I critici ricordano che i tempi del passaggio della nuova produzione all’elettrico sono troppo stretti, temendo che il primato europeo ottenuto nel mondo producendo motori a benzina e diesel non si ripeterà con il motore elettrico. I più critici parlano di harakiri industriale. Tuttavia, vista da Bruxelles, si tratta di una partita inevitabile per non perdere competitività rispetto a Cina e Stati Uniti almeno quanto per cercare di imporre uno standard tecnologico e produttivo della transizione ecologica. Anche se questo, inizialmente, comporterà dei costi sociali e non solo finanziari. L’associazione europea dei fornitori auto Clepa stima che in Italia nel solo settore motori, l’occupazione potrebbe passare dai 74 mila lavoratori nel 2020 ai 14 mila nel 2035; in Germania da 151 mila a 68 mila; in Spagna da 72 mila a 44 mila. In Francia si prevede un incremento da 28 mila a 29 mila per effetto della decisione di Renault e Stellantis di riportare eventualmente “a casa” diverse produzioni. Questo a bocce ferme, cioè senza interventi di sostegno.
L’accordo UE è il risultato di un difficile compromesso come dimostrano vari elementi. Intanto c’è la deroga per chi produce fra mille e diecimila veicoli all’anno (non dovrà rispettare i passaggi intermedi ma dovrà attenersi solo all’obiettivo del 2035). Chi non raggiunge mille unità potrà continuare a produrre motori endotermici (vale per Lamborghini o Ferrari, anche se quest’ultima ha superato tale soglia). Poi c’è la clausola di revisione: nel 2026 la Commissione valuterà i progressi verso i target e la necessità di rivederli tenendo conto degli sviluppi tecnologici — anche per quanto riguarda le tecnologie ibride plug-in — e dell’importanza di una transizione sostenibile, socialmente equa verso l’azzeramento delle emissioni. In teoria la UE potrebbe decidere di rinviare lo stop al motore a combustione che utilizza e-fuel o biocarburanti. Che questa scadenza possa costituire la leva per modificare l’impianto del regolamento europeo e non sia una mera concessione tattica per difendere l’idea della “neutralità tecnologica” è da vedere. Non a caso, ora si preferisce realisticamente puntare l’attenzione sulle politiche “corollario” del passaggio all’elettrico. Bruxelles ha frenato le sovrainterpretazioni: “nel 2026, valuteremo i progressi compiuti verso l’obiettivo di emissioni zero del 2035. Le clausole di revisione fanno parte di ogni legge europea. Posso assicurare che questa revisione riguarderà solo il modo in cui raggiungeremo l’impegno del 2035, non se vogliamo raggiungerlo”, ha dichiarato il primo vicepresidente della Commissione Frans Timmermans.
Infine, nell’accordo UE è incluso un riferimento ai combustibili «neutri» in termini di emissioni di CO2: previa consultazione, la Commissione presenterebbe una proposta sull’immatricolazione di veicoli che funzionano esclusivamente con combustibili «neutri» in termini di impatto ambientale dopo il 2035 al di fuori dell’ambito di applicazione delle norme relative al parco veicoli e in conformità con l’obiettivo della neutralità climatica.
Anche se si tratta di una indicazione collocata nei “considerando”, parte non vincolante della normativa,
la porta non è chiusa.

VALUTARE E CONFRONTARE LE EMISSIONI DI CO2 DI AUTO E FUEL: ORA SI PUÒ

Le politiche europee volte al “net zero emissions” hanno l’obiettivo di non aumentare la concentrazione di CO2 in atmosfera e dunque hanno bisogno di soluzioni che siano climaticamente neutre a livello globale dal momento che la CO2 prescinde dal luogo in cui viene emessa.

Nei trasporti ciò che dovrebbe contare è pertanto l’impronta carbonica complessiva delle vetture e dei fuel perché solo in questo modo si può valutare il reale beneficio ambientale delle diverse opzioni tecnologiche. In tale contesto, assume rilievo misurare tali emissioni sull’intero ciclo di vita (LCA) e non solo allo scarico, come al momento prevede la normativa europea, in quanto il controllo esclusivo in questa fase,
oltre a trascurare un gran numero di altre emissioni climalteranti generate durante la vita del veicolo, è parziale perché assimila la CO2 riciclata (quella che cioè non genera alcun aumento delle concentrazioni in atmosfera e dunque è climaticamente neutra), a quella fossile alterando i risultati in termini di effettiva decarbonizzazione dei trasporti.

A tal fine, il Concawe, in collaborazione con Ifpen, ha messo a punto una nuova piattaforma digitale interattiva, denominata “Car CO2 Comparator” in grado di misurare e confrontare le emissioni di gas serra nel ciclo di vita (LCA) delle autovetture e dei combustibili, in base a diversi parametri: powertrains, fuels utilizzati, profilo di guida, intensità carbonica nella produzione di elettricità o di fuels, condizioni ambientali.

Ognuno di questi parametri è poi modulabile in funzione del confronto che si vuole fare ed è basato sui dati derivati da analisi specifiche, tra cui gli studi realizzati da Ippc, JRC – Joint Research Center, International Council Clean Transport (ICCT) e Gecoair, nonché le evidenze emerse dalla letteratura prevalente in materia.

Per consultare il comparatore:  https://www.carsco2comparator.eu

Le configurazioni possibili sono molte. Qualche esempio mettendo a confronto, nel segmento C, un’auto elettrica (BEV), una ibrida non ricaricabile (HEV) e una Plug-in ricaricabile (PHEV) con diversi tipi di alimentazione per le HEV e PHEV.

1) gasolio B7 (cioè quello che troviamo oggi sui punti vendita con il 7% di componente bio)

2) biocarburante avanzato derivato da materiali di scarto di origine organica, utilizzabile in purezza (HVO)

3) carburante sintetico derivato dalla combinazione di idrogeno rinnovabile e CO2 (e-fuel)

4) efuel e zero intensità carbonica per produzione di energia elettrica.

I risultati mostrano come, di fatto, è il metodo di calcolo che indirizza le scelte tecnologiche e non gli obiettivi ambientali. Emerge infatti come con un approccio LCA all’aumentare della quota di componente bio/rinnovabile nei LCF cresce il vantaggio delle HEV e delle PHEV rispetto alle BEV.