Muoversi 1 2023
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UN’ENERGIA VERAMENTE SPAZIALE

UN’ENERGIA VERAMENTE SPAZIALE

Lo spazio, si sa, è fatto di pura energia. Il punto è come sfruttarla. Lo scorso 3 gennaio SpaceX ha lanciato in orbita lo “Space Solar Power Demonstrator” (SSPD), un prototipo realizzato dal California Institute of Technology (Caltech) con l’obiettivo di capire se è possibile produrre energia solare dallo spazio attraverso pannelli fotovoltaici.

È ormai da qualche decennio che si studia la possibilità di produrre energia solare direttamente nello spazio, con progetti e ipotesi di centrali solari orbitali che siano in grado, attraverso pannelli fotovoltaici, di convertire la luce del sole in energia, per poi veicolarla sulla terra attraverso un’antenna e trasmissioni in forma di microonde o laser.

Il vantaggio di un simile sistema sarebbe enorme, permettendo continuità di illuminazione e assenza di condizioni atmosferiche negative, potendo così ottimizzare la produzione, seppur a fronte di costi certamente elevati. Il trasporto, l’installazione e la manutenzione di infrastrutture nello spazio sono infatti processi estremamente complessi e richiedono attenzioni e procedure diverse da quelle necessarie sulla terra (ad esempio i tempi di vita di un pannello solare sono molto più brevi in orbita che sulla superficie terrestre).

Un fattore poi di particolare e ulteriore complessità sono i sistemi di invio e trasmissione dell’energia prodotta verso la terra, che funzionano con onde elettromagnetiche ad alta efficienza di trasferimento e richiedono antenne riceventi molto grandi. Una novità in questo percorso di ricerca e sperimentazione è arrivata all’inizio di quest’anno, con il decollo dello “Space Solar Power Demonstrator” (SSPD), un prototipo realizzato dal progetto di energia solare spaziale del California Institute of Technology (Caltech) e ospitato nella missione Transporter-6 lanciata lo scorso 3 gennaio da SpaceX.

A bordo di SSPD ci sono tre componenti che serviranno da test per capire se e come costruire dei reali pannelli fotovoltaici orbitanti: il primo (chiamato Dolce – Deployable on-Orbit ultraLight Composite Experiment) è una struttura modulare su cui installare i pannelli fotovoltaici, fino a creare una stazione energetica lunga fino a un chilometro; il secondo (Alba) è una raccolta di 32 diversi tipi di pannelli fotovoltaici, pensata per facilitare la valutazione della misurazione dell’efficacia dell’energia solare raccolta da ogni tipologia; il terzo (Maple – Microwave Array for Power-transfer Low-orbit Experiment) prevede una serie di trasmettitori di potenza a microonde, dispositivi dotati di controllo di potenza e mirati a dimostrare la possibilità e l’efficienza della trasmissione a distanza wireless.

I risultati sono attesi – a quanto dichiarato dai ricercatori dell’Istituto universitario – in tempi ragionevolmente brevi. E le aspettative sono molto alte: se si riuscisse a far funzionare queste infrastrutture in modo efficiente (raggiungendo ad esempio un’efficienza di trasmissione tramite onde elettromagnetiche del 50-60%), si potrebbe produrre una quantità di energia doppia o tripla per ogni pannello installato rispetto a quanto avviene sulla superficie terrestre, contribuendo in modo sostanzioso ai fabbisogni energetici del pianeta.

Come accennato progetti di sfruttamento dell’energia solare direttamente nello spazio non sono nuovi.

I primi tentativi e studi si devono al ceco-americano Peter Glaser, già project manager dei primi esperimenti scientifici eseguiti sulla Luna. Glaser nel 1974 ha brevettato – nell’ambito di una iniziativa della NASA che aveva assegnato a 4 società lo studio delle infrastrutture spaziali – un metodo per trasmettere energia dallo spazio verso la Terra utilizzando microonde e una particolare antenna chiamata rectenna.

Evidentemente quei primi progetti hanno aperto la strada a nuovi tentativi senza superare tutti le difficoltà, a partire dai costi e dalla complessità di gestione. Successivamente sono stati direttamente i governi ad interessarsi alla possibilità di produrre energia nello spazio, con progetti lanciati di Unione europea, Cina, Russia, Giappone (che ha anche deciso nel 2008 di inserire nella Legge base sullo spazio l’obiettivo della cattura di energia solare in orbita e che ha annunciato risultati concreti per il 2025), Regno Unito (che si prefigura risultati entro il 2040).

Insomma, ancora servirà del tempo, e si dovranno ancora ottimizzare i costi, ma la notizia positiva è che dal punto di vista fisico e tecnologico le conoscenze finora maturate dalla comunità internazionale di studiosi, governi e imprese sono vicine a poter rendere realtà questi progetti, che rappresenterebbero certamente un acceleratore della transizione energetica.