Muoversi 2 2021
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SERVE RIPARTIRE DALL’ESPERIENZA

SERVE RIPARTIRE DALL’ESPERIENZA

intervista a Claudio De Vincenti


Claudio De Vincenti

Economista

Negli anni tra il 2012 e il 2015, Claudio De Vincenti si è occupato direttamente dei temi della rete carburanti, prima come Sottosegretario e poi Viceministro al Ministero dello Sviluppo economico. Anni di grande fermento e difficoltà per il settore. In questa intervista proviamo a ripercorre quegli anni per cercare di capire cosa non è andato visto che molti dei nodi di allora restano irrisolti.

 

Lei si è occupato direttamente dei temi della rete carburanti quando è stato prima Sottosegretario e poi Viceministro al Ministero dello Sviluppo economico. Che ricordi ha di quel periodo?

È stato un periodo per molti versi appassionante, un periodo di intensa elaborazione e discussione con tutti gli stakeholders della rete di distribuzione carburanti. Per me personalmente, è stato un periodo in cui ho imparato tanto dall’interlocuzione con tutti gli attori del sistema e in cui spero di aver dato un contributo a definire regole di mercato più avanzate e più adatte a far lavorare bene le diverse forme di imprenditorialità che vi interagiscono. Per gli operatori del settore credo sia stato un periodo di confronto e di maturazione riguardo al sistema di diritti e doveri che un mercato bene ordinato porta con sé e alle responsabilità che per tutti ne derivano. Certo, molti problemi sono rimasti ancora aperti, ma da quell’esperienza si può e si deve ripartire.

L’ostacolo di fondo è costituito da una segmentazione dei mercati, in questo caso tra distribuzione carburanti e commercializzazione di altri prodotti, che imbriglia la concorrenza creando aree di protezione. Queste naturalmente rispondono nel breve periodo a motivazioni di tipo sociale, ma nel lungo periodo finiscono per penalizzare gli operatori più capaci di innovazione

Allora ci furono diversi tentativi di rimettere mano agli assetti della rete e si provò anche ad allargare al cosiddetto non-oil (es. tabacchi, giornali), ma i risultati non sono stati quelli sperati. Quali furono, a suo avviso, gli ostacoli principali?

Direi che l’ostacolo di fondo è costituito da una segmentazione dei mercati, in questo caso tra distribuzione carburanti e commercializzazione di altri prodotti, che imbriglia la concorrenza creando aree di protezione. Queste naturalmente rispondono nel breve periodo a motivazioni di tipo sociale, ma nel lungo periodo finiscono per penalizzare gli operatori più capaci di innovazione commerciale sia i consumatori, limitando la possibilità di ridurre i prezzi grazie alle economie  di differenziazione nella vendita di prodotti diversi. Con due avvertenze però. La prima è che l’ampliamento del non-oil non deve essere visto come alternativa alla razionalizzazione della rete, che in Italia vede troppi impianti di piccole dimensioni. La seconda è che nelle aree di servizio autostradali l’ampliamento del non-oil per i gestori carburanti trova inevitabilmente un limite nello spazio di mercato che deve rimanere a disposizione dei gestori della ristorazione, se non si vuole che in ogni area di servizio le attività siano concentrate in un unico operatore che copre ambedue i mercati (e che, come mostra l’esperienza concreta, può finire per essere il gestore food anche per la parte oil).

Temi molto discussi furono anche quelli della contrattazione collettiva, che poi portò a nuove forme contrattuali, e del superamento del vincolo di esclusiva. Oggi che giudizio dà su quelle scelte?

Il punto chiave è che per superare completamente il vincolo di esclusiva è necessario che il gestore si configuri a pieno titolo come imprenditore autonomo. Il comodato d’uso gratuito è, da questo punto di vista, una contraddizione in termini: implica inevitabilmente una quota più o meno ampia (che limitammo con il Decreto Liberalizzazioni del gennaio 2012) di vendite in esclusiva del carburante fornito dal proprietario stesso. Questo è il motivo per cui impostammo un lavoro di ridefinizione e articolazione delle forme contrattuali, così da gettare le premesse per una maggiore libertà di scelta del gestore nel rispetto delle prerogative del titolare dell’impianto e quindi anche per una maggiore concorrenzialità nella  fornitura di carburanti. Va in questa direzione lo schema di contratto di commissione concordato tra gestori e Unione Petrolifera nel 2018 e poi approvato anche dall’Antitrust. È una direzione di marcia su cui procedere per arrivare  a una articolazione anche maggiore delle forme contrattuali che allarghi le opzioni a disposizione degli operatori.

 

Durante la sua permanenza al Mise convocò più volte tavoli per trovare soluzioni alla crisi di molte gestioni autostradali. Oggi possiamo dire che nessuno di quei problemi sia stato risolto, anzi. Dal 2012 ad oggi i volumi si sono praticamente dimezzati. Cosa non ha funzionato?

A rigore direi che almeno su un tema   la matassa appare oggi meno aggrovigliata: quello del rinnovo delle gare per le concessioni oil e non-oil sulle aree   di servizio autostradali. Non è un risultato da sottovalutare: all’epoca  si  era in un quadro di incertezza molto forte   e di royalties ereditate da prima della crisi economica del 2008, il che rendeva la situazione molto penalizzante per tutti gli operatori del settore.  Resta il tema di fondo della flessione di traffico che però da sola non spiega tutta la diminuzione dei ricavi. Una causa significativa è il permanere ancora di un differenziale di prezzo tra rete ordinaria e rete autostradale.  A  me sembra che il punto chiave qui sia la razionalizzazione del sistema delle aree di servizio in autostrada, superando quelle più  piccole  e  inefficienti, e probabilmente ancora una maggiore diffusione del self-service. Sono questioni delicate ma credo che sia oggi possibile e importante affrontarle.

A me sembra che il punto chiave qui sia la razionalizzazione del sistema delle aree di servizio in autostrada, superando quelle più piccole e inefficienti, e probabilmente ancora una maggiore diffusione del self-service. Sono questioni delicate ma credo che sia oggi possibile e importante affrontarle

Un’ultima domanda. Oggi le competenze del Mise su questi temi sono state trasferite al neonato Mite che dovrà occuparsi anche di sicurezza energetica. Che idea si è fatto in proposito?

È una innovazione che acquista un senso in questa fase in cui Next Generation EU e Green Deal europeo chiedono una forte accelerazione da qui al 2030 della strategia energetica volta  a conseguire la neutralità climatica nel 2050. Il binomio clima-energia è ormai un asse portante delle politiche di sviluppo europee ed è bene lo sia anche per l’Italia, che proprio su questo terreno è uno dei Paesi più avanzati in Europa: ce lo dicono tutti gli indicatori e mi sia consentito di rivendicare questo risultato alla strategia energetica impostata e seguita dai Governi che si sono succeduti tra il 2012 e il 2017. Sono convinto che il Ministro Cingolani imprimerà una ulteriore accelerazione al processo, cercando soluzioni in grado di coniugare crescita economica e tutela dell’ambiente. Quest’ultima non passa per la cosiddetta “decrescita felice”, che, caso mai, riducendo le risorse a disposizione compromette proprio gli obiettivi ambientali e dunque è alla fine solo “infelice” da tutti i punti di vista. Passa per una crescita economica in cui l’ambiente sia obiettivo di sviluppo e non mero vincolo. Una crescita basata su avanzamenti scientifici e tecnologici, lavoro e impresa orientati alla qualità della vita dei cittadini. Per questo sarà necessario dare spazio nel nuovo Ministero alle direzioni competenti in materia di energia e rinnovare quelle componenti ereditate dal Ministero dell’ambiente che siano rimaste legate a una idea del loro ruolo frenante invece che propulsiva. Se si riuscirà a fare passi avanti su questo terreno, un domani potrebbe aprirsi una prospettiva di più generale unificazione dei Ministeri dello sviluppo economico e dell’ambiente: sarebbe un messaggio significativo di una nuova strategia di sviluppo per il nostro Paese nel quadro europeo.