Muoversi 3 2022
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CINQUANT’ANNI DI “PREZZI AMMINISTRATI” BASTANO E AVANZANO

CINQUANT’ANNI DI “PREZZI AMMINISTRATI”

BASTANO E AVANZANO

di Giorgio Carlevaro

Negli ultimi tempi si è tornati a parlare di “prezzi amministrati” come antidoto al rincaro dei prezzi. Qualcosa che abbiamo già ampiamente sperimentato in passato, come ci racconta Giorgio Carlevaro in questa nuova puntata della Storia del Petrolio da cui si capisce come chiedere oggi un loro ritorno sia un esercizio alquanto semplicistico.

Giorgio Carlevaro

Direttore emerito

Staffetta Quotidiana

Tornare ai prezzi amministrati come antidoto al rincaro dei prezzi e alle speculazioni che si rincorrono da mesi. Un’ipotesi che circola insieme a quella del tetto sui prezzi a prescindere da cosa voglia dire in concreto e a come si possa mettere in atto Reminiscenza di un passato che non c’è più. Lo aveva detto Davide Tabarelli nel dicembre scorso, quando la guerra in Ucraina era ancora di là da venire, ma la corsa al rincaro dei prezzi e delle bollette era già cominciata. Che cioè “bisognerebbe tornare alle tariffe amministrate, stabilite dalla mano pubblica”. Ma all’epoca disse anche che “è inutile palarne, non si farà. A Roma e a Bruxelles dicono che quella a cui stiamo assistendo è una normale manifestazione del libero mercato e che tutto si aggiusterà automaticamente”. A suo modo ne aveva parlato in settembre anche Alberto Clò, quando la bolletta aveva cominciato ad andare “in prima pagina” e si cominciava a parlare di “manovre correttive”, da assimilare a “una sorta di ritorno, per quanto camuffato, ai prezzi politici”. E in queste settimane, con l’aggravarsi ogni giorno di più della situazione, la richiesta ha fatto capolino anche in Parlamento sotto forma di emendamenti alle misure economiche in esame in cui si chiede senza mezzi termini la fissazione di un prezzo massimo dei prezzi dei carburanti concertato dal Governo in accordo con la filiera produttiva e le sue associazioni (on. Massimiliano De Toma, componente della Commissione attività produttive di Fratelli d’Italia). Richiesta diventata ancora più esplicita in un documento diffuso il 14 giugno dalla segreteria della Fegica, una delle tre associazioni storiche dei gestori carburanti, che chiede di tornare subito ai prezzi amministrati, mettendo fine ad un mercato prigioniero della speculazione, ovvero di prezzi ancorati al Platts per quelli petroliferi e al Ttf per quelli del gas.

Che per Unem sarebbe una “non soluzione”, per di più anacronistica, misure del passato che hanno già ampiamente dimostrato la loro inefficacia. Spiegando in una nota che il prezzo industriale dei carburanti, al netto cioè di accisa e Iva, è attualmente composto per quasi il 90% dalle quotazioni internazionali dei prodotti raffinati (Platts Cif Med) sui quali c’è sicuramente una componente speculativa che vive di aspettative, cavalca le incertezze attuali legate alla crisi ucraina e amplifica tendenze reali sottostanti, che oggi sono di un’offerta che non riesce a stare dietro ad una domanda che è praticamente tornata ai livelli pre-pandemia. Tutti elementi in sostanza esterni al mercato interno. Per cui sin tanto che il quadro economico e geopolitico resta quello attuale difficilmente i prezzi potranno scendere. Un dibattito in cui da ultimo si è inserito il 23 giugno anche il ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, rispondendo alla Camera ad un’ennesima richiesta di ritorno per un periodo limitato ai prezzi amministrati dei prezzi dei carburanti, rilevando però che bisognerebbe tener conto di tutte le possibili conseguenze di una simile decisione e dell’effetto difficilmente prevedibile di interrelazione tra tutti i soggetti economici coinvolti. Conseguenze ed effetti evidenziati dal Mite. Quindi, per quel che lo riguarda, né dubbioso né critico.

 

Dal 1944 al 1994: un cammino tortuoso

Parliamo del ritorno a un complicato regime di controlli e di misure rimasto in vigore per cinquant’anni, dal 1944 al 30 aprile 1994, la stessa durata del Cip, il Comitato interministeriale dei Prezzi, istituito a Roma nell’ottobre 1944 per il coordinamento e la disciplina dei prezzi, inclusi quelli dei prodotti petroliferi e dei carburanti. E che ha cessato di operare il 1°gennaio 1994, quando le sue funzioni sono state trasferite all’Antitrust, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, istituita a sua volta nell’ottobre 1990.
Dal dopoguerra, cioè dal 1945, una delle linee portanti della politica italiana era stata infatti quella di assicurare al sistema economico energia al più basso prezzo possibile. Per favorire la formazione di una base industriale energivora in grado di sostenere lo sforzo di penetrazione sui mercati internazionali. Avvantaggiata in Italia dai minori costi di lavoro rispetto ai concorrenti europei, ma frenata dalle gravi carenze sul piano della ricerca, della commercializzazione e dell’organizzazione produttiva. Grazie al basso prezzo dell’energia l’Italia poteva così allargare la sua base produttiva nei settori della siderurgia, della metallurgia, della chimica e della raffinazione del petrolio. Una politica dei prezzi che fino alla fine degli anni ’60 non provoca gravi dissociazioni tra costi e prezzi dell’energia, ma consente il formarsi di rendite di posizione nel settore idroelettrico, di cui si avvantaggiano fino alla nazionalizzazione del 1992 numerose imprese elettriche private, e di cui nel settore del metano approfitta l’Eni per autofinanziare i suoi piani di sviluppo in Italia e all’estero e per svolgere un’azione di rottura nel mercato dei carburanti. E di cui si avvantaggia anche lo Stato calcando la mano del fisco su alcuni prodotti petroliferi e in particolare sulla benzina: alla fine degli anni ’60 su 110 lire pagate dall’automobilista per un litro di super 75,96 erano costituite da imposte.
Una politica di bassi prezzi che avrebbe richiesto qualche correzione di tiro per tener conto dei mutamenti in atto nel sistema energetico italiano. Nel settore elettrico il crescente ricorso a impianti termoelettrici per coprire l’aumento della domanda tendeva infatti a innalzare il costo medio dell’elettricità. Lo stesso fenomeno si verifica per il metano in seguito al ricorso a riserve più costose rispetto a quelle della Valle Padana in via di esaurimento, quali erano quelle scoperte nelle zone marine o importate dall’estero a partire dal 1971. Senza contare che il basso prezzo dell’energia favorisce a sua volta un’espansione abnorme della domanda e fenomeni di sprechi nell’impiego di alcune fonti nonché eccesso di investimenti in alcuni settori. Fenomeni su cui però il governo non interviene sia perché non avverte tempestivamente la loro maturazione sia perché l’aumento dei prezzi sarebbe andato contro tutta la filosofia che aveva ispirato in quegli anni la politica dell’energia.
ll primo a soffrirne è l’Enel che, costituito alla fine del 1962, chiede invano l’aumento delle tariffe, bloccate dall’agosto 1961 sulla base del livello medio accertato per l’anno 1959. Anche l’Eni ha i suoi problemi.
Conclusione, a fare le spese di questa sempre più anacronistica politica dei bassi prezzi dell’energia è il contribuente. Anche perché nel caso del settore petrolifero esso continua ad essere usato come riserva di caccia per aumentare rapidamente le entrate fiscali nel momento del bisogno: una prassi che risaliva agli anni ’30. Misure impopolari. Tra il 1965 e il 1970 il prezzo della benzina super salì da 120 a 162 lire al litro. Di questo aumento di 42 lire alle compagnie petrolifere erano andate meno di 5 lire.

 

Il primo metodo

Fino al 1960 i prezzi massimi di vendita dei prodotti petroliferi erano fissati dal Cip con il metodo della “parità di importazione”, metodo che attribuiva ai prodotti ottenuti dalle raffinerie italiane lo stesso valore che avrebbero avuto sul mercato nel caso in cui fossero stati importati direttamente. Ma da allora venivano fissati senza una metodologia di calcolo e tra le compagnie era in corso un acceso dibattito per trovarne un altro più soddisfacente. L’Eni era favorevole a un metodo analitico che consentisse una conoscenza precisa e dettagliata del mercato petrolifero e dei costi del ciclo petrolifero. Le compagnie private sostenevano invece, attraverso l’Unione Petrolifera, il ritorno al metodo della parità di importazione in vista del crescente inserimento del mercato italiano in quello internazionale. Si andò avanti così tra incontri e confronti fino alla fine del 1970, mentre le vicende che andavano maturando sul mercato internazionale e che sfoceranno nell’ottobre 1973 nella “crisi del Kippur” rendono urgente la ricerca di una soluzione e di una diversa politica dei prezzi. Con in più l’esigenza di legare il problema a quello della razionalizzazione del mercato petrolifero italiano dopo lo sviluppo “selvaggio” degli anni ’50 e ’60. Un’esigenza difficile da recepire e gestire, ma che segnalava anche il pericolo di continuare a gestire i prezzi come se niente fosse accaduto nel sistema energetico italiano.

Nel documento di studio approvato dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) il 3 agosto 1977 in vista del nuovo metodo emanato in ottobre, la segreteria del Cip non ha difficoltà a riconoscere l’inadeguatezza del metodo in vigore rispetto alla nuova realtà del mercato. Quando questo metodo era stato predisposto gli elementi di costo erano infatti caratterizzati da una relativa stabilità, in particolare per che riguardava la materia prima e il rapporto di cambio della lira. Inoltre, il peso percentuale della voce materia prima nella struttura dei costi, era considerevolmente inferiore: dal 60% del 1971 era salito al 90% circa del 1977. Anche la tempistica delle rilevazioni dei costi e delle variazioni dei prezzi risultava inadeguata. Insomma, rilevava la segreteria del Cip, mentre il metodo del 1971 avrebbe dovuto dare “automaticità” alle variazioni costo-prezzo, era accaduto il contrario.

 

La svolta della sorveglianza

Per ovviare a questi inconvenienti, che avevano finito col bloccare i prezzi sui livelli del 1975, il nuovo metodo approvato dal Cip il 28 ottobre 1977 sotto la presidenza di Carlo Donat Cattin, stabilisce che la politica dei prezzi petroliferi deve perseguire i seguenti obiettivi: garantire un’adeguata protezione dei consumatori che impedisca situazioni di tipo speculativo e stimoli un maggior grado di concorrenza; assicurare la normalità dei rifornimenti petroliferi attraverso un adeguato recupero dei costi da parte delle imprese petrolifere; mantenere una pluralità di operatori quale elemento di maggiore sicurezza; razionalizzare i sistemi di lavorazione e di distribuzione dei prodotti petroliferi per adeguarli alle mutate esigenze del Paese e in termini di economicità. E in questo quadro assoggettare al regime della sorveglianza un primo gruppo di prodotti (benzina avio, carboturbo, bitumi, basi lubrificanti, solventi, virgin nafta). Cosa che avviene con la delibera del 21 dicembre 1977. A cui viene aggiunto con la delibera del 6 aprile 1978 anche l’olio combustibile denso. Prime deroghe in assoluto al regime dei prezzi amministrati. Da cui parte un percorso in cui Cipe e Cip si rincorrono. Si arriva quindi alla delibera Cipe del 24 giugno 1982 che, nel mantenere in regime amministrato i prezzi della benzina e del gpl, demanda al Cip di passare al regime della sorveglianza anche i prezzi dei gasoli, dei petroli e degli oli combustibili fluidi.

 

Primi confronti con l’Europa

Una norma che rispondeva alla necessità di permettere una situazione di equilibrio tra le condizioni riconosciute agli operatori italiani e quelle riscontrabili nei principali paesi europei. Cosa che peraltro non sempre avveniva. Un passo avanti comunque significativo, perché in pratica i prezzi italiani (al netto delle imposte, ma comprensivi dei margini di distribuzione) venivano equiparati alla corrispondente “media ponderata” dei prezzi in vigore nei cinque paesi europei (Francia, Germania, Regno Unito, Olanda e Belgio) già presi a riferimento a partire dal 19 marzo 1980 e ne veniva garantito il costante riallineamento attraverso la rilevazione settimanale che da allora in poi venne indicata come “rilevazione Cee”. Se in occasione di questa rilevazione lo scostamento tra il prezzo italiano di un prodotto e la corrispondente “media Cee” risultava superiore ad una certa soglia di invarianza, più volte modificata nel corso degli anni, esso doveva essere al più presto riallineato attraverso variazioni in aumento o in diminuzione stabilite con comunicati della segreteria del Cip. Una novità che aveva però il difetto di “importare” variazioni di prezzi di realtà non omogenee con quella italiana. Un regime di sorveglianza reso “definitivo” con il provvedimento Cip del 6 aprile 1984 (previo anche questa volta il via libera del Cipe del 19 marzo 1984).
Una media a cinque, con il relativo “stacco Italia”, che venne messo in soffitta nel 1996 sostituita, dalla media dei 15 paesi allora membri dell’Unione europea oggi saliti a 19. Elaborata con la collaborazione dell’Unione Petrolifera e oggi di Unem.
I prezzi della benzina (super, normale e agricola) passarono al regime della sorveglianza, anche loro a titolo sperimentale per un anno, con il provvedimento Cip del 3 giugno 1986 (previo via libera Cipe del 20 marzo 1986). Regime poi prorogato il 9 ottobre 1987 con un’importante modifica: quella cioè che i prezzi massimi al consumo delle benzine impiegate come carburante per l’autotrazione erano stabiliti maggiorando il corrispondente prezzo medio europeo al consumo di uno “scarto quadratico medio”. pari per cominciare a 16,97 lire /litro. Formula escogitata due anni prima, nel febbraio 1985, da Davide Pastorino al termine dell’indagine svolta dalla Commissione per lo studio dei mercati petroliferi europei istituita nel giugno 1984 dal ministro Renato Altissimo e da lui presieduta in qualità di tecnico del Cip. Finalizzata a rendere omogenea la realtà italiana a quella dei cinque paesi europei presi allora a riferimento. Scarto aumentato, con il provvedimento Cip del 12 settembre 1989, a 22,69 lire/litro. 

 

La vigilia della liberalizzazione

Di proroga in proroga si arriva al 30 luglio 1991 quando il percorso verso la liberalizzazione registra un’accelerazione importante per merito del nuovo Ministro dell’Industria Guido Bodrato. Se è vero infatti che la delibera Cipe adottata in tale data e recepita dal Cip il 31 luglio stabiliva apparentemente un’altra proroga del regime di sorveglianza fino al 30 aprile 1993, di fatto essa introduceva novità e scadenze significative. Se non era liberalizzazione poco ci mancava
La prima novità era che a partire dal 16 settembre 1991 venivano mantenuti in regime di sorveglianza solo i prezzi dei gasoli e delle benzine per forniture superiori a 5.000 litri o commercializzati attraverso la rete di distribuzione carburanti ed i prezzi del Gpl (miscela e butano), mentre i prezzi degli altri prodotti potevano essere “liberamente determinati dalle imprese, senza obbligo di deposito del listino”. Veniva altresì stabilito che il regime di sorveglianza, relativo ad ogni fase di scambio, sarebbe stato attuato tramite un controllo ex post del comportamento degli operatori, i quali dovevano comunicare i loro listini ad un apposito Comitato Tecnico, da istituirsi presso il ministero dell’Industria. Comitato che avrebbe dovuto verificare la coerenza generale dei singoli listini con le quotazioni internazionali dei prodotti finiti e dei greggi più rappresentativi per il mercato italiano e controllare che gli eventuali incrementi dei margini nella fase distributiva non fossero superiori su base annua al tasso di inflazione programmato.
Il ministro dell’Industria avrebbe dovuto altresì istituire una Commissione Consultiva, rappresentativa delle Amministrazioni interessate e delle organizzazioni di settore, al fine di seguire l’evoluzione complessiva del mercato e di fornire al Comitato Tecnico opportuni elementi di valutazione.
La delibera indicava poi due importanti scadenze relative alla ristrutturazione della rete carburanti, che per la prima volta entrava a gamba tesa nel discorso dei prezzi. La prima stabiliva che entro il 30 settembre 1991, il ministro dell’Industria di concerto col ministro per gli Affari Regionali, doveva proporre alla Conferenza Stato-Regioni una direttiva intesa a razionalizzare il regime dei turni e degli orari dei punti di vendita carburanti; la seconda che, entro il 30 novembre 1991, il ministro doveva prospettare al Cipe le iniziative da assumersi, anche mediante costituzione di appositi consorzi tra gli operatori, per promuovere la ristrutturazione della rete distributiva, al fine di conseguire nell’arco di un triennio, un livello di erogato medio per punto vendita pari almeno a quello europeo (al momento era di circa 1.500.000 litri).

 

La svolta del 1993

Si arriva così al 27 aprile 1993 quando il Cipe, nel prorogare ancora una volta il regime di sorveglianza su tutti i prodotti petroliferi fissa per la prima volta un termine improrogabile per la liberalizzazione“non oltre il 30 settembre 1993”. Alla base di questa decisione una nota del 22 aprile del ministro dell’Industria Giuseppe Guarino (in carica dal 28 giugno 1992) in cui si rileva come l’esperienza della sorveglianza “si deve considerare pienamente riuscita, sia perché non si sono avuti fenomeni di tensione sui prezzi, sia e non meno perché si è innescata una dinamica di concorrenza in un settore in cui quarant’anni di prezzi amministrati avevano totalmente irrigidito la struttura dell’offerta”. Sulla base di queste considerazioni e al fine di evitare che con la scadenza del regime di sorveglianza si tornasse ai prezzi amministrati, Guarino proponeva di prorogare la sorveglianza per un periodo limitato e comunque non superiore a 5 mesi “per disporre del tempo necessario per l’espletamento degli adempimenti su indicati”.

Una sorta di compromesso tra chi voleva la liberalizzazione subito e chi voleva mettere i prezzi al riparo da eventuali ingerenze dell’Antitrust. Il tutto recepito dal Cip il 5 maggio 1993.

Si arriva così a fine settembre quando Paolo Savona, subentrato il 29 aprile 1993 a Guarino al ministero dell’Industria, aspetta fino all’ultimo prima di formalizzare le sue proposte al Cipe già convocato per il 30 settembre. Avvicinandosi la scadenza della proroga della sorveglianza uno dei nodi da sciogliere è chi dovrà fissare i prezzi (le compagnie o i gestori) e a tale scopo una delle possibili soluzioni sarebbe quella di passare alla liberalizzazione senza più alcun vincolo esplicito di coerenza con l’andamento dell’inflazione e delle quotazioni internazionali, ma mantenendo in vita fino al 30 aprile 1994 l’obbligo del deposito dei listini presso il ministero. In una nota inviata al Cipe da Savona il 29 settembre 1993, si afferma tra l’altro che “i due anni trascorsi dal superamento del prezzo amministrato hanno dimostrato non solo un responsabile comportamento degli operatori ma soprattutto che la maggiore flessibilità introdotta nei prezzi ha attivato elementi di concorrenza che devono essere ulteriormente sviluppati per giungere ad una più elevata efficienza del settore della distribuzione petrolifera e stimolare la ristrutturazione della rete”.

“è ancora da sottolineare, aggiunge la nota, che la completa fuoriuscita dal regime dei prezzi amministrati comporta il pieno assoggettamento del settore alle competenze dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con una ulteriore garanzia in ordine all’esplicarsi di condizioni di competitività”. Da qui “l’opportunità di portare a compimento, sotto questo profilo, il processo avviato nel luglio 1991, rimettendo completamente alla responsabilità degli operatori la determinazione dei prezzi di tutti i prodotti petroliferi”. Un nuovo regime di prezzi che richiede tuttavia “la definizione di nuovi rapporti tra gli operatori – in specie tra compagnie e gestori – in funzione dei diversi ruoli nelle modalità di formazione dei prezzi. Si deve inoltre tener presente che alla data attuale sono già stati stipulati la maggior parte dei contratti di servizio calore per la stagione invernale 93-94, contratti che per le metodologie di revisione dei prezzi fanno riferimento all’attuale rilevazione dei listini prezzi”.
Pertanto, al fine di garantire un adeguato margine di tempo alla regolazione contrattuale di nuovi rapporti tra le parti, Savona ritiene opportuno “affiancare alla liberalizzazione dei prezzi il mantenimento in vigore sino all’aprile 1994 del deposito dei listini”.Osservazioni e proposte recepite dal Cipe nella delibera del 30 settembre 1993 in cui si stabilisce che a decorrere dall’8 ottobre 1993, giorno di pubblicazione della delibera sulla Gazzetta Ufficiale, “cessano le attribuzioni del Cip in materia di prodotti petroliferi” e pertanto “i prezzi di tutti i prodotti petroliferi sono determinati liberamente dagli operatori”. Che peraltro dovranno continuare a trasmettere al ministero dell’Industria (direzione generale delle Fonti di Energia) i propri listini di vendita fino al 30 aprile 1994. I sette mesi che separano da questa scadenza sono ricchi di eventi. Innanzitutto, la soppressione del Cip a far data dal 1° gennaio 1994. Per evitare soluzioni di continuità nel monitoraggio dei prezzi al consumo di beni e servizi, energia inclusa, il ministro Savona provvede, con due distinti provvedimenti del 30 dicembre 1993 e del 17 gennaio 1994, a instituire una “Commissione per l’osservazione dei prezzi e dei mercati”. Il tutto in attesa da una parte del Dpr 20 aprile 1994 n. 373 che provvede ad attribuire al Cipe e al ministro dell’Industria le funzioni svolte dal Cip in materia di prezzi e tariffe, a sopprimere i Comitati Provinciali Prezzi (CPP) e a definire meglio i confini con l’Antitrust.Tra i timori che si paventano, quello di un “black-out” dei prezzi petroliferi dopo il 30 aprile 1994 a seguito del venir meno dell’obbligo del deposito dei listini con la necessità quindi di migliorare l’attendibilità del campione e dei dati alla base della rilevazione da parte del ministero dell’Industria dei “prezzi Italia” e da parte delle Camere di Commercio dei prezzi medi provinciali, che resterebbero gli unici riferimenti ufficiali sull’andamento del mercato. Problema a cui supplisce in parte il Cipe con una delibera approvata il 13 aprile 1994, con cui SI dava l’ultimo tocco alla liberalizzazione dI tutti i prezzi petroliferi, di fatto già completato sei mesi prima, il 30 settembre 1993, con la decisione di lasciarli alla libera determinazione degli operatori. Mettendo la parola fine a cinquant’anni di amministrazione e/o sorveglianza dei prezzi da parte del Cip. Un regime, o meglio un meccanismo di controllo, che negli anni ‘70 e ‘80 era stato una delle principali cause dell’abbandono del mercato italiano da parte di numerosi operatori internazionali.

 

L’alternativa al ritorno

Una data, quella del 1° maggio 1994, certamente storica. Che ha obbligato gli operatori a stare molto di più sul mercato, a guardare di più cosa fa la concorrenza, a essere più rapidi nelle decisioni, ad attrezzarsi in maniera diversa, a costruirsi nuovi punti di riferimento. Una storia lunga e complicata quella che siamo venuti raccontando e che merita di essere riportata alla luce anche in dettaglio. Da cui si capisce come chiedere oggi il ritorno ai prezzi amministrati sia un esercizio alquanto semplicistico. E come invece sarebbe necessario usare meglio gli strumenti di cui disponiamo come le rilevazioni settimanali dei “prezzi Italia” e degli “stacchi Italia”, i dati quotidiani dell’Osservatorio prezzi carburanti del Mise e gli elementi di giudizio di cui dispone, sempre presso il Mise, il Garante per la sorveglianza dei prezzi, potenziandone eventualmente le strutture.

Al fine di apprezzare meglio e più compiutamente gli scostamenti tra la realtà italiana e la realtà europea, di capirne meglio le ragioni e di intervenire prontamente. Che non significa tornare ai “prezzi amministrati” ma tenere meglio sotto controllo le componenti speculative degli aumenti e i soggetti coinvolti.