Muoversi 3 2022
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SE TORNA LO SPETTRO DELL’INFLAZIONE A DUE CIFRE

SE TORNA LO SPETTRO DELL’INFLAZIONE A DUE CIFRE

di Michele Masulli

Michele Masulli

Direttore Area Energia I-com
and analyst

Nel mese di giugno l’inflazione ha continuato ad accelerare, attestandosi a un livello (+8%) che non si osservava da più di 35 anni, per l’esattezza dal gennaio 1986, quando si registrò un +8,2%. Invero, è dall’autunno del 2021 che le maggiori economie europee riportano un’accelerazione progressiva dei prezzi al consumo. Alla base di questa tendenza si individuavano strozzature dal lato dell’offerta, che rispecchiano sia la sollecita ripresa della domanda mondiale di beni sia colli di bottiglia formatisi lungo le filiere produttive, e l’aumento dei costi delle materie prime. Per questo, già al termine dell’anno trascorso, secondo le elaborazioni ISTAT, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo presentava un rialzo consistente (+1,9%), inferiore comunque ai dati di Germania (+3,2%), Spagna (3%) e Francia (2,1%): valori tutti superiori o prossimi all’obiettivo di medio termine della politica monetaria della BCE (2%). Le tensioni inflazionistiche sono state aggravate dall’avvio del conflitto ucraino, sulla scorta dell’aumento significativo delle quotazioni di gas naturale, petrolio e materie prime agricole. Se le fonti fossili sono preda dell’incertezza riguardante i flussi dalla Russia, i prodotti agricoli potrebbero risentire ulteriormente dell’attuale periodo di siccità.

È nel Belpaese che il caro-energia rischia di produrre le conseguenze più consistenti sul tessuto industriale. Complici un livello di prezzi dell’energia generalmente più elevato e le specificità del mix energetico, che vede un’elevata quota di gas naturale, e del sistema produttivo, l’incidenza dei costi energetici sui costi di produzione crescerebbe in misura molto più rilevante che in Germania e, soprattutto, in Francia

Fatto sta che, nella prima parte del 2022, la dinamica inflazionistica, seppure lievemente inferiore rispetto alla media dell’Eurozona, è risultata per l’Italia molto sostenuta, ad eccezione di una contrazione temporanea nel mese di aprile in corrispondenza dei provvedimenti del Governo sulle accise dei carburanti. A contribuire in misura determinante all’incremento dei prezzi, pertanto, ci sono sicuramente i beni energetici di entrambe le componenti (a giugno +64,3% della componente regolamentata, +39,9% per quella non regolamentata) e i prodotti alimentari. Tuttavia, cresce anche l’inflazione di fondo, che identifica le componenti persistenti dell’aumento dei prezzi. Al netto di energia, alimenti e tabacchi, l’indice dei prezzi è aumentato del 3,1%. La spinta degli input energetici e delle materie prime si riflette, perciò, negli altri comparti merceologici e negli stadi successivi della filiera, coinvolgendo i prezzi di produzione dei beni venduti sul mercato interno (+42,7% a maggio), per arrivare, lungo la distribuzione, al cosiddetto “carrello della spesa”.

Nonostante l’accelerazione dei prezzi sia in Italia inferiore rispetto alla media e ai maggiori Paesi europei, è nel Belpaese che il caro-energia rischia di produrre le conseguenze più consistenti sul tessuto industriale. Complici un livello di prezzi dell’energia generalmente più elevato e le specificità del mix energetico, che vede un’elevata quota di gas naturale, e del sistema produttivo, l’incidenza dei costi energetici sui costi di produzione crescerebbe in misura molto più rilevante che in Germania e, soprattutto, in Francia. L’incremento della bolletta energetica per il settore manifatturiero (stimato dal Centro Studi Confindustria) in circa 2,5 miliardi di euro al mese andrebbe ad aggravare le difficoltà del comparto industriale e ad ampliare il divario competitivo tra l’Italia e i partner europei.

L’efficacia delle tradizionali leve della politica monetaria, utili a contenere la domanda, è tuttavia da valutare se si tratta di raffreddare un’inflazione trainata dai prezzi energetici. Davanti alla BCE si pone una questione da quadratura del cerchio: contenere contemporaneamente un’inflazione, evitare di affogare la ripresa economica e mantenere bassi gli spread

Nessuna delle Autorità monetarie dei Paesi occidentali ha previsto l’impennata dell’inflazione verificatasi nelle rispettive economie. Nel bollettino di aprile la BCE si è interrogata sulla sottostima che ha viziato le proiezioni formulate nei mesi precedenti – l’errore a un trimestre più elevato nella storia delle analisi sull’inflazione della BCE – ammettendo una “notevole difficoltà di prevedere l’inflazione in un periodo caratterizzato da un’estrema volatilità degli andamenti economici e, in particolare, dei prezzi delle materie prime energetiche”. Anche in questo caso i prezzi dei beni energetici, tra le ipotesi determinanti delle proiezioni sull’inflazione, rivestono un ruolo di primo piano. Si sono manifestate, infatti, carenze non solo nella previsione dell’aumento dei corsi petroliferi e dei prezzi di gas ed elettricità, ma anche nella stima della trasmissione dai mercati all’ingrosso a quelli al consumo. Lo dimostrano una maggiore correlazione tra i prezzi del gas all’ingrosso e i prezzi al consumo e una trasmissione quasi immediata ai consumatori dei prezzi all’ingrosso dell’energia elettrica, quando tradizionalmente questo passaggio necessitava dai tre ai dodici mesi.

Il rialzo dei tassi di interesse disposto da numerose Autorità monetarie, a cui ha dato inizio la Federal Reserve e a cui dovrebbe dare seguito la BCE, probabilmente segna la fine di un lungo periodo di credito a basso costo. L’efficacia delle tradizionali leve della politica monetaria, utili a contenere la domanda, è tuttavia da valutare se si tratta di raffreddare un’inflazione trainata dai prezzi energetici. Davanti alla BCE si pone una questione da quadratura del cerchio: bisogna contemporaneamente contenere un’inflazione da offerta, evitare di affogare la ripresa economica (le cui previsioni sono state riviste al ribasso per tutta l’area Euro) e mantenere bassi gli spread (e per questo è in definizione l’apposito scudo).

Allo stesso tempo, è necessario che il Governo concentri il proprio sostegno nel soccorso a redditi e settori maggiormente colpiti, evitando di provare a contrastare in maniera generalizzata la crescita dei prezzi. D’altra parte, se una consolazione si può individuare per l’Esecutivo, è nella gestione del debito pubblico. È noto che l’incremento dell’inflazione eroda il valore reale del debito. Da un’analisi della Corte dei Conti, al proposito emerge come l’inflazione possa contribuire, per il quadriennio 2022-2025, a un calo del rapporto debito/PIL per 12,6 punti, compensando da sola l’aumento del costo medio del debito. Ma non è certo questa la strada migliore per ridurlo.