Muoversi 3 2022
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UN APPELLO ALLA POLITICA

UN APPELLO ALLA POLITICA

di Claudio Spinaci

Claudio Spinaci

Presidente

Unione Energie per la Mobilità - unem

Questo è un anno molto particolare direi non solo per l’industria dell’energia, ma per tutto il comparto manifatturiero, e quindi nel corso della nostra ultima assemblea, di cui parliamo ampiamente nelle pagine che seguono, non potevamo non chiederci quali fossero le ragioni reali di questa grave crisi legata al costo dell’energia, al di là di ciò che emerge da un dibattito pubblico che spesso banalizza, o peggio analizza con superficialità, le principali criticità del nostro tempo.

Tutto ci dice che questa è una crisi strutturale e non congiunturale come qualcuno pensava a settembre o ottobre dell’anno scorso e come si continua, in qualche caso, a pensare oggi legandola esclusivamente all’invasione russa dell’Ucraina. Il costo dell’energia ha avuto, infatti, un aumento esponenziale già nella seconda metà del 2021 quando la guerra era ancora lontana, ed è stata la conseguenza del ritorno della domanda mondiale ai livelli del 2019 perché, per fortuna, in quel momento la pandemia sembrava del tutto superata e la Cina aveva cominciato a consumare un po’ più gas avendo avviato la trasformazione delle proprie centrali a carbone: ciò è bastato a far crescere il prezzo del gas del 400% sui mercati europei, ma solo del 30-40% negli Stati Uniti. E qui emerge la specificità geografica di questa crisi che ha travolto soprattutto l’Europa. Quindi noi nel giro di qualche mese abbiamo avuto un incremento di prezzo dell’energia dieci volte superiore rispetto alle aziende nordamericane. Questo fatto non può essere ricondotto ad un episodio congiunturale.

Evidentemente qualcosa non ha funzionato a livello europeo se il semplice ritorno della domanda ai livelli di due anni prima ha generato una crisi energetica che ha messo in ginocchio interi settori manifatturieri.

Tutto ci dice che questa è una crisi strutturale e non congiunturale come qualcuno pensava a settembre o ottobre dell’anno scorso e come si continua, in qualche caso, a pensare oggi legandola esclusivamente all’invasione russa dell’Ucraina

La vera causa, a mio avviso, è nelle politiche energetiche europee degli ultimi 10-15 anni, che hanno trascurato la sicurezza energetica concentrandosi esclusivamente – peraltro più a parole che nei fatti – su obiettivi di decarbonizzazione, mettendo da parte la variabile sicurezza nel processo di transizione. La tutela ambientale è assolutamente necessaria, ma se a questa non affianchiamo contemporaneamente la sostenibilità economica e sociale, e quindi la sicurezza energetica, alla prima discontinuità si entra in emergenza. Garantire la sicurezza energetica significa avere una programmazione ragionevole e di lungo termine, con la diversificazione delle fonti e delle tecnologie. A me sembra che tutto questo sia mancato: la programmazione è stata carente con l’introduzione continua di nuovi obiettivi sempre più stringenti e ravvicinati nei tempi, pressoché impossibili da raggiungere senza gravi contraccolpi in termini di tenuta sociale. La diversificazione delle fonti non c’è stata, anzi si è frapposto ogni sorta di ostacolo alla trasformazione delle fonti tradizionali, e tantomeno la diversificazione geografica visto che la dipendenza dal gas russo è passata dal 30% del 2010 al 40% attuale, legandoci a infrastrutture poco flessibili, assolutamente vincolanti, che stanno mettendo in ginocchio l’Europa.

Chi avrebbe mai detto che nel 2022 avremmo bruciato carbone per di più con centrali di trent’anni fa? Se qualcuno avesse pensato a come utilizzare anche il carbone in modo ambientalmente sostenibile e avesse magari modernizzato le centrali già presenti, forse oggi avremmo una freccia in più nel nostro arco. Quando si arriva a gestire l’energia con una logica emergenziale, come si sta facendo oggi, i risultati possono essere disastrosi.

La stessa cosa sta succedendo, purtroppo, con la decarbonizzazione dei trasporti. Basta guardare alle ultime decisioni dell’Europa sul “Fit for 55” che hanno lo stesso imprinting: puntare su un’unica tecnologia, con un’impostazione ideologica che esclude “a prescindere” la decarbonizzazione delle tecnologie tradizionali, nessuna neutralità tecnologica e nessuna reale competizione tra le varie fonti. L’unica via alla decarbonizzazione è stata individuata nell’elettrificazione totale della mobilità individuale, mentre l’evoluzione delle altre tecnologie è stata bloccata “per legge”. Una scelta che porta con sé gli stessi rischi che stiamo affrontando oggi per la copertura del nostro fabbisogno energetico.

Se fosse vero che l’Europa non ha pregiudizi sull’evoluzione dell’intero sistema energetico, come ci viene detto, allora perché continua ad adottare normative che impediscono alle fonti tradizionali di evolversi e contribuire concretamente alla decarbonizzazione della mobilità? Se la tecnologia elettrica fosse così palesemente superiore, costasse meno, fosse accessibile e accettata dalla maggioranza dei consumatori, allora perché c’è bisogno di una tassonomia che decide in quali settori investire e in quali no? Perché si introduce un sistema di calcolo delle emissioni parziale, e quindi sbagliato, che penalizza tecnologie come i low carbon fuels? C’è qualcuno in Italia che vorrebbe addirittura impedire l’accesso ai contributi del PNRR a fondo perduto per l’installazione di colonnine di ricarica elettrica ai titolari dei punti vendita carburanti perché in questo modo si favorirebbero i carburanti tradizionali, quando invece si dovrebbe promuovere la trasformazione di tali infrastrutture in punti vendita energie (tutte le energie!) per la mobilità.

Tutto questo mi fa perciò pensare che c’è un retropensiero con un approccio completamente ideologico. In qualche modo lo ha detto anche il Ministro Cingolani, secondo il quale “in tutta questa corsa all’elettrificazione penso che chi sta correndo non vuole i carburanti sintetici”.

Ma l’elemento che dovrebbe preoccuparci è la piega che ha preso il dibattitto dal punto di vista politico, con due fazioni completamente opposte che usano la questione energetica come contrapposizione identitaria. Sull’energia questo gioco non si può fare perché le trasformazioni richiedono piani attuativi coerenti della durata di alcuni decenni durante i quali diverse coalizioni si alterneranno

Ma il vero elemento che dovrebbe preoccuparci è la piega che ha preso il dibattitto dal punto di vista politico, con due fazioni completamente opposte che usano la questione energetica come contrapposizione identitaria di coalizione. Sull’energia questo gioco non si può fare perché le trasformazioni richiedono piani attuativi coerenti della durata di alcuni decenni. Tempi nei quali le diverse coalizioni si alterneranno e non sarà possibile ogni volta cambiare ricetta senza danni considerevoli e sprechi inammissibili. Come diceva il Prof. Prodi nell’intervista che ci ha rilasciato per l’assemblea dello scorso anno: “se non c’è una politica uniforme e coordinata, rischiamo il fallimento di tutto il processo di transizione”.

Lancio per questo un appello alle forze politiche più responsabili affinché si trovi una visione condivisa sulle reali priorità e su come affrontarle, contro ogni forma di “negazionismo” sia sui cambiamenti climatici in atto che sull’evoluzione di tutte le tecnologie per combatterli. L’Europa è nata con la CECA, proprio per affrontare tutti insieme le questioni energetiche e mai si era giocato così pesantemente in termini di visioni “partitiche”. Non si può continuare ad andare avanti secondo una logica da scontro elettorale, con una polarizzazione così forte tra due blocchi dove c’è qualcuno che afferma: “noi verdi, voi neri”.

La graduale decarbonizzazione delle fonti tradizionali è parte rilevante della soluzione e non il problema. Per questo da anni l’intera filiera cerca soluzioni realmente sostenibili, accettabili per i consumatori e che non facciano regredire la nostra società. Non entriamo nelle dinamiche politiche, ma credo sia giunto il momento che la politica inizi a vedere la questione da un punto di vista un po’ più alto, che vada al di là della disputa elettorale di breve termine.