Muoversi 4 2021
20

LA PROGRAMMAZIONE ENERGETICA IN ITALIA, INSEGNAMENTI ED ERRORI DA NON RIPETERE

LA PROGRAMMAZIONE ENERGETICA IN ITALIA, INSEGNAMENTI ED ERRORI DA NON RIPETERE

di Giorgio Carlevaro

In questa nuova puntata della “Storia del Petrolio” Giorgio Carlevaro ricostruisce i tentativi di dare al Paese una “programmazione” energetica che si sono susseguiti nei decenni. I risultati sono stati quasi mai quelli attesi. Un insegnamento per il futuro.

Giorgio Carlevaro

Direttore emerito

Staffetta Quotidiana

A volte anche in tema di energia la Storia può venire in aiuto per evitare eccessivi entusiasmi o, al contrario, infondate preoccupazioni sulle proposte, e relativi impegni, che vengono diffuse a piene mani sulle scadenze prossime venture della transizione ecologica, accompagnate da catastrofiche profezie sull’abbandono delle fonti fossili. Sta avvenendo negli ultimi mesi con il rapporto “Net Zero by 2050. A roadmap for the global energy sector” presentato in maggio dall’Agenzia Internazionale dell’Energia e con il pacchetto “Fit to 55” presentato a luglio dalla Commissione europea. Sui quali il dibattito è più che mai acceso anche in vista della COP26 in programma a Glasgow dal 9 al 20 novembre prossimi. Era già accaduto nel 1967 all’apparire delle previsioni al 2000, anche sull’energia, di Herman Kahn e Anthony Wiener dell’Hudson Institute e cinque anni dopo, nel 1972, dello studio sui  limiti dello sviluppo commissionato dal Club di Roma al Mit.
Entusiasmi e preoccupazioni che in Italia hanno accompagnato nell’arco di diversi decenni anche la storia dell’energia e i tentativi che si sono susseguiti per riuscire a programmare un settore in pieno sviluppo. Con l’esperienza dei famosi Pen.  Dalla quale oggi si potrebbero trarre utili insegnamenti su come non sia sempre facile tradurre i programmi e le buon intenzioni  in  atti concreti. Perché alcune premesse nel frattempo cambiano, perché intervengono inattesi sviluppi tecnologici e perché accadono fatti e vicende che introducono nel dibattito nuovi elementi di giudizio. Tra queste anche l’avvicendarsi dei governi e delle maggioranze che li supportano.

Una storia, quella che di seguito cerchiamo di riassumere, che risale ai primi anni ’60 del secolo scorso, nell’ambito del rilancio degli studi per la programmazione economica, promosso nel maggio 1962 dal ministro del Bilancio, Ugo La Malfa, con la costituzione di un’apposita Commissione di esperti presieduta dal prof. Pasquale Saraceno.

Con il primo tentativo di dare vita ad un piano energetico nazionale, di cui le premesse erano state poste con l’istituzione da parte del ministro dell’Industria, Giuseppe Medici, nel marzo 1964, di una Commissione consultiva per l’energia, chiamandone a far parte rappresentanti dei grandi produttori e dei grandi consumatori, alti dirigenti dell’amministrazione pubblica e alcuni esperti. Medici, che nell’estate 1963, ministro del Bilancio nel “Governo ponte” di Giovanni Leone, era stato già edotto dallo stesso Saraceno di una serie di nodi che stavano caratterizzando lo sviluppo dei consumi di energia e le prospettive di approvvigionamento delle diverse fonti, anche alla luce dei problemi causati nell’autunno del 1962 dalla drammatica scomparsa del fondatore dell’Eni e dalla nazionalizzazione dell’industria elettrica (Legge 6 dicembre 1962 n. 1643).

Il rapporto Saraceno, presentato al nuovo ministro del Bilancio, Antonio Giolitti, nell’aprile 1964 (pochi giorni dopo l’istituzione della Commissione consultiva), sottolineava a proposito dell’energia il considerevole impegno a cui sarebbe stata chiamata l’industria italiana per soddisfare un incremento del fabbisogno stimato nell’ordine del 7% medio annuo, cioè lungo una traiettoria di raddoppio almeno decennale della domanda e quindi della capacità di offerta. Un tasso di aumento pressoché analogo a quello del decennio precedente, ma in una prospettiva di minor apporto di fonti energetiche interne a causa della stazionarietà della produzione idro-geoelettrica e del progressivo esaurimento delle riserve di gas della Valle Padana. Non a caso Medici, nell’istituire la Commissione consultiva, mirava a evidenziare i problemi e le necessità che il settore energetico avrebbe dovuto affrontare per favorire lo sviluppo economico del Paese e, fin dove possibile, di indicare le direttrici ritenute idonee alla loro soluzione. Partendo dalla elaborazione, a cura di un gruppo di lavoro diretto dal prof. Luigi Guatri dell’Università Bocconi, di un “bilancio energetico nazionale” riferito alle singole fonti, considerate dalla fase della disponibilità fino a quella della utilizzazione, al fine di favorire una migliore conoscenza dell’economia energetica del Paese e di valutare con maggiore accuratezza l’evoluzione strutturale e congiunturale del settore. Negli stessi mesi in cui a Bruxelles il commissario Robert Marjolin tentava di lanciare il progetto di una “politica energetica europea” anche in vista dell’unificazione dal 1° gennaio 1966 degli esecutivi di Cee, Ceca e Euratom.

Mentre la commissione consultiva cercava di trovare un punto di mediazione tra chi puntava ad un elevato grado di libertà negli approvvigionamenti e chi poneva invece con forza il problema della sicurezza, al ministero del Bilancio, sotto la direzione di Giorgio Ruffolo, fervevano i lavori per l’elaborazione del primo “piano economico quinquennale” di cui una bozza uscì nel gennaio 1965 e quella definitiva nel settembre 1966, varato poi nell’estate 1967 con la Legge 27 luglio 1967 n. 685, relativamente al periodo 1966-1970. Più politico che tecnico, il piano aveva il pregio di individuare nel crescente squilibrio tra fabbisogno di energia e produzione interna un problema “grave” che andava affrontato immediatamente. Un’indicazione che, se fosse stata accolta, avrebbe consentito al Paese di affrontare da posizioni di minore debolezza le crisi energetiche degli anni ’70. Il peso del petrolio nella copertura del fabbisogno energetico tra il 1965 e il 1970 salì infatti dal 60,8 al 69,6%, e toccò nel 1973, l’anno della crisi del Kippur, il 73,8%. Mentre l’apporto della produzione interna di energia, che tra il 1965 e il 1970 era sceso dal 31,2 al 23,1%, si era ridotto al 22,1%. Una performance favorita dal rapido moltiplicarsi delle centrali a olio combustibile dell’Enel, dai ritardi nell’ordinazione di nuove centrali nucleari, dall’uscita del carbone da riscaldamento, industria del gas, cementifici e industria dei laterizi e, altresì, da una politica di tariffe e di prezzi amministrati che aveva favorito uno sviluppo abnorme dei consumi e fenomeni di spreco in molti settori. Non a caso di programmazione della politica energetica italiana si era tornati a parlare nell’estate del 1973, quando i segnali di deterioramento del quadro petrolifero internazionale emersero in tutta evidenza. Un’esigenza che non sfugge al nuovo presidente del Consiglio, Mariano Rumor, che nel presentare al Parlamento il 16 luglio il suo Governo accenna alla necessità di interventi relativi all’approvvigionamento del petrolio greggio, “anche al fine di razionalizzare le fasi della raffinazione e della distribuzione dei prodotti petroliferi”. Fasi che negli ultimi anni avevano registrato un abnorme sviluppo che aveva portato a fenomeni di sovraccapacità e a squilibri a livello territoriale.

Dal piano petrolifero del 1974 ai Pen approvati tra il 1975 e il 1988

Per attuare questa indicazione occorre attendere però il 29 settembre con l’incarico affidato al ministro dell’Industria, Ciriaco De Mita, di predisporre un piano per la riorganizzazione del settore petrolifero. L’idea è partita da Antonio Giolitti, tornato al ministero del Bilancio e della Programmazione economica dopo l’interregno di un anno di Paolo Emilio Taviani che, nel luglio 1972, aveva bloccato i lavori del piano quinquennale 1971-1975 facendolo slittare al 1973-1977. Di conseguenza si erano bloccati anche gli studi in corso dal 1969 finalizzati alla predisposizione entro il 1971 di un programma nucleare ed entro il 1972 di un programma per l’approvvigionamento e la raffinazione dei prodotti petroliferi. Sotto la spinta degli eventi, De Mita riparte proprio da questi studi, ma lo scoppio, il 6 ottobre 1973, della crisi del Kippur interferisce in questo programma obbligando il Governo a dare la precedenza alla predisposizione delle misure di contenimento dei consumi petroliferi che vedranno la luce il 22 novembre. Malgrado nel frattempo molti dati di partenza fossero cambiati, dati su cui si stava soffermando un’indagine conoscitiva avviata d’urgenza dalla Camera il 7 dicembre, a sorpresa il piano petrolifero che De Mita presenta al Cipe il 29 gennaio 1974 non ne tiene conto, affidandosi ancora a ipotesi di base ottimiste sia in termini di sviluppo del reddito nazionale sia in termini di evoluzione dei consumi energetici. Come se nulla fosse accaduto. Concentrando il campo di osservazione solo sul settore petrolifero, accentuando e rafforzando il peso dell’Eni, e rinviando ad un futuro piano energetico globale la considerazione dei problemi delle altre fonti. Di certo un piano che non poteva dare una risposta ai problemi sollevati dalla crisi sui fronti della dipendenza energetica dall’estero, della sicurezza degli approvvigionamenti e dell’onere valutario legato alla quadruplicazione dei prezzi del petrolio. E soprattutto sul fronte della diversificazione delle fonti. Con la necessità quindi a breve di rimetterci le mani.

Pasquale Saraceno

La stagione dei PEN

Lacune avvertite da Carlo Donat Cattin che il 23 novembre 1974 prende il posto di De Mita al ministero dell’Industria nel Governo Moro e nel giugno 1975 chiama accanto a sé, come direttore generale delle Fonti di Energia, Giuseppe Ammassari. A lui l’incarico di predisporre un programma energetico nazionale, il primo di una serie che in tredici anni arriverà a contarne ben cinque, i famosi Pen. Presentato il 1° agosto 1975 verrà approvato a tempo di record dal Cipe il 23 dicembre dello stesso anno. Con il primo segnale di “stop al tutto petrolio”, un aumento consistente dell’impiego di carbone e di metano nei mesi estivi nelle centrali termoelettriche e con il via libera ad un programma di costruzione di ben 20 centrali nucleari. Rimase invece nel cassetto l’idea di Donat Cattin di istituire un Alto commissario per l’energia che, se attuata, avrebbe forse evitato molte delle delusioni che hanno marcato negli anni la governabilità energetica italiana. Un piano, quello del 1975, che divide le forze politiche e suscita molte reazioni negative, in particolare sulla parte nucleare, che avranno modo di manifestarsi nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle fonti di energia avviata dalla commissione Industria della Camera il 16 ottobre 1976, le cui conclusioni, approvate il 28 aprile 1977, saranno poi oggetto di un dibattito concluso il 5 ottobre con l’approvazione di una mozione che sottolineava la necessità di un ricorso equilibrato e controllato all’energia nucleare. Mozione sulla base della quale il Cipe, il 23 dicembre 1977, approva una nuova delibera di aggiornamento del Pen che sancisce il ridimensionamento nucleare da 20 a 8 centrali, di cui 4 già appaltate, e l’impegno a una revisione annuale delle tariffe elettriche. Sui prezzi petroliferi era già intervenuto in agosto dando via libera al Cip alla revisione del metodo prezzi. Tra le decisioni più significative la costituzione di una struttura organizzativa per il risparmio dell’energia e lo sviluppo delle fonti alternative. Delibera pubblicata solo due mesi dopo, il 24 febbraio 1978, a causa di contrasti sul ruolo di coordinamento di Eni, Enel e Cnen affidato al ministero dell’Industria. Passano due anni e nella primavera del 1980 tocca ad Antonio Bisaglia, ministro dell’Industria dall’agosto 1979 dopo che a via Veneto a Donat Cattin erano subentrati prima Romano Prodi (dal novembre 1978) e poi Franco Nicolazzi (dal marzo 1979), mettere in cantiere un nuovo progetto di revisione del piano energetico. L’esigenza di una revisione era emersa in tutta la sua urgenza da una serie di provvedimenti approvati dal Consiglio dei Ministri tra il novembre e il dicembre del 1979 dopo dodici mesi di grandi tensioni sul fronte degli approvvigionamenti: un decreto legge per fronteggiare la penuria di gasolio e gpl, un decreto legge per la riduzione dei consumi di olio combustibile nelle centrali termoelettriche e l’autorizzazione alla costruzione da parte di Enel di nuove centrali a carbone e a turbogas e un disegno di legge organico sul contenimento dei consumi di energia, sullo sviluppo delle fonti rinnovabili e su una nuova disciplina delle scorte petrolifere. Revisione che, dopo una prima stesura, viene limata e corredata da quattro appendici dal successore di Bisaglia, Filippo Maria Pandolfi, e presentata al Cipe il 26 giugno 1981, due giorni prima di passare la mano a Giovanni Marcora. Riveduto e corretto anche dal nuovo ministro, il nuovo piano viene presentato una prima volta al Cipe il 7 agosto 1981 e una seconda volta il 25 novembre, dopo un’ultima risciacquatura per tener conto delle indicazioni arrivate il 22 ottobre da Camera e Senato che impegnano il Governo ad una politica di diversificazione mirata alla sostituzione di quote via via crescenti di petrolio con il carbone, il gas naturale, il nucleare e le fonti rinnovabili, nonché con il risparmio energetico. Il Cipe lo approverà il 4 dicembre con una delibera molto articolata che prevede tra l’altro, oltre ad un rigoroso coordinamento degli interventi pubblici a livello centrale, regionale e locale, il potenziamento dell’attività di ricerca degli idrocarburi, il passaggio dei prezzi petroliferi al regime sorvegliato e al riferimento ai prezzi Cee, la predisposizione di un piano di riorganizzazione e riqualificazione della raffinazione, il completamento della metanizzazione del Mezzogiorno, la localizzazione di tre centrali a carbone in Puglia, Calabria e Lombardia e di tre centrali nucleari in Lombardia, Piemonte e Puglia, la conferma della validità dei reattori Pec e Cirene, la sollecita attuazione del progetto unificato di centrali PWR, la formulazione di piani annuali di approvvigionamento del carbone con la stipula di contratti di acquisto a lungo termine, la stipula di convenzioni degli enti energetici nazionali con le Regioni sul cui territorio erano previste installazioni energetiche per inserire le stesse nei piani di sviluppo regionali.
Passano tre anni e già si impone un aggiornamento. A promuoverlo, alla fine del 1984, è Renato Altissimo arrivato a Via Veneto nell’agosto 1983 nel primo Governo Craxi, dopo un secondo passaggio di Pandolfi tra il dicembre del 1982 e il luglio del 1983.

Herman Kahn e Anthony J. Wiener

A spingerlo a questo passo, di cui non vi era traccia nel programma del Governo, il mutamento qualitativo e quantitativo intervenuto negli ultimi due anni nello scenario energetico internazionale e i diversi gradi di attuazione degli obiettivi indicati dall’ultimo Pen (riduzione percentuale di 10 punti della dipendenza dal petrolio, acquisizioni di nuove disponibilità di gas naturale dall’Algeria e dall’Urss, incremento dei consumi di carbone, entrata in funzione della centrale nucleare di Caorso, primi positivi risultati della politica di risparmio energetico, trasformazione del Cnen in Enea). Considerazioni condensate in un documento presentato al Parlamento nel febbraio del 1985 in cui si evidenziava, tra l’altro, il fatto che il mercato del greggio fosse caratterizzato da una fase di abbondanza, l’eccedenza ormai strutturale della capacità di raffinazione, una sostanziale modifica del quadro previsionale dei consumi energetici (minore per quelli elettrici), una modifica delle convenienze definite nel 1981 quanto all’utilizzo delle diverse fonti, il regresso di quelle marginali e rinnovabili, gli slittamenti nella realizzazione delle centrali elettriche compensati dai ritardi nello sviluppo della domanda. Arrivando peraltro alla conclusione che il Pen, anche sul piano del metodo, rimaneva anche in sede di revisione “un buon strumento di governo”. Ignorando la stanchezza che stava invece maturando per un metodo di lavoro che si era rivelato assolutamente inefficace sia a cogliere le forze in movimento, valutandone l’impatto e l’evoluzione, sia a tradurre i programmi in comportamenti coerenti. Come se quello che era proponibile nel 1975, nel 1977 e nel 1981 lo fosse pure nel 1985 in circostanze congiunturali e strutturali molto diverse Un esigenza di cambiamento, a cui il 16 luglio si era aggiunta la proposta, avanzata dal presidente dell’Eni, Franco Reviglio, di aprire un dibattito sul tema delle istituzioni che operano nel settore dell’energia, partendo dall’esigenza di migliorare il sistema vigente in modo che il Paese potesse mettere in atto una politica dell’energia consona ai suoi interessi e basata su di un ampio consenso. Lo stesso giorno in cui il presidente Craxi inseriva anche l’energia tra i punti caldi della verifica governativa, sottolineando l’esigenza di determinare “un quadro operativo di maggiori certezze per gli enti energetici e per le istituzioni preposte agli iter autorizzativi e di controllo”. Esigenze che trovarono in parte risposta nella delibera con cui il Cipe il 5 aprile 1986 approvò la proposta di aggiornamento, ovvero il varo di un nuovo Pen. Stabilendo che il ministro dell’Industria dovrà assicurare la governabilità del settore energetico realizzando un forte coordinamento degli enti energetici “pur nel rispetto della funzionalità ed autonomia operativa dei medesimi e degli organi preposti al controllo”. Avvalendosi di un Comitato permanente per l’energia. Un Pen, tra l’altro, più verde, e anche mirato nelle intenzioni ad essere più governabile.
A far saltare il banco interviene il 26 aprile 1986, venti giorni dopo l’approvazione del nuovo Pen, l’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl in Ucraina, allora parte dell’Unione Sovietica. Un evento che suscita in tutto il mondo una forte emozione, la stessa che sarà sperimentata quindici anni dopo nel marzo 2011 dopo l’incidente di Fukushima in Giappone. Con tutte le conseguenze del caso: la sospensione a titolo cautelativo dei lavori di costruzione delle nuove centrali nucleari, la convocazione a Roma nel febbraio 1987 di una Conferenza nazionale dell’energia, le dimissioni all’inizio di marzo del Governo Craxi e lo scioglimento a fine aprile del Parlamento anche per la difficoltà di trovare un accordo tra i partiti della maggioranza sulla politica energetica, l’insediamento il 29 luglio del Governo Goria di cui fa parte, come nuovo ministro dell’Industria, Adolfo Battaglia, l’anticipazione all’8 novembre da parte del nuovo Parlamento della data di convocazione del Referendum promosso dal fronte antinucleare, la netta vittoria degli oppositori, interpretato come un “no” senza appello all’utilizzo di questa fonte.
Lo sancisce in modo ambiguo il compromesso sul cosiddetto “presidio nucleare” che a metà novembre salva il Governo dalla crisi e ancor più esplicitamente la risoluzione sull’energia votata alla Camera il 18 dicembre.
Che impegna il Governo a redigere un nuovo Pen, ad assicurare maggiore flessibilità nella produzione di energia, a prevedere una adeguata politica di diversificazione delle fonti, a condurre un’analisi dettagliata del parco elettrico, a perseguire la realizzazione di centrali policombustibili, ad incrementare lo sfruttamento delle risorse idroelettriche, anche minori e anche da parte degli auto-produttori, l’utilizzo dei campi geotermici e le fonti rinnovabili. Per quel che riguarda l’energia nucleare, la risoluzione impegna il Governo a sospendere la costruzione di Trino 2, a procedere alla chiusura di Latina, ad accertare la sicurezza di Caorso e di Trino 1, a verificare la possibilità tecnica e la convenienza economica della riconversione di Montalto di Castro.
Sul nuovo Pen, il quinto della serie, l’incarico di redigerlo era già stato affidato da Battaglia al nuovo Comitato tecnico per l’energia insediato il 30 novembre 1987. Un lavoro a tappe forzate di cui Battaglia il 29 gennaio 1988 è già in grado di illustrare le linee direttrici in Consiglio dei Ministri, rilevando tra l’altro che la definizione della politica energetica non può esaurirsi nella formulazione e nelle successive revisioni dei Pen, ma richiede uno strumento di Governo che stabilmente e con continuità presieda alla formulazione e all’aggiornamento della programmazione, all’operatività degli indirizzi generali del Parlamento e costituisca il centro propulsore delle azioni di attuazione del piano. Un lavoro che si conclude a fine giugno e che il 10 agosto consente a Battaglia di fare approvare il nuovo Pen dal Consiglio di Ministri e di presentarlo al Parlamento il 30 settembre. Nel frattempo il 5 agosto il Governo aveva approvato un decreto-legge che interrompeva definitivamente la costruzione della centrale di Montalto. A differenza delle precedenti revisioni, il Pen del 1988 non prevede l’approvazione da parte del Cipe, bensì la predisposizione di un apposito disegno di legge di attuazione, sdoppiato successivamente in due disegni di legge, uno sul risparmio energetico, approvato dal Governo il 30 novembre e l’altro sull’attuazione vera e propria del Pen 1988, approvato il 12 maggio 1989. Leggi che vedranno la luce solo il 9 gennaio 1991, dopo un lungo iter parlamentare e la minaccia di Battaglia di dimettersi se non fossero state finalmente approvate. Pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 6 gennaio, la Legge n. 9 riguarda gli aspetti istituzionali, le centrali idrolettriche, gli elettrodotti, gli idrocarburi, la geotermia, l’autoproduzione e una serie di disposizioni fiscali, la Legge n. 10 l’uso razionale dell’energia, il risparmio energetico e lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Un lungo lasso di tempo dovuto anche questa volta alla esasperata valenza politica che avevano sempre assunto in Italia le scelte di politica energetica, con il risultato di trasformare anche la materia dell’energia in un gioco di potere, di veti incrociati, di spartizione di cariche e di risorse. Con i governi ostaggio di opposte tifoserie e terreno di scontri politici che più che a risolvere i problemi puntano a trovare consensi a breve. Un lungo lavoro quello per attuare il Pen 1988 che viene vanificato nel 1992 in piena crisi economica dall’avvento della stagione della privatizzazione degli enti energetici decisa dalla sera alla mattina per decreto-legge dal Governo Amato, essendo ministro dell’Industria e delle Partecipazioni Statali Giuseppe Guarino, cui segue quella della liberalizzazione dei mercati dell’elettricità e del gas, il primo con il decreto legislativo 16 marzo 1999 n. 79  essendo ministro dell’Industria Pierluigi Bersani e il secondo con il decreto legislativo 23 maggio 2000 n. 164  con ministro dell’Industria Enrico Letta. Una stagione preceduta, con la legge 14 novembre 1995 n. 481, dall’istituzione dell’Autorità per l’energia, operativa dal novembre 1996.

Dai Pen alla Sen e al Piniec 

Di revisione dei Pen non si parlerà più fino all’estate del 2008 quando il nuovo Governo Berlusconi e il nuovo ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, decidono di avventurarsi nel rilancio del nucleare e in un nuovo esercizio di programmazione. Lo prevede l’art. 7 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 con la formula della definizione da parte del Consiglio dei Ministri, entro sei mesi dall’entrata in vigore, di una Strategia energetica nazionale, la cosiddetta Sen. Che dovrà indicare le priorità per il breve ed il lungo periodo e le misure necessarie per conseguire una serie di obiettivi, tra cui la realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare. Obiettivo spazzato via nel marzo 2011 dall’incidente, già ricordato, di Fukushima in Giappone e dal risultato in giugno del secondo referendum contro il nucleare già indetto prima dell’incidente.  Sen che di scadenza in scadenza e il cambio ripetuto dei timonieri dovrà attendere l’8 marzo 2013, alla vigilia di una nuova legislatura, per vedere la luce. Rilanciato nel 2011 dal Governo Monti e dal ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera. Un atto di indirizzo strategico su energia e clima abbinati insieme, che puntava su 7 priorità: efficienza energetica in un mercato competitivo, hub del gas sud-europeo, sviluppo sostenibile delle energie rinnovabili, ristrutturazione della raffinazione e della rete carburanti, produzione sostenibile di idrocarburi nazionali, modernizzazione del sistema di governance. Puramente orientativo. Non se ne farà nulla e bisognerà aspettare, dopo i governi Letta e Renzi, il Governo Gentiloni per arrivare a promulgarne una nuova edizione nell’ottobre 2017.
Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda e ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti. Anticipatore per molti aspetti del piano energia e clima richiesto dalle nuove direttive UE. Il Pniec (Piano nazionale integrato energia e clima) che, proposto nel 2018, vedrà la luce dopo molti confronti alla fine del 2019 con il Governo Conte 2. Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli e ministro dell’Ambiente Sergio Costa. Un documento che fissa gli obiettivi nazionali al 2030 su efficienza energetica, sviluppo delle fonti rinnovabili, riduzione delle emissioni, sicurezza energetica, interconnessioni, mercato unico dell’energia, mobilità sostenibile. Un documento vincolante che per la prima volta, a differenza dei Pen e della Sen, impegna il Paese nell’ambito di uno sforzo comune europeo. All’insegna del Green New Deal.