Muoversi 2 2023
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LUCI ED OMBRE SUI MERCATI PETROLIFERI

LUCI ED OMBRE SUI MERCATI PETROLIFERI

di Rita Pistacchio

Rita Pistacchio

Rilevazioni e Analisi unem

Uno sguardo al 2022

Il 2022 è stato caratterizzato da uno straordinario shock dell’offerta energetica a livello globale, i cui sintomi si erano già manifestati a fine 2021. Anche il petrolio ne ha subito le conseguenze, sebbene in misura diversa rispetto al gas. Per soddisfare la domanda energetica italiana, che stimiamo in calo sul 3%, le diverse fonti energetiche hanno rilevato variazioni inattese rispetto ai trend consolidati. Oltre all’emergenza geopolitica, che ha spinto a mutare profondamente i flussi di approvvigionamento, e alle politiche di sostituzione fra fonti messe in atto per tamponarne le conseguenze, vi è stata anche l’emergenza legata alla siccità che ha fatto crollare la produzione idroelettrica di quasi il 38% e pertanto il supporto della nostra principale fonte rinnovabile. Nelle variazioni del nostro bilancio energetico spicca la forte riduzione del gas, di circa il 10%, seguita da quella delle fonti rinnovabili, superiore all’8%. Questi eccezionali cali sono stati controbilanciati soprattutto dal carbone, che nella produzione termoelettrica ha rilevato un aumento di oltre il 60% e che a livello di energia primaria è risultato in crescita del 35%.

Sotto il profilo economico, il conflitto russo ucraino ha provocato un esborso netto dall’estero per le fonti energetiche, la cosiddetta «fattura energetica», superiore ai 114 miliardi di euro, un record nella storia italiana, con un peso arrivato al 6% del nostro Pil

In un contesto di improvvisi e profondi mutamenti il petrolio, grazie alla sua maggiore flessibilità, ha affrontato le sfide del 2022 riorientando i propri flussi, contenendo gli aumenti dei costi e garantendo la sicurezza energetica al Paese, oltre alla mobilità. Passando dal 33% a circa il 36%, il suo peso nel soddisfacimento della domanda energetica italiana si è rafforzato nel 2022, confermandosi la seconda fonte di energia. Sotto il profilo economico, il conflitto russo ucraino ha provocato un esborso netto dall’estero per le fonti energetiche, la cosiddetta «fattura energetica», superiore ai 114 miliardi di euro, un record nella storia italiana, con un peso arrivato al 6% del nostro Pil. L’aumento di circa 65 miliardi della fattura energetica è stato determinato per il 73% da gas ed elettricità, il cui esborso è quasi triplicato rispetto al 2021. Il petrolio ha rilevato, per contro, la variazione più contenuta fra le diverse fonti (+68%) con un peso sul Pil pari all’1,7%. La produzione nazionale di petrolio e gas, pari a 7 milioni di Tep, ci ha tuttavia consentito un risparmio di oltre 6 miliardi di euro. Nello specifico dei consumi petroliferi, l’anno si è chiuso a 58,2 milioni/tonnellate, 2,8 milioni in più rispetto al 2021 ma inferiori di 1,9 rispetto al 2019. Alcuni prodotti petroliferi ne hanno frenato, in misura più o meno ampia, il ritorno ai livelli pre-pandemici (carboturbo, petrolchimica, gasoli per riscaldamento agricolo, ecc.), mentre altri, come i carburanti, hanno rilevato un aumento congiunturale legato ad effetti eccezionali. La petrolchimica, fra i pochi prodotti che non avevano subito effetti negativi della pandemia, anzi in costante crescita nel triennio 2019-2021, ha invece chiuso l’anno con volumi del 26% più bassi, con una situazione di particolare criticità che si è evidenziata da maggio in poi. I carburanti, benzina e gasolio, invece non solo hanno sostenuto il recupero dei volumi petroliferi complessivi persi con la pandemia, ma li hanno addirittura superati di mezzo milione di tonnellate.

Valutandoli separatamente, si nota che è stata sostanzialmente la benzina ad essere responsabile di tale risultato, in particolare da agosto in poi. Nel complesso la benzina è cresciuta dell’11,6% (+818.000 tonnellate), arrivando a 7,9 milioni di tonnellate, mentre il gasolio ha rilevato un incremento del 2,7% (+630.000 tonnellate).

Carburanti stradali e driver di
crescita

Sappiamo che il parco circolante italiano è sempre più vecchio e stenta a rinnovarsi. Nello specifico del parco auto (quello più numeroso fra le tipologie di circolante), nel 2022 con un 1,3 milioni di unità ha toccato un livello di immatricolazioni tra i più bassi della storia e con radiazioni pari a poco più di 1 milione di auto. Tuttavia, già da qualche tempo questo parco e i suoi consumi stanno subendo delle profonde modifiche strutturali che sono sempre più evidenti, quali l’ibridizzazione dei motori e lo switch da gasolio a benzina.

A questi importanti driver strutturali, nel corso del 2022 se ne sono aggiunti altri due, quantitativamente meno rilevanti, ma peculiari del contesto, determinati dalla diversa economicità fra carburanti alternativi (metano auto e GNL) e fra Paesi limitrofi.

La costante riduzione delle forniture di gas dalla Russia ha acutizzato le carenze di offerta di tale fonte e anche le quotazioni dei carburanti gassosi hanno subito dei trend in forte ascesa, già da fine 2021. Tale fenomeno, inusuale per questi prodotti che storicamente erano sempre stabili con prezzi al consumo inferiori ai carburanti liquidi, ha spiazzato i consumatori, spingendo ad utilizzare la benzina nei mezzi a metano bifuel. E anche l’utilizzo e l’acquisto dei veicoli merci a GNL ha subito una brusca frenata.

Altro fenomeno congiunturale riguarda la disparità di interventi per tamponare gli effetti del «caro energia» che alcuni Paesi limitrofi non hanno adottato nella primavera del 2022, come invece fatto da altri Paesi, Italia compresa. Austria e Svizzera, ad esempio, non sono mai intervenute sui prezzi e ciò ha favorito il pieno oltre frontiera

Altro fenomeno congiunturale riguarda la disparità di interventi per tamponare gli effetti del «caro energia» che alcuni Paesi limitrofi non hanno adottato nella primavera del 2022, come invece fatto da Italia e altri. Austria e Svizzera, ad esempio, non sono mai intervenute sui prezzi e ciò ha favorito il pieno oltre frontiera e ridotto i loro consumi tra il 2 e il 5%. In particolare, in Italia nel periodo estivo in media i prezzi dei carburanti sono risultati più bassi di quasi 42 centesimi euro/litro per la benzina e di oltre 61 per il gasolio rispetto a quelli praticati in Svizzera.

Cresce l’apporto della raffinazione

Nel 2022 le lavorazioni delle raffinerie italiane sono aumentate di circa il 7%, trainate dall’incremento dei consumi interni (+5%), e dalle esportazioni (+4%). In particolare, le esportazioni di prodotti petroliferi hanno contribuito alla bilancia commerciale con oltre 25 miliardi di euro, quasi il doppio rispetto al 2021, grazie a maggiori quantità esportate (oltre 28 milioni di tonnellate) e alla maggiore valorizzazione dei prodotti.  Anche le esportazioni di biocarburanti hanno dato un contributo positivo, passando da 1,1 a 2,4 miliardi di euro. Quanto alle fonti di approvvigionamento di greggio, il contesto determinatosi dopo il 24 febbraio 2022 ha prodotto un solco profondo nelle provenienze, considerato che a seguito dell’entrata in vigore dell’embargo al petrolio russo quasi tutte le compagnie hanno dovuto dirigersi verso altri mercati.

Nel complesso abbiamo importato 62,5 milioni di tonnellate di petrolio (+9,6%) da 28 Paesi diversi (rispetto ai 22 del 2021) per 82 qualità differenti (rispetto alle 73 del 2021). In una situazione di improvvisa complessità, quale quella conseguente al venir meno dei flussi russi di greggi (pari a oltre il 10% dei greggi importati), la raffinazione ha saputo riorientare i suoi flussi di approvvigionamento, pur con notevoli difficoltà finanziarie, dati dagli alti costi energetici.

Uno sguardo ai prezzi internazionali

Per quanto riguarda i prezzi internazionali, in media il Brent nel 2022 si è attestato a 99 dollari/barile, più del doppio rispetto alla media del 2020.

Il progressivo allontanamento dei Paesi occidentali dal mercato russo ha innescato un crollo delle quotazioni del greggio Ural a favore di greggi alternativi e un rialzo delle quotazioni del Brent, che nella prima settimana di marzo ha segnato il primo picco di 128 dollari/barile, corrispondenti a 118 euro/barile, un record storico.

Il rilascio delle scorte strategiche e le misure restrittive per nuova ondata pandemica in Cina hanno rallentato temporaneamente le tensioni sui mercati. Dopo quelle di Stati Uniti e Regno Unito nel primo trimestre, il 3 giugno la pubblicazione del sesto pacchetto di sanzioni con il blocco alle importazioni di greggio e di prodotti petroliferi russi ha determinato un nuovo rialzo delle quotazioni, con il Brent arrivato l’8 giugno a 124 dollari/barile.

Nel secondo semestre hanno invece prevalso le spinte ribassiste per la possibile recessione dell’economia mondiale, data l’inflazione elevata e le politiche restrittive delle banche centrali sui tassi di interesse e per il rallentamento della Cina, che hanno frenato le quotazioni. I corsi del petrolio hanno così progressivamente ripiegato fino agli 80 dollari/barile di fine anno. Anche per le quotazioni il 2022 ha registrato delle peculiarità, anzitutto l’elevata volatilità. Storicamente il delta giornaliero variava fra il mezzo dollaro e 1-2 al massimo in casi eccezionali. Nel 2022 la forchetta si è amplificata, con differenze dai 7-9 a oltre 10 dollari da un giorno all’altro, riflettendo la maggiore incertezza dei mercati.

Altra caratteristica è stato il progressivo indebolimento del cambio euro-dollaro, che aveva iniziato a 1,13-1,14, poi sempre più vicino alla parità da aprile, e infine sotto la parità ad agosto-settembre, per chiudere l’anno intorno a 1,06, con un effetto penalizzante sulle quotazioni del barile in euro che il 2 marzo 2022 per la prima volta nella storia hanno superato quota 100. Altro aspetto peculiare riguarda le quotazioni dei prodotti. Storicamente le quotazioni di benzina e gasolio hanno sempre rilevato un delta compreso in 2-3 dollari/tonnellata dovuto a motivi stagionali (la benzina generalmente in estate, il gasolio in inverno), mentre nell’anno la paura di minore disponibilità di gasolio per il venir meno delle esportazioni russe verso l’Europa ha fatto lievitare in misura record le sue quotazioni. Per la prima volta nel 2022 abbiamo infatti assistito ad impennate particolarmente significative che hanno provocato una inversione nei livelli dei prezzi.

Le quotazioni del gasolio hanno infatti risentito delle criticità sul mercato europeo per:

la carenza strutturale distillati medi in Europa, che era sempre compensata dalle importazioni di prodotto russo (pari al 35% delle importazioni europee);

il venir meno dei greggi sour Urals, pari al 20% del grezzo lavorato nelle raffinerie OCSE, utilizzati proprio per produrre distillati medi;

la capacità di raffinazione che si è ridotta nell’ultimo decennio, si è rivelata scarsa rispetto alla domanda in Europa e USA;

una accelerazione nella riduzione delle scorte di distillati medi che già alla fine del 2021 erano ai minimi dal 2017.

Cosa aspettarci nel 2023

L’apparente stabilità delle quotazioni del greggio, con oscillazioni marginali e una media nel primo trimestre attorno agli 82 dollari/barile rispetto agli oltre 97 del 2022, nasconde la spinta di forze contrapposte: da un lato, la domanda della Cina che è prevista salire molto, dando un forte impulso alla domanda petrolifera, dall’altro, la domanda delle economie occidentali che invece sta frenando per effetto della stretta monetaria avviata dalle Banche centrali e di tassi di inflazione elevati. Per quanto riguarda il lato offerta, agli ulteriori possibili sviluppi negativi di natura geopolitica, si sono aggiunte ad inizio aprile 2023 le dichiarazioni a sorpresa di un ulteriore taglio delle forniture di greggio da parte dei Paesi Opec Plus che al target di 2 milioni barili/giorno deciso nell’ottobre scorso, ha aggiunto una nuova riduzione dei volumi disponibili nel mercato di 1,6 milioni barili/giorno. Con quale sentiment?

In chiave rialzista, visto che subito dopo l’annuncio il Brent è salito di 5 dollari/barile, o piuttosto in misura precauzionale ritenendo che la crescita della domanda dell’anno sarà molto meno ampia?

Per il momento le quotazioni sembrano aver scelto quest’ultima ipotesi e, secondo ad alcuni analisti, la mossa dell’Opec Plus sarebbe dettata più da motivi politici, come un messaggio diretto agli Stati Uniti sul fatto che gli equilibri stanno cambiando. In questo solco si inserisce anche un altro fattore eccezionale che si sta già delineando, ossia l’avvento di un processo che è stato definito di “de-dollarizzazione” del petrolio. L’abbandono del dollaro nelle transizioni per le altre “valute chiave” mondiali, quali lo Yuan, non solo ridimensiona il ruolo della finanza statunitense nei mercati internazionali, ma apre a scenari del tutto inediti anche sul fronte di equilibri geopolitici mondiali già instabili.