Muoversi 3 2023
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PNIEC E MOBILITÀ SOSTENIBILE: PERCHÉ SERVE UNA POLITICA INDUSTRIALE

PNIEC E MOBILITÀ SOSTENIBILE: PERCHÉ SERVE UNA POLITICA INDUSTRIALE   

di Simona Benedettini

Simona Benedettini

Economic and Energy Consultant

Il recente Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima ha recepito i nuovi target europei al 2030 in materia di decarbonizzazione fissati in seguito all’approvazione del Piano REPowerEU. Quest’ultimo fissa al 2030 un obiettivo di riduzione delle emissioni nei settori coperti dal meccanismo Emission Trading Scheme (ETS) pari al 62% (rispetto ai livelli del 2005) e al 43,7%, nel complesso, per i settori non coperti dal meccanismo ETS come quello dei trasporti. In particolare, il PNIEC ha declinato questo ultimo target per l’Italia in un range tra il 35,3% e il 37,1%.
Al riguardo, il PNIEC fissa due principali linee di intervento. La prima è quella della riduzione del fabbisogno di mobilità attraverso, in particolare, un rafforzamento del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa. La seconda è quella di un incremento significativo della quota di fonti rinnovabili sui consumi finali lordi di energia del settore dei trasporti. In merito, il Piano fissa un obiettivo del 31% contro il 65% del comparto elettrico e del 37% per consumi da raffrescamento e riscaldamento. Numeri, questi, che riflettono anche un diverso contributo di questi settori alla produzione di emissioni clima alteranti. Questa seconda linea di azione prevede il ruolo di una molteplicità di vettori. In primo luogo, il vettore elettrico, rispetto al quale il PNIEC si attende al 2030 la diffusione di circa 6,6 milioni di veicoli elettrici (di cui 4,3 milioni elettrici puri). A seguire, biocarburanti avanzati e di prima generazione, idrogeno di origine biologica e idrogeno da FER non biologiche da impiegare soprattutto nel trasporto pubblico locale.
Gli obiettivi, tutti condivisibili, rischiano però di trasformarsi in una occasione persa se, oltre all’elencazione degli stessi e degli interventi normativi necessari al loro raggiungimento, non si definiscono una idea e una politica di sviluppo industriale capaci di supportare in modo sostenibile l’attuazione delle azioni di policy. Senza questa idea, la transizione energetica non potrà accompagnarsi alla creazione di nuove competenze, innovazione e, conseguentemente, crescita economica.
A tal fine è a sua volta necessario che il mercato sia libero di operare la sua azione di allocazione efficiente di capitale e lavoro attraverso, in primo luogo, la formazione efficiente di segnali di prezzo che consentano, tra gli altri obiettivi, di favorire un approccio alla mobilità sostenibile ispirato a un principio di neutralità tecnologica.
Per esempio, il rafforzamento del TPL attraverso il rinnovo del parco veicolare tramite l’acquisto di autobus alimentati a metano, idrogeno ed elettrico porterà a ben poco se non si rivedono le modalità di affidamento del servizio.

Gli obiettivi rischiano di trasformarsi in una occasione persa se, oltre all’elencazione degli stessi e degli interventi normativi necessari, non si definiscono una idea e una politica di sviluppo industriale capaci di supportare in modo sostenibile l’attuazione delle azioni di policy

Se quest’ultimo continuerà ad essere assegnato tramite affidamento diretto a società partecipate dagli enti locali, senza ricorrere a procedure di gara, il rischio è quello di perpetrare un servizio in perdita, con tratte ridotte e poco frequenti. In altri termini, il rischio è quello di rinnovare il parco veicolare esclusivamente tramite il ricorso alla spesa pubblica per poi, dato il servizio tutt’altro che frequente, lasciare i mezzi in deposito. Più in generale, rispetto alla penetrazione dei veicoli elettrici, il dato delle vendite odierne (nel 2022 sono state immatricolate in Italia circa 49.000 auto full electric) già suggerisce l’esistenza di numerose difficoltà alla penetrazione del vettore elettrico. Dal costo di acquisto – pari a circa il reddito medio pro-capite degli italiani – alla mancanza di un adeguata infrastruttura di ricarica, fino alle regole del mercato elettrico che ancora non permettono di utilizzare il veicolo elettrico per fornire servizi di flessibilità alla rete. 
Ma, oltre a questo, è la mancanza di un approccio industriale al processo di transizione energetica che potrebbe determinare il mancato raggiungimento dei target europei in fatto di mobilità sostenibile.
La crisi energetica ha dimostrato quanto questa visione sia essenziale per favorire lo sviluppo anche attraverso più solidi posizionamenti geopolitici. Si pensi all’Inflationary Reaction Act degli Stati Uniti che stanzia oltre settecento miliardi di dollari per supportare i settori industriali strategici per la transizione energetica. Questo approccio non c’è stato in Europa dove il mancato stanziamento di fondi comuni a supporto dell’industria strategica per la transizione energetica continuerà a determinare una Europa dalle molte velocità.

Sul Regolamento UE sul ban al motore endotermico occorre una valutazione sul fabbisogno di competenze ed effetti occupazionali. Senza la dimensione industriale, si continuerà a sacrificare il principio della neutralità tecnologica in favore di una transizione energetica ideologica, costosa e dagli effetti economici e sociali tutt’altro che sostenibili

Con il Net Zero Industry Act e il Temporary Crisis and Transition Framework, l’UE si è limitata a stabilire regole più blande in materia di aiuti di Stato per quei settori industriali considerati rilevanti per il raggiungimento dei target di decarbonizzazione. Il risultato sarà quello che Stati Membri con conti pubblici più in ordine e più risorse, quindi, potranno meglio supportare la propria industria diversamente dagli altri. La mancanza di coesione nella UE non farà che indebolire ulteriormente la posizione dell’Europa sui mercati globali, anche alla luce della posizione sempre più dominante di Stati Uniti e Cina grazie sia alla disponibilità di gas necessario a soddisfare il fabbisogno europeo nel post crisi, sia nel detenere il quasi monopolio dei minerali critici della transizione energetica. 
Rispetto a questo, il Piano manca di operare una valutazione puntuale in termini di crescita economica e, soprattutto, occupazione. Se si pensa che agli effetti occupazionali degli sfidanti obiettivi di decarbonizzazione si accompagneranno, sulla filiera dell’automotive tradizionale e degli indotti a essa collegati, quelli del Regolamento UE sul ban al motore endotermico, una valutazione sul fabbisogno di competenze ed effetti occupazionale sembra essere doveroso.
Senza la dimensione industriale, si continuerà a sacrificare il principio della neutralità tecnologica in favore di una transizione energetica ideologica, costosa e dagli effetti economici e sociali tutt’altro che sostenibili.