Muoversi 3 2023
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DECARBONIZZAZIONE, LA SFIDA DEI COSTI

DECARBONIZZAZIONE, LA SFIDA DEI COSTI

di Luca Tabasso

Luca Tabasso

vice caposervizio Quotidiano Energia

Le temperature torride di questa estate evidenziano (qualora ce ne fosse ancora bisogno) la necessità di un’azione rapida contro i cambiamenti climatici.
La crisi ci ha però insegnato che il mondo può essere traghettato verso la decarbonizzazione solo preservando contemporaneamente tutte e tre la dimensioni del trilemma energetico: sicurezza delle forniture, equità e sostenibilità ambientale.
L’Unione europea si è posta obiettivi ambiziosi (ridurre le emissioni di almeno il 55% entro la fine del decennio e divenire carbon-neutral entro il 2050) e rappresenta perciò un utile banco di prova.
Per centrare il target del 55% al 2030 – calcola la Banca europea per gli investimenti (Bei) in un rapporto presentato il 20 luglio a Roma presso il ministero dell’Economia – la Ue necessiterà di investimenti per 1.040 miliardi di euro all’anno, vale a dire 357 mld € all’anno in più rispetto a quanto speso nel periodo 2010-2020.

La crisi ci ha insegnato che il mondo può essere traghettato verso la decarbonizzazione solo preservando contemporaneamente tutte e tre le dimensioni del trilemma energetico: sicurezza delle forniture, equità e sostenibilità ambientale.

Una cifra colossale, che potrà essere finanziata solo in tre modi: tasse, tagli alla spesa e debito. Tutte soluzioni problematiche, considerato oltretutto che il passaggio alle rinnovabili ridurrà il gettito fiscale. L’Office for Budget Responsibility britannico, ad esempio, stima che nel Regno Unito gli introiti dalle tasse sui carburanti, oggi pari a circa l’1,2% del Pil, si dimezzeranno entro il 2030 per poi scomparire nel 2050.
Ma se non vogliono sentir parlare di nuove tasse gran parte dei ministri delle Finanze Ue – dal tedesco Christian Lindner al francese Bruno Le Maire fino all’italiano Giancarlo Giorgetti – i tagli alla spesa potrebbero incidere proprio sulle classi meno abbienti, che occorre invece difendere dall’inflazione e dal caro-energia.
Quanto al debito, l’Europa ha già attinto abbondantemente a questa fonte per attenuare gli effetti della pandemia prima e della crisi energetica scaturita dalla guerra in Ucraina poi: il debito dell’area euro ha superato l’anno scorso il 90% del Pil, con quello italiano attestato ad oltre il 140%.
La stessa Commissione europea si è pesantemente indebitata in prima persona, rompendo un tabù che durava da decenni. Se tra il 2009 al 2019 l’ammontare complessivo dei bond emessi da Bruxelles era di 78 miliardi di euro, alla fine di giugno 2023 il debito Ue in circolazione sfiorava i 410 miliardi.
Questi numeri non stupiscono, considerato che – secondo Bruegel – dal settembre 2021 ad oggi i Paesi Ue hanno sborsato solo per le misure contro il caro-energia un totale di 646 miliardi di euro, con la Germania in testa (265 miliardi o il 7,4% del Pil) seguita dall’Italia (92,7 miliardi o il 5,2% del Pil).
Uno sforzo che il calo dei prezzi energetici non sembra aver ridotto di molto, se il rendiconto dell’Esecutivo Meloni al 30 giugno 2023 rivela che dei 53 miliardi di euro stanziati dai vari decreti per l’esercizio 2023 poco meno della metà sono stati impiegati per limitare i rincari di elettricità e gas: 22,8 miliardi per il “contrasto al caro-energia” e 1,1 miliardi per “le politiche ambientali e l’autosufficienza energetica”.

L'Agenzia internazionale dell’energia (Aie) ha avvertito che “la transizione all’energia pulita provoca incertezze sulla domanda petrolifera di lungo-termine, con i nuovi investimenti che potrebbero non essere effettuati” creando di conseguenza un “mercato corto” (quindi con prodotti costosi, ndr) “per molti anni a venire”. Solo in questo modo si potranno evitare traumi e reazioni sociali in grado di far fallire la stessa transizione

I Governi europei e la Commissione Ue, insomma, si trovano nella difficile situazione di dover coniugare risorse limitate con i finanziamenti alla transizione e gli aiuti alle fasce di popolazione più penalizzate dal Covid-19, dalla crisi energetica e dall’inflazione. Tanto più che proprio la transizione inciderà sui più vulnerabili: un recente studio commissionato dal Governo di Parigi rileva che in Francia il costo di sostituzione di un’auto a combustione e di una caldaia a gas con un veicolo elettrico e una pompa di calore ammonta a circa due anni di reddito per il 20% della popolazione in fondo alla scala sociale, e ancora a circa un anno per le classi medie.
In proposito, è da ricordare che attualmente, su 286,8 milioni di automobili in circolazione nella Ue, solo 3,2 milioni sono elettriche.
E persino nella ricca Germania le politiche di decarbonizzazione devono vedersela con una forte opposizione, come dimostra il dietrofront cui è stato costretto il Governo sul divieto dall’anno prossimo di installare nuovi sistemi di riscaldamento a combustibili fossili. Non a caso, l’AfD è divenuto il secondo partito tedesco, davanti ai socialdemocratici e ai verdi al momento al potere, con l’opposizione alle politiche di decarbonizzazione del Governo citata come una delle ragioni principali del sostegno al partito di estrema destra.
Serve dunque una strategia di decarbonizzazione graduale e flessibile, che soddisfi le tre dimensioni del trilemma energetico adattandosi alle contingenze economiche e alle situazioni regionali e sfruttando tutte le soluzioni disponibili.
La strategia dovrà inoltre puntare più sul lato della domanda (incentivare la transizione) che su quello dell’offerta (penalizzare i fossili), per non creare effetti controproducenti. Nel suo ultimo World Energy Outlook, l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) ha avvertito che “la transizione all’energia pulita provoca incertezze sulla domanda petrolifera di lungo-termine, con i nuovi investimenti che potrebbero non essere effettuati” creando di conseguenza un “mercato corto” (quindi con prodotti costosi, ndr) “per molti anni a venire”.
Solo in questo modo si potranno evitare traumi e reazioni sociali in grado di far fallire la stessa transizione.