Muoversi 3 2023
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SUI TEMI DELL’ENERGIA SERVE UN NUOVO “ILLUMINISMO” CHE GUIDI LE SCELTE

SUI TEMI DELL’ENERGIA SERVE UN NUOVO “ILLUMINISMO” CHE GUIDI LE SCELTE 

intervista di Marco D’Aloisi

Gianni Murano

Presidente
Unione Energie per la Mobilità - unem

L’Assemblea dell’unem dello scorso 4 luglio è stata la prima “uscita pubblica” di Gianni Murano in qualità di nuovo Presidente per il quadriennio 2023-2027. Una lunga carriera in Esso Italiana, di cui è attualmente Presidente e Amministratore Delegato. Gli abbiamo chiesto come intende affrontare questo nuovo ed impegnativo compito, ma anche di fare il punto sui temi più critici per il settore. Ecco cosa ci ha detto.

Lei succede a Claudio Spinaci che ha guidato unem negli ultimi otto anni e possiamo dire che è stato l’ispiratore di questa rivista. Quale pensa debba essere il ruolo di un’associazione come unem, soprattutto in un momento delicato come questo?

Lasciatemi anzitutto ringraziare Claudio che conosco da tempo avendo lavorato insieme a lui per diversi anni alla Esso Italiana ed essendo stato durante tutto il suo mandato uno dei Vicepresidenti di unem. Devo dire che ha saputo interpretare al meglio le istanze delle nostre Associate, ma anche indicarci la direzione da prendere in un momento molto difficile per noi. Il testimone che ci lascia è di altissimo spessore e si può rappresentare sia in questa rivista, che nasce da una sua intuizione, sia nella decisione di cambiare il nome da Unione Petrolifera a Unione Energie per la Mobilità nel 2020, perché era chiaro che non potevamo più essere solo petrolio, ma anche petrolio e tutte le altre energie che servono a “tenere in moto” il Paese. Detto questo, credo che il ruolo di un’Associazione come unem sia sempre più centrale in un dibattito sui temi energetici che dovrà essere sempre più aperto e inclusivo.

Lasciatemi anzitutto ringraziare Claudio Spinaci che ha saputo interpretare al meglio le istanze delle Associate, ma anche indicarci la direzione da prendere in un momento molto difficile. La prova è anche in questa rivista, che nasce da una sua intuizione

Da questo punto di vista il ruolo di unem, oltre a rappresentare gli interessi dei nostri Associati, è quello di contribuire concretamente al dibattito pubblico su basi tecniche e senza pregiudizi, in modo tecnologicamente neutro. Se oggi si parla anche di sostenibilità economica e sociale e non più solo di quella ambientale è in parte grazie a quanto abbiamo fatto in questi anni. Questo è e continuerà ad essere il nostro segno distintivo.

Nei prossimi quattro anni avrà la responsabilità di rappresentare una filiera impegnata in una difficile transizione, che richiederà tempo e risorse. Cosa la preoccupa di più?

Per il nostro settore – ricco di competenze, professionalità e con infrastrutture energetiche strategiche per il Paese – la transizione energetica è una grande opportunità di sviluppo verso un’economia decarbonizzata. Pensiamo ad esempio all’idrogeno, di cui si parla molto e che avrà un ruolo fondamentale nella nostra strategia al 2050. Ebbene, le raffinerie italiane impiegano circa 500.000 tonnellate di idrogeno all’anno, cioè il 90% del totale utilizzato. Il nostro è il settore industriale che oggi rappresenta le maggiori competenze e le maggiori esperienze nella produzione, trasporto, stoccaggio e impiego dell’idrogeno.

Dobbiamo quindi muoverci verso un percorso di decarbonizzazione utilizzando un approccio pragmatico e tenendo fermo il principio della sicurezza energetica.

Oggi sui temi dell’energia occorre essere più laici per capire quello che offrono la tecnologia, il mercato e cosa il consumatore vuole e può scegliere. Se ci si arrocca dietro posizioni ideologiche credo che la decarbonizzazione diventi un percorso impossibile su cui si rischia di rimanere isolati.

In questi anni unem è stata forse quella che ha spinto di più sui temi della neutralità tecnologica e della sostenibilità. Temi ormai entrati a far parte del dibattito pubblico. Cosa servirebbe affinché dalle parole si passi ai fatti?

È necessario superare gli schematismi e le contrapposizioni identitarie che ci hanno accompagnato in questi anni basati sul “noi o loro”. È evidente che c’è stato un attacco al motore endotermico e questo è a mio avviso un approccio superato. Il punto non è auto elettrica o auto endotermica, ma auto elettrica e auto endotermica. Oggi la tecnologia offre molte opportunità e dobbiamo imparare a sfruttarle tutte appieno invece di impegnarci in crociate a favore dell’una o dell’altra.

C’è stato un attacco al motore endotermico e questo è a mio avviso un approccio superato. Il punto non è auto elettrica o auto endotermica, ma auto elettrica e auto endotermica

La realtà è ben più complessa di come la si racconta.

Le recenti crisi hanno dimostrato la strategicità di filiere che sino a pochi anni fa erano date per superate. Secondo lei, è una consapevolezza che possiamo considerare radicata oppure no?

Sicuramente oggi c’è una maggiore consapevolezza della complessità della transizione e dei costi che essa comporterà. Probabilmente a riportarci a un po’ di sano realismo sono stati i drammatici eventi degli ultimi anni che hanno messo in discussione molte convinzioni, quelle sì radicate, e avuto impatti pesanti in alcuni Paesi. Basti pensare alle conseguenze delle sanzioni sul gasolio russo per la Germania, aggravate da un sistema di raffinazione che non era più in grado di incontrare la domanda interna di prodotti finiti. Il nostro Paese ha saputo reagire meglio, non solo grazie ad una raffinazione efficiente, ma anche grazie alla nostra logistica che rimane un punto di forza strategico; penso ovviamente ai prodotti petroliferi ma anche ai biocarburanti. In questo percorso le raffinerie devono essere sempre più viste come hub energetici, centrali per il territorio e per l’industria collegata. Abbiamo eccellenze in poli industriali che si sono già messi in moto verso un percorso di decarbonizzazione. Ecco, salvaguardare le eccellenze industriali del Paese deve essere una priorità e noi siamo senza dubbio tra queste. E da questo punto di vista che credo ci sia ancora molto da lavorare per far crescere la consapevolezza.

Quale ritiene possa essere il potenziale contributo del settore al processo di decarbonizzazione?

Partiamo da alcuni fatti. Oggi la domanda nei trasporti è coperta per oltre il 92% da prodotti di origine fossile, siano essi liquidi o gassosi. Una quota che nei prossimi due decenni potrà scendere all’80-85%. Considerato che l’obiettivo è quello del net zero e che non esiste al momento la soluzione vincente, abbiamo due strade: o fermiamo le economie o ci apriamo ad altre soluzioni. Nei nostri studi degli ultimi anni abbiamo dimostrato come già esistono prodotti, tra cui i biocarburanti avanzati e i recycled carbon fuels, che permettono di ottenere un immediato abbattimento della CO2 su tutto il parco circolante e sul trasporto aereo e marittimo, garantendo soluzioni accessibili a tutti i cittadini. Prodotti che, tra l’altro, hanno pienamente soddisfatto, superandolo, il contributo di energia rinnovabile nei trasporti a loro attribuito dal Pniec 2019. Ne abbiamo scritto ampiamente anche sulle pagine di questa rivista.

Si tratta però di mettere in moto le adeguate economie di scala partendo dal trasporto leggero, perché altrimenti non arriveremo neanche a soddisfare la domanda di quei settori cosiddetti “hard to abate”, cioè aereo e marittimo, dove l’elettrificazione è praticamente impossibile, se non in minima parte.

Dobbiamo considerare la transizione come un “ponte” verso l’energia decarbonizzata, ma un ponte ha bisogno di più pilastri che possano sostenerlo: carburanti liquidi e low carbon fuels sono tra i pilastri della decarbonizzazione.

Un ruolo che le recenti politiche europee non hanno certo valorizzato. Vede spazi per un ripensamento su temi come il ruolo dei biocarburanti e il futuro dei motori a combustione interna?

Già è stato importante aprire una breccia con l’accettazione da parte della Commissione della proposta, presentata dalla Germania, di continuare ad usare motori a combustione interna purché alimentati da carburanti “rinnovabili di origine non biologica”, i cosiddetti efuels, impegnandosi poi a presentare una proposta specifica per l’immatricolazione di tali veicoli dopo il 2035. Una decisione che, se da un lato ha riconosciuto le potenzialità dei motori a combustione interna alimentati con carburanti alternativi anche per la decarbonizzazione del trasporto leggero, dall’altro ha lasciato fuori, nonostante le pressioni di diversi Paesi, tra cui l’Italia, prodotti come i biocarburanti avanzati e i recycled carbon fuel perché ritenuti non “carbon neutral”. Sulla definizione “carbon neutral” si gioca pertanto il futuro di questi prodotti. Da questo punto di vista fa ben sperare il recente emendamento approvato dalla Commissione Ambiente del Parlamento europeo che allarga ai LCF. Sono convinto che la partita non sia chiusa e che anche il Governo si impegnerà al massimo in sede europea per arrivare ad una soluzione positiva. Il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, nel suo intervento alla nostra assemblea su questo punto è stato chiaro.

Sul nuovo Pniec, inviato nelle scorse settimane a Bruxelles, ha dato un giudizio tutto sommato positivo. Cosa l’ha convinta e cosa no?

Va dato atto al nuovo Pniec di aver avuto un approccio più pragmatico e improntato alla neutralità tecnologica, volto anche alla promozione di comportamenti di consumo responsabili. Sicuramente ha valorizzato maggiormente i LCF rispetto all’edizione precedente, prevedendo volumi molto vicini a quelli che abbiamo ipotizzato nei nostri scenari per centrare gli obiettivi di riduzione delle emissioni al 2030: 4,5 milioni di tonnellate contro i nostri 4,9. Da parte nostra abbiamo previsto 8-9 miliardi di euro di investimenti addizionali per la trasformazione dell’intera filiera, volti appunto a potenziare la nostra capacità produttiva sui biocarburanti avanzati e i recycled carbon fuels, per lo sviluppo dell’idrogeno verde e degli e-fuel.

Ho qualche dubbio sugli obiettivi di elettrificazione che sono stati rivisti al rialzo e, a mio avviso, sono forse poco realistici. Per raggiugere al 2030 i 6,6 milioni di auto elettriche (4,3 BEV e 2,3 di Plug-in) indicati bisognerebbe immatricolare ogni anno, per i prossimi 7 anni, circa 700.000 auto elettriche rispetto alle 117.000 dello scorso anno e alle 72.000 dei primi 6 mesi del 2023.

Nei prossimi mesi sarà perciò molto importante definire quale sarà lo sforzo richiesto al nostro settore, cosa su cui siamo pronti a confrontarci. Quello che sicuramente serve è la certezza normativa ma anche misure concrete di incentivi sia alla produzione che alla domanda, senza però creare parallelamente obblighi che penalizzano il settore e ostacolano la ricerca e lo sviluppo. Oggi invece la strada seguita è quella di fissare degli obblighi per i fornitori di prodotti low carbon senza peraltro accompagnare tali obblighi con un insieme di misure coordinate volte a stimolarne la domanda.

Durante la conferenza stampa pre-assemblea ha detto che è tempo di affrontare in chiave strutturale e prospettica il tema complessivo del riassetto della fiscalità sull’energia. Come?

Avremmo bisogno di un sistema fiscale che stimoli gli investimenti produttivi, meno oppressivo e più chiaro, mentre oggi abbiamo un ordinamento estremamente complesso, caratterizzato da una “inflazione legislativa”, che fa dell’Italia il Paese con le più alte tasse a livello europeo. La tassazione andrebbe inoltre rimodulata tenendo conto dell’impronta carbonica complessiva dei vari prodotti energetici per stimolare la domanda delle componenti rinnovabili.  Si ricorre sempre più spesso a prelievi di carattere straordinario per la copertura di emergenze finanziarie, come nel caso della tassa sugli extra profitti che nel 2022 ha generato un gettito pari a 2,8 miliardi di euro di cui poco meno della metà arrivati dal solo settore petrolifero. Una tassa peraltro applicata due volte nel nostro Paese, unico caso in Europa e con percentuali ben maggiori della media europea, che solleva seri dubbi di costituzionalità anche in considerazione del fatto che spesso si riscontra una notevole distanza tra le fattispecie su cui si vorrebbe agire ed i soggetti concretamente incisi dal prelievo. Ci auguriamo che la strada legale intrapresa dai nostri Associati possa rendere giustizia e non finisca come l’ennesima “vittoria di Pirro”, come fu nel caso della “Robin Hood tax”. Credo che un intervento di riforma complessivo dovrebbe essere coerente nel suo insieme, con imposte coordinate e adempimenti sostenibili e stabili nel tempo.

Quale è invece il suo punto di vista su quelli che vengono definiti SAD, ossia sussidi ambientalmente dannosi di cui si è tornati a parlare recentemente dopo la pubblicazione del nuovo “Catalogo” del Mase?

Va anzitutto ricordato che quelli che vengono definiti SAD rivestono un ruolo rilevante a difesa di gruppi sociali in difficoltà o di settori economici vulnerabili o esposti alla competitività internazionale. Si tratta di agevolazioni e crediti di imposta diretti al consumatore e non al produttore del bene. Bisogna però essere chiari nel dire che una loro eliminazione tout court si tradurrebbe in un aumento automatico della fiscalità su questi prodotti a discapito della competitività delle categorie economiche che ne usufruiscono. Da questo punto di vista, va riconosciuto all’ultima edizione del “Catalogo” di anticipare, ma non sviluppare ancora, la necessità di una valutazione più completa delle singole misure definite sussidi anche dal punto di vista economico e sociale. Di questo si occupa anche la recente delega fiscale all’esame del Parlamento. È evidente che l’eventuale revisione dei SAD deve essere poi contestualizzata anche con riferimento ai nuovi obiettivi di decarbonizzazione ed economia circolare introdotti dal Pacchetto ‘”Fit for 55” visto che oggi la tassazione sui carburanti è già ben al di sopra di qualsiasi costo ambientale. Ad esempio, si trascura completamente la componente rinnovabile presente sotto forma di biocarburanti, destinata a crescere notevolmente nei prossimi anni. Un intervento di riequilibrio della pressione fiscale in funzione dell’impronta carbonica dei prodotti sarebbe dunque necessario. Noi siamo pronti a dare il nostro contributo per arrivare ad una soluzione che contemperi tutti questi obiettivi.

Uno dei temi affrontati sempre in assemblea è stato quello del riassetto della   rete carburanti. Quale dovrebbe essere il vero obiettivo?

La rete carburanti negli ultimi decenni è stata al centro di molti interventi legislativi che hanno prodotto ben poco sul piano pratico. Abbiamo ancora troppi impianti, bassi erogati e praticamente la totale assenza di attività collaterali significative. La situazione è ancora più drammatica in autostrada dove negli ultimi quindici anni i consumi sono diminuiti dell’80% a fronte di un numero di punti vendita rimasto sostanzialmente inalterato. È una riforma necessaria sia per combattere l’illegalità che ancora c’è, anche se molto meno rispetto al passato, sia perché sono evidenti i limiti di una rete tanto capillare quanto sovradimensionata e inefficiente per rispondere alla sfida della decarbonizzazione ed erogare tutte le diverse energie e servizi per la mobilità. Abbiamo un sistema di controlli tra i più sofisticati in Europa, dove ogni cosa è tracciata, chiudiamo il cerchio sui punti vendita e ripartiamo da lì. Durante la nostra assemblea il Sottosegretario Bitonci ha parlato di 4.000 punti vendita “fantasma” che sfuggono alla rilevazione ma che, grazie all’interoperabilità delle banche dati su cui si sta lavorando nell’ambito del tavolo rete istituito presso il
Mimit, potrebbero emergere. Abbiamo tutti gli elementi per fare bene e non abbiamo più scuse. L’obiettivo è ridare dignità e sostenibilità economica ad un comparto al servizio del cittadino, oggi in forte sofferenza.

Abbiamo sempre valutato i Governi sulla base dei fatti. Negli ultimi anni c’è stata una sorta di accanimento verso il settore, in Italia e in Europa. L’approccio del nuovo Governo sui temi energetici si avvicina al nostro su neutralità tecnologica, sicurezza energetica e salvaguardia delle filiere nazionali strategiche

Ha anche ha parlato di una ritrovata “sintonia tecnica” con l’attuale Governo. Cosa intendeva?

Come Associazione abbiamo sempre valutato i Governi sulla base dei fatti. Negli ultimi anni c’è stata una sorta di accanimento nei confronti del settore, non solo in Italia ma anche in Europa. Abbiamo sempre mantenuto una linea coerente, basata su fatti e dati e non certo dettata da pregiudizi politici.

L’approccio del nuovo Governo sui temi energetici si avvicina alle nostre convinzioni su neutralità tecnologica, sicurezza energetica e salvaguardia delle filiere nazionali strategiche. Lo abbiamo visto a livello europeo sul tema dei biocarburanti, ma anche a livello nazionale sulla raffinazione nel caso della Isab, risolto tempestivamente. Da parte nostra confermiamo come sempre la massima disponibilità a dare il nostro contributo per arrivare a soluzioni che contribuiscano a far muovere il Paese in un ambito di sostenibilità ambientale ed economica e assicurando la sicurezza strategica del nostro settore. Finora ci siamo riusciti nonostante tutto e vogliamo continuare a farlo.

In ultimo, volevo veramente fare gli auguri ai lettori di Muoversi per delle vacanze sicure, all’insegna di comportamenti responsabili e consapevoli dei rischi di lunghe percorrenze e tempi di guida. È importante ricordarsi che muoversi è fondamentale…
Ma muoversi in sicurezza è decisivo.

Buone vacanze a tutti.