Muoversi 1 2021
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IL LIETO FINE DEL RAPPORTO PUBBLICO E PRIVATO

IL LIETO FINE DEL RAPPORTO PUBBLICO E PRIVATO

di Giorgio Carlevaro

In questa nuova puntata della Storia del Petrolio, curata da Giorgio Carlevaro, ripercorriamo l’evoluzione del rapporto tra pubblico e privato, essenziale ai fini dello sviluppo dell’industria petrolifera italiana. Un rapporto caratterizzato da molti momenti difficili e da non poche frizioni. Sullo sfondo, gli anni delle crisi petrolifere e la nascita dell’Opec che comincia a dettare le regole.

Giorgio Carlevaro

Direttore emerito

Staffetta Quotidiana

In nessun altro dei grandi Paesi consumatori europei la storia dell’industria petrolifera è stata segnata, come in Italia, dal singolare rapporto tra pubblico e privato, iniziato nell’aprile del 1926 con la nascita dell’Agip  e che trovò poi  importanti spunti con l’entrata in scena, nel dopoguerra, di Enrico Mattei, l’istituzione nel febbraio 1953 dell’Eni e del ministero delle Partecipazioni Statali nel dicembre 1956. Un rapporto a tratti controverso, quasi un “muro”, durato circa 70 anni, segnato da alti e bassi, che a volte ha condizionato e complicato non poco la vita della classe dirigente di questa industria nella gestione quotidiana delle cose petrolifere e nelle sue scelte strategiche. Salvo poi trovare basi di accordo quando si trattava di affrontare fasi e passaggi particolarmente cruciali. Con una conclusione a lieto fine.

Un rapporto per molti versi anche anomalo per ragioni che vanno cercate dapprima nelle motivazioni nazionalistiche ed autarchiche che avevano portato alla decisione da parte del governo Mussolini di dare vita all’Agip, assegnandole come compito “lo svolgimento di ogni attività relativa all’industria ed al commercio dei prodotti petroliferi”, e in secondo luogo nella formula, ricca di chiaroscuri, dell’Economia Mista a cui ci si affidò negli anni ’50 per fare uscire rapidamente il Paese dalle rovine della guerra.

Un ruolo, quello dell’Agip, che diede vita frizioni e proteste, a volte anche vivaci, da parte dei rappresentanti dell’industria petrolifera privata, in primis Siap (Esso) e Nafta (Shell). Conflitti che, con un Decreto-Legge del novembre 1933, emanato sulla falsariga di uno analogo in Francia, vennero superati affidando al ministero delle Corporazioni, al quale dal settembre 1929 erano già passate le competenze in materia mineraria, il rilascio delle licenze di importazioni, le concessioni per il trattamento industriale degli oli minerali, le concessioni altresì per l’impianto e la gestione di depositi  e distributori di oli minerali e carburanti. Con una apparente ritrovata armonia tra pubblico e privato, sancita tra l’altro dalla nomina a Senatore del Regno di Attilio Pozzo, presidente e amministratore delegato della Nafta (Shell), e a grande ufficiale della Corona d’Italia di Guido Ulisse Ringler, consigliere delegato della Siap (Esso).

Un delicato equilibrio tra pubblico e privato interrotto traumaticamente dal sequestro, con un Decreto-Legge del 28 giugno 1940, delle aziende industriali e commerciali che facevano capo a sudditi degli Stati con cui l’Italia il 10 giugno era entrata in guerra (Francia, Regno Unito, Olanda, Belgio), tra cui Nafta (Shell) e BP. Cui segue nel dicembre 1941 quello delle aziende americane, tra cui Siap (Esso), Vacuum (Mobil) e Texaco. Tutte trasferite nell’agosto del 1942 all’Agip (poi tornate ai legittimi proprietari nel 1946), che in forza di ciò diventò anche l’organo esecutivo dell’Ufficio Combustibili Liquidi del ministero delle Corporazioni.

Poco prima della fine della guerra, il 1° marzo 1945, un decreto riformalizza l’istituzione e la funzione del Comitato Italiano Petroli (Cip), varato nel 1943 per sopraintendere e organizzare l’immagazzinamento e la distribuzione dei prodotti petroliferi importati e messi a disposizione dei bisogni militari, civili, industriali e agricoli, ponendolo sotto la vigilanza dei ministeri dell’Industria e Commercio (che aveva preso il posto del ministero delle Corporazioni), delle Finanze e del Tesoro. E impegnandolo a indennizzare i proprietari dei depositi e degli impianti occupati e utilizzati per svolgere il suo servizio e di devolvere allo Stato i propri utili. Il Cip resterà in vita fino al 1950 svolgendo nella fase delicata del dopoguerra un ruolo importante di traghettamento dell’attività petrolifera pubblica e privata verso la normalizzazione.

Un processo di normalizzazione che, per quel che riguarda l’Agip, dopo aver rischiato di essere liquidata come retaggio fascista, la vede invece tornare a nuova vita anche a livello politico grazie a Enrico Mattei. Una normalizzazione resa ufficiale dalla costituzione, il 1° giugno 1948, dell’Unione Petrolifera,  di cui fa parte anche l’Agip.

In una comune unità di intenti legata al fatto che, dopo la conclusione  già nel 1951 della  fase della ricostruzione, si trattava di far fronte all’imprevista e rapida espansione dei consumi di prodotti petroliferi sulla rete carburanti, causata dall’esplosione della motorizzazione, e sull’extra rete, grazie alla sostituzione del petrolio al carbone, con la necessità di dar corso al potenziamento delle infrastrutture di approvvigionamento, di stoccaggio, di raffinazione e di distribuzione. Con l’Italia che assume altresì un posizione strategica lungo le rotte di approvvigionamento del petrolio dal Medio Oriente all’Europa con tutto ciò che questo fatto comporta anche in termini di alleggerimento della bilancia commerciale.

Il tutto “rivoluzionato” però nel febbraio 1953 dall’istituzione dell’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi). Con lo sdoppiamento tra l’altro dell’Agip in due società distinte Agip Mineraria e Agip Commerciale. Con il compito, la prima, di realizzare insieme alla Snam la metanizzazione dell’Italia del Nord e di promuovere ricerche di idrocarburi in Egitto, Iran e Africa; la seconda, gestita in diretta dallo stesso Mattei, di promuovere il marketing petrolifero sotto il marchio del Cane a sei zampe. Ma rivoluzionato soprattutto nel 1956 dalla creazione del ministero delle Partecipazioni Statali per la gestione degli enti e delle società a partecipazione statale, con l’obiettivo di creare occupazione, rilanciare le zone depresse, in particolare il Mezzogiorno, e intervenire nei settori trascurati dall’industria privata. Una scelta eminentemente politica. Che portò nel 1957 all’uscita di Eni da Confindustria e dell’Agip dall’Unione Petrolifera. E alla costituzione dell’Asap (Associazione sindacale aziende petrolifere). Una “frattura” nel mondo imprenditoriale dettata dalla convinzione di Mattei della necessità di trattare direttamene con le controparti, sindacali ma non solo, i problemi dell’Eni. Che verrà sanata solo quarant’anni dopo.

Con ripercussioni negative sul fronte dei rapporti tra pubblico e privato, esaltate anche dalla svolta impressa da Mattei alla politica internazionale dell’Eni. Sfociata tra l’altro nelle guerra alle “Sette Sorelle”. Sfruttando i movimenti di liberazione e di emancipazione dei paesi produttori del Medio Oriente e dell’Africa per integrarsi  sempre di più nell’industria petrolifera internazionale e per raggiungere l’autosufficienza nell’approvvigionamento del petrolio con accordi che fecero scalpore in Iran e in  Libia e con l’Urss. Ma soprattutto per le complicazioni che sorgevano nei confronti del governo ogni volta che si trattava di affrontare interessi comuni.

Come accadde proprio nel 1956 in occasione della crisi Suez (due anni dopo quella iraniana), che mise a dura prova la fragilità dei rifornimenti petroliferi  e pose il problema di una maggiore sicurezza. Problemi che, scomparso tragicamente Mattei nell’ottobre del 1962, sostituito da Eugenio Cefis,  e nazionalizzata l’energia elettrica, furono al centro della Commissione consultiva per l’energia istituita nel marzo 1964 dal ministro dell’Industria Giuseppe Medici che chiamò a farne parte i rappresentati dei grandi produttori e dei grandi consumatori, a prescindere dal fatto che fossero pubblici o privati, alti dirigenti dell’amministrazione pubblica e alcuni esperti. Con la conclusione, evidenziata nel rapporto pubblicato nel settembre 1965, che “quanto più numerosi sono i gradi di libertà del sistema di approvvigionamento energetico tanto più ridotti e compensabili saranno i rischi sia dal punto della sicurezza che da quello della convenienza (del costo, ndr)”.   

In tutto in un contesto in cui l’apporto del petrolio alla copertura del fabbisogno energetico italiano, che nel 1965  era già pari a quasi il 61%, salì nel 1970 vicino al 70% e raggiunse nel 1973, l’anno della crisi del Kippur e della quadruplicazione del prezzo del petrolio, circa il 74%.

Sono anche gli anni però in cui i grandi paesi produttori di petrolio, a dieci anni dalla nascita dell’Opec nel settembre 1960, cominciano a passare il conto delle loro rivendicazioni alle grandi compagnie petrolifere internazionali. Rivendicazioni che, nel solco tracciato da Mattei con la formula 50/50, riguardano la partecipazione alle operazioni di estrazione, di produzione e di esportazione del loro petrolio e di spartizione dei profitti. Per di più in una situazione di mercato non più favorevole al compratore, che deve quindi prepararsi  ad un aumento dei prezzi del greggio. Cosa che avvenne a seguito degli accordi di Teheran e diTripoli firmati dalle compagnie all’inizio del 1971 e ancor più con l’accordo di New York del 1° ottobre 1972, ben prima della crisi del Kippur dell’ottobre 1973. Con l’Eni che la pensa però diversamente dalle compagnie e preme perché venga avviata una strategia autonoma. Come sostiene il presidente Eugenio Cefis il 17 marzo 1971 parlando al Comitato per le Partecipazioni Statali. Uno dei suoi ultimi interventi prima di passare la mano in ottobre a Raffele Girotti. Sostenendo che, senza i consumatori che non sono rappresentati al tavolo delle trattative tra Opec e compagnie, gli accordi rischiano di saltare. Auspicando perciò contatti diretti con i paesi produttori. Con il governo italiano, presieduto da Mariano Rumor, che invece condivide la linea di delegare alle compagnie il compito di negoziare gli accordi. Una linea che tiene conto tra l’altro del fatto che le filiali delle compagnie internazionali assicuravano in quel momento la copertura del 60% dell’approvvigionamento di petrolio all’Italia, contro il 15% soltanto dell’Agip. Linea che si traduce nel blocco dei prezzi al consumo e nella riduzione dell’imposta di fabbricazione per compensare i maggiori costi dell’industria petrolifera, la cosiddetta “defiscalizzazione”. Prezzi amministrati dal Cip senza però un metodo di determinazione. Lacuna colmata il 30 giugno 1971 con un sistema di calcolo molto complesso alla cui rilevazione partecipa anche l’Eni i cui costi costituiscono un utile elemento di confronto.

Un contesto che cambia di colpo in  coincidenza con  la crisi del  Kippur dell’ottobre 1973. Anche nei rapporti tra pubblico e privato. Con l’uscita dal mercato della BP Italiana, ceduta a Attilio Monti che la soffia all’Eni che pochi mesi dopo acquista la Shell Italiana e dà vita, all’inizio del 1974, alla IP. Con la sua quota di mercato che sale quasi al 30%. Un rafforzamento del suo peso che viene sancito anche dal piano petrolifero approvato in fretta e furia dal Cipe il 29 marzo 1974 sotto la spinta dell’emergenza. Obiettivo: una quota di mercato del 40%, una riserva strategica in capo all’ente di Stato di 30 giorni di consumo, priorità nell’assegnazione di nuova capacità di raffinazione  e del 50% delle nuove  concessioni autostradali di carburanti.

Sul mercato però il vento sta cambiando, con i primi segnali di inversione di tendenza nei consumi di  prodotti petroliferi che dal dopoguerra non aveva mai cambiato direzione e che aveva portato a sottovalutare il rischio di una proliferazione abnorme degli impianti. Segnali che si riflettono anche sul programma energetico presentato al Cipe il 1° agosto 1975 dal ministro Donat Cattin. Sull’Eni il piano afferma che “non è nelle intenzioni del Governo concentrare l’industria petrolifera in mano pubblica né rafforzare ad ogni costo la sua quota di mercato”. Un passo indietro rispetto all’impostazione del piano petrolifero? Solo apparentemente, perché di fatto stabilisce che l’Eni deve essere il principale realizzatore delle politiche di approvvigionamento petrolifero. Una logica che negli anni seguenti porterà l’Agip o, meglio, l’Agip Petroli nata da una sua costola nel 1978, ad assumere,  a volte anche contro la sua volontà, una funzione di vera e propria supplenza nei confronti del disimpegno dell’industria privata con tutte le fatiche e i costi che ciò comporterà. Emblematica in questo quadro è la crisi del gruppo Monti, con le sue attività che passeranno all’Agip Petroli nei primi mesi del 1981 facendo lievitare la quota Eni vicina al 40%.

Il tutto senza alcun accenno alla necessità di una logica diversa nella determinazione dei prezzi petroliferi fissati dal Cip. Un’esigenza affrontata e risolta nell’ottobre 1977 dallo stesso Donat Cattin  con un nuovo metodo che sulla carta sembra assicurare una maggiore automaticità e che introduce inoltre, per la prima volta, il principio della liberalizzazione di un primo gruppo di prodotti. Ed è proprio sui prezzi che in quel periodo prendono forma faticosamente alcuni avvicinamenti tra pubblico e privato con l’obiettivo di trovare una linea comune di approccio nei confronti del Governo.

Un altro terreno di confronto è costituito in quegli anni dalla ristrutturazione della rete carburanti dopo il trasferimento alle Regioni, nel luglio 1977, della funzione autorizzativa. Con il presidente di Agip Petroli, Angelo Pileri, che prende l’iniziativa di creare un gruppo di lavoro con i rappresentanti degli operatori privati per arrivare ad una soluzione concordata. Che sfocerà due anni dopo, nel luglio 1980, in un parere congiunto Agip-Unione Petrolifera sulla bozza di un disegno di legge del ministro dell’Industria che avrebbe dovuto dare vita a un fondo indennizzi. E in protocolli pressoché identici firmati con le organizzazioni dei gestori. Esperienze di lavoro in  comune su nodi che interessano l’industria petrolifera a prescindere se sia pubblica o privata.

Sempre negli stessi anni un’altra occasione di collaborazione viene offerta dalla partecipazione di tutte le componenti del settore petrolifero ai lavori della Commissione per lo studio dei mercati petroliferi europei istituita dal ministro dell’Industria Renato Altissimo e presieduta da Davide Pastorino, un tecnico del Cip. Quando i tempi sembrano maturi per un ulteriore passo avanti nell’allentamento dei vincoli che caratterizzano il mercato petrolifero per quel che riguarda il sistema di controllo dei prezzi. Liberalizzazione che arriverà finalmente nel 1994.

Una collaborazione formalizzata il 14 giugno 1990 con la firma a Milano di un protocollo d’intesa che, fermi restando i diversi ruoli istituzionali e nel rispetto dell’autonomia delle politiche commerciali ed economiche delle singole aziende, prevede una consultazione sistematica tra Unione Petrolifera e il settore  Agip Petroli. Un vero e proprio “serrate le fila”.

Nel 1994 cade un altro “muro” quando, soppresso nel 1993 con un referendum abrogativo il ministero delle Partecipazioni Statali, l’Agip Petroli rientra a tutti gli effetti nell’Unione Petrolifera insieme alla IP. Società che dall’agosto 1992 non fanno più capo a Eni ente pubblico, ma a Eni spa in procinto di essere privatizzata. Il primo collocamento in Borsa avvenne nel novembre 1995. Una consacrazione di ritrovata unità che troverà piena maturazione il 4 giugno 1997 con il passaggio del testimone da Gian Marco Moratti a Pasquale De Vita, succeduto a Pileri alla guida di Agip Petroli, al vertice dell’Unione Petrolifera.
Un’aggregazione tra pubblico e privato che troverà poi ulteriore manifestazione nel 2006 nella nascita di Confindustria Energia, con De Vita sempre nel ruolo di aggregatore.

Un capitolo importante della storia dell’industria petrolifera italiana finito senza rimpianti.