Muoversi 1 2021
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IL TRASPORTO MARITTIMO E AEREO AL 2030 E AL 2050

IL TRASPORTO MARITTIMO E AEREO AL 2030 E AL 2050

di Lisa Orlandi

Lisa Orlandi

Direttore RiEnergia e analista RIE

Il sistema dei trasporti svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo, nella modernizzazione e nella qualità della vita di ogni società: condiziona la competitività delle economie e il loro benessere; consente l’imprescindibile integrazione dei mercati nell’era della globalizzazione; da ultimo, ma più che mai importante, mette in gioco valori primari, quali il diritto alla mobilità e alla libertà di circolazione delle persone e dei beni, che nel 2020 hanno assunto un’importanza evidente a seguito dell’adozione diffusa di misure di lockdown volte a contenere la propagazione dei contagi da Covid-19.

Una correlazione storica, quella tra petrolio e domanda di mobilità che, stando alle più autorevoli proiezioni energetiche recentemente elaborate, non scomparirà nemmeno nel medio-lungo periodo

I trasporti, come è noto, sono tipicamente energy intensive e caratterizzati da una forte dipendenza dal consumo di petrolio, con riferimento a tutte le differenti modalità: aerea, stradale, marittima. Su scala mondiale, infatti, il peso dei prodotti petroliferi nei consumi finali di energia dei trasporti si attesta al 92% (2018), arrivando ad assorbire poco più della metà della domanda globale di questa fonte primaria e a costituirne il principale driver di crescita. Una correlazione storica, quella tra petrolio e domanda di mobilità che, stando alle più autorevoli proiezioni energetiche recentemente elaborate, non scomparirà nemmeno nel medio-lungo periodo.

Tuttavia, il settore nel suo complesso conoscerà un’ineludibile trasformazione guidata, in primo luogo, dalla definizione – a livello mondiale, europeo e nazionale – di obiettivi e normative sempre più ambiziosi e stringenti volte a favorire la riduzione delle emissioni di anidride carbonica (CO2) e la sostanziale eliminazione delle particelle inquinanti (NOx, PM, CO, HC). La spinta normativa verso una riduzione dell’impatto ambientale del sistema dei trasporti, così come la necessità di limitarne la vulnerabilità rispetto a possibili interruzioni o rischi nella fornitura della materia prima da cui oggi il settore dipende in modo dominante, troveranno supporto anche nei cambiamenti tecnologici afferenti sia ai progressi lato motore – con livelli di emissione di agenti inquinanti trascurabili nel prossimo decennio e livelli di efficienza sempre maggiori che si tradurranno in minori consumi – sia alla crescente penetrazione di combustibili alternativi a bassa impronta carbonica.

Per sostenere una simile e complessa trasformazione saranno, quindi, necessari grandi progetti di investimento nella ricerca e sviluppo, nella realizzazione di nuove piattaforme produttive, nella costruzione di nuove infrastrutture lungo l’intera catena del valore delle diverse opzioni tecnologiche. Condizioni che difficilmente potranno realizzarsi compiutamente e su larga scala da qui al 2030, specie in settori come il trasporto aereo e marittimo, caratterizzati dalla netta predominanza dei fuel petroliferi e da una forte inerzia che giocoforza rallenta la migrazione verso opzioni alternative. La sfida di questo decennio consiste, piuttosto, nel creare le basi per una diversificazione delle fonti energetiche rispetto al petrolio, facendo attenzione anche al rischio di perdere i benefici connessi alle economie di scala che il quasi-monopolio di questa fonte ha nel tempo saputo genare. Il 2050, invece, è un orizzonte sufficientemente ampio per poter assistere all’affermazione di nuovi combustibili/vettori energetici e powertrain ad oggi poco o per nulla esplorati in determinati ambiti ma necessari per traguardare la progressiva decarbonizzazione del sistema.   

In quest’ottica, il presente articolo si propone di delineare la possibile evoluzione del mix di carburanti/sistemi di propulsione che caratterizzerà il trasporto marittimo e aereo mondiali agli orizzonti 2030 e 2050, sintetizzando i principali esiti di uno studio recentemente condotto da RIE- Ricerche Industriali ed Energetiche(1) per unem. Per svolgere questo esercizio prospettico, pur nei limiti e incertezze ad esso correlati specie in un momento storico come quello attuale, si è fatto ricorso a un’analisi multi-criteri (AMC) che ha messo a confronto le diverse opzioni selezionate considerando numerosi criteri di giudizio(2) (sia quantitativi che qualitativi) e attribuendo agli stessi specifici pesi. Il modello ha quindi restituito una “classifica di preferenze” a cui hanno fatto seguito specifiche analisi di sensitività volte a testare la solidità dei risultati ottenuti e ad individuare i fattori di forza e di debolezza delle varie soluzioni in campo.

Il trasporto marittimo: dal predominio di una singola fonte a un futuro multi-fuel

Il 2020 rappresenta per l’industria navale un anno di profondo cambiamento. L’entrata in vigore della nuova normativa IMO (International Maritime Organization) a partire dal 1° gennaio – con l’introduzione di un Global Sulphur Cap dello 0,5% massimo per i bunker marini – segna l’inizio di una trasformazione importante, con significative ripercussioni sia sulle attività di bunkeraggio sia sulle scelte di investimento di breve-medio termine degli armatori. Tuttavia, questo è solo un tassello di un quadro normativo che, sul lungo periodo, definirà per il settore obiettivi di sostenibilità e di decarbonizzazione sempre più spinti: il tutto a fronte di una rapida crescita attesa dei volumi scambiati via nave, in linea con quanto accaduto nell’ultimo ventennio e al netto della pandemia.

Tenendo conto di questi importanti aspetti e delle caratteristiche tipiche del settore, l’AMC svolta mette a confronto 6(3) diverse opzioni tecnologiche (e loro possibili evoluzioni) analizzate secondo 15 criteri di giudizio. In base all’analisi, riferita ad un perimetro geografico mondiale, il fuel mix al 2030 risulta sostanzialmente predeterminato in quanto risente della forte inerzia che contraddistingue questa modalità di trasporto in termini di vita utile del naviglio (30-35 anni), modalità e tipologie di rifornimento, competenze acquisite da decenni lato manutenzione a bordo. Questi aspetti, contemperati nell’analisi multi-criteri, premiano quindi il ricorso a combustibili petroliferi con tenore di zolfo ≤ 0,5%, impiegabili già oggi dalla maggior parte delle navi e tali da non comportare, per gli armatori e le compagnie di navigazione, nuovi investimenti in conto capitale in quanto non sono necessari adattamenti motoristici particolari. Lato produzione, inoltre, l’industria della raffinazione mondiale si è da tempo strutturata per soddisfare la richiesta di tali bunker e continua ad orientarsi in questa direzione attraverso investimenti in impianti di conversione e desolforazione; le fasi di stoccaggio e distribuzione possono poi contare su un sistema infrastrutturale ampio e diffuso su scala globale. L’impatto emissivo, indubbiamente più elevato rispetto a soluzioni non-oil based, può essere in parte attenuato attraverso un ripensamento dell’ecosistema di navigazione e quindi grazie a maggiori sforzi in termini di efficienza energetica e all’adozione di specifiche misure operative e gestionali (quali la riduzione della velocità di navigazione e l’uso di sistemi di rotta intelligenti).

Gran parte delle considerazioni espresse per i combustibili petroliferi a basso tenore di zolfo valgono anche per l’opzione olio combustibile pesante (HFO) con tenore di zolfo 3,5% più scrubber che si posiziona al secondo posto nell’ordine di “surclassamento” risultante dall’AMC. In questo caso, il maggior costo per l’armatore o compagnia di navigazione è legato essenzialmente all’installazione dello scrubber, un sistema di abbattimento dei fumi di combustione necessario per rispettare il nuovo limite IMO dello 0,5%. La relativa economicità di questa scelta (tempo di ritorno dell’investimento contenuto) si scontra, tuttavia, con diversi fattori: restrizioni ambientali che vietano, in alcune zone, l’uso di determinate tipologie di scrubber; la tendenziale incapacità dell’offerta di simili impianti di far fronte ad una domanda supposta in continua crescita; la ridotta disponibilità nel tempo di olio combustibile a medio-alto tenore di zolfo, in ragione del ri-orientamento delle raffinerie verso prodotti IMO 2020-compliant.

Il GNL rappresenterà, invece, una soluzione ponte più sviluppata in aree specifiche, mentre non sembra emergere su scala mondiale come opzione tecnologica dominante, anche se il numero di navi che vi faranno ricorso è atteso in crescita. La terza posizione restituita dall’AMC è ascrivibile agli elevati costi che questa opzione comporta sia per gli armatori sia per i produttori a monte, nonché all’assenza di una diffusione territoriale di depositi e impianti rifornimento, tranne appunto in aree specifiche. Seguono i “Powertrain ibridi”, un’opzione più adatta per navi che svolgono servizi brevi (come i traghetti) o laddove il consumo di elettricità a bordo diviene importante rispetto al consumo energetico complessivo (navi da crociera). Pertanto, questa alternativa – che presenta indubbi vantaggi dal punto di vista del rendimento solo dove dominano accelerazioni frequenti, con evidenti benefici in termini di impatto ambientale – è attesa crescere nel suo ambito di applicazione.

Considerata la forte inerzia del settore, le alternative “Metanolo” e “Nuovi combustibili (e-fuels) o vettori energetici (prevalentemente ammoniaca)” non riusciranno a conoscere una diffusione di rilievo all’orizzonte 2030. Il decennio in corso dovrà o potrà semmai servire per testare attentamente un interesse che, specie per nuovi vettori energetici come l’ammoniaca (tradizionale ed e-ammoniaca) sembra essere alto.

Al 2050, infatti, il ragionamento si sposta sulle nuove costruzioni che tenderanno a ricorrere in misura crescente a combustibili/vettori energetici low-carbon, la cui catena di approvvigionamento e le relative economie di scala e di competenze devono essere in parte o interamente costruite. Una spinta forte e stabile verso ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni, sia locali sia climalteranti, potrà infatti orientare l’industria navale verso nuove soluzioni compatibili con le esigenze del trasporto marittimo (combustibili facilmente trasportabili e facilmente mantenibili allo stato liquido per 40-45 giorni di navigazione) quali l’ammoniaca, l’e-ammoniaca e gli e-fuels.

Sarà quindi un futuro multi-fuel quello che caratterizzerà il trasporto via mare e risulterà decisivo accompagnare la transizione iniziando ad investire sin dal decennio in corso in una rete infrastrutturale che consenta di ottenere e di distribuire una quantità adeguata di prodotti a ridotta impronta carbonica.

Il trasporto aereo: la dipendenza dal jet fuel si riduce solo nel lungo periodo

Anche per l’aviazione civile, così come visto per il trasporto marittimo, il 2020 doveva essere un anno chiave: l’anno a partire dal quale il settore si sarebbe impegnato ad indirizzarsi, per la prima volta, verso l’azzeramento delle sue emissioni nette di anidride carbonica, avviandosi lungo un percorso di crescita carbon-neutral. Il 2020 verrà invece ricordato come l’annus horribilis, il peggiore che questo comparto abbia mai vissuto in termini economici: la diffusione su scala mondiale del Covid-19 ha di fatto paralizzato il trasporto aereo nazionale e internazionale, ivi incluse le industrie produttive ad esso associate.

In un simile contesto, è evidente che le dinamiche di breve-medio periodo saranno caratterizzate da un elevato grado di incertezza; tuttavia, una volta esaurita la fase pandemica, è molto probabile che il traffico aereo (sia merci che passeggeri) riprenda a seguire quella traiettoria ascendente che ha bruscamente interrotto a causa della crisi in atto. Si ricorda, infatti, che l’aereo è la modalità di trasporto che ha esibito la crescita più sostenuta nell’ultimo decennio: il traffico passeggeri è triplicato rispetto a vent’anni fa, mentre quello cargo è arrivato a rappresentare in termini di valore il 35% del commercio mondiale. Questa dinamica è stata accompagnata da una sempre maggiore richiesta di jet fuel, data la pressoché totale assenza di alimentazioni alternative da impiegare su larga scala. Stando così le cose, al netto delle criticità della ripartenza, il trasporto aereo dovrà continuare a perseguire gli obiettivi – sia vincolanti che volontari – che lo dovrebbero accompagnare lungo un percorso sempre più spinto di decarbonizzazione, ad un orizzonte – quale il 2050 – che non dovrebbe più avere alcuna memoria della pandemia.

L’analisi, che anche in questo caso considera il mercato mondiale, ha messo a confronto 5 soluzioni tecnologiche alternative (e le loro possibili evoluzioni) sulla base di 20 criteri. Guardando al 2030, non sembrano emergere leve attivabili per modificare sensibilmente il ruolo del jet fuel, sostenuto da una combinazione di criteri che lo rendono nettamente preferibile alle altre opzioni. Possibilità di sfruttare tecnologie e competenze consolidate da decenni, la presenza di un’infrastruttura di approvvigionamento e distribuzione diffusa su scala mondiale, il lento ricambio – specie in termini progettuali – della flotta aerea. Tutti elementi che, rispetto alle alternative esaminate, conferiscono a questa opzione vantaggi di costo, di disponibilità, di affidabilità e di sicurezza che si manterranno lungo il decennio in corso. L’impatto emissivo non trascurabile può essere, nel medio termine, ragionevolmente attenuato da miglioramenti di efficienza connessi allo sviluppo tecnologico del design e dei motori, nonché dall’ottimizzazione del traffico aereo e dell’uso delle infrastrutture a terra. Tra le opzioni alternative, potrà crescere il ruolo dei Sustainable Aviation Fuels (SAF) con processi produttivi oggi più maturi (HVO/HEFA(4)) mentre le opzioni più sperimentali e rivoluzionarie – a minor impatto ambientale – rimangono in coda, a indicare che in un settore caratterizzato da una forte inerzia è necessario più di un decennio per costruire le relative economie di scala e testarne l’applicazione su scala commerciale.

Sarà quindi un futuro multi-fuel quello che caratterizzerà il trasporto via mare e risulterà decisivo accompagnare la transizione iniziando ad investire sin dal decennio in corso in una rete infrastrutturale che consenta di ottenere e di distribuire una quantità adeguata di prodotti a ridotta impronta carbonica

Al 2050, invece, pur con le rigidità che caratterizzano il segmento aereo – l’analisi evidenzia un possibile mix di soluzioni e la presenza di diverse leve attivabili per orientare la scelta tra le stesse. Alternative come powertrain ibridi (per il mercato dei voli regionali)(5)  e SAF oggi più sperimentali, come gli e-fuels, potranno affermarsi in un’ottica di lungo periodo al verificarsi di determinate condizioni, a partire da una decisa riduzione dei costi di investimento e operativi. La produzione di tali combustibili è premiante sia in termini di emissioni valutate sull’intero ciclo di vita sia per la maggiore disponibilità dei feedstock impiegati rispetto a quelli che caratterizzano i SAF di origine biologica. Analogamente, la loro penetrazione può essere favorita anche da un aumento del prezzo del jet fuel fossile (per ragioni politiche – assoggettamento a tassazione – o di mercato – riduzione della capacità di raffinazione).

I velivoli più rivoluzionari – ad esempio i full electric a idrogeno – non sembrano invece preferibili in base all’AMC nemmeno nel lunghissimo periodo. La possibilità che l’idrogeno sia prodotto con elettricità rinnovabile, la sua densità energetica, la relativa massa e l’autonomia raggiungibile con i serbatoi, nonché la dotazione di impianti per il rifornimento presso gli aeroporti sono elementi che pongono la concorrenzialità di queste opzioni su orizzonti lunghi.

In conclusione, il ruolo del jet fuel tradizionale rimane centrale per questo settore ma è ragionevole attendersi, nel lungo periodo, una progressiva e significativa riduzione della dipendenza pressoché assoluta da questa fonte che ad oggi caratterizza il settore.    

AEREI DEL FUTURO

Dove finisce l’immaginazione e dove comincia il progetto concreto? Difficile rispondere a una simile domanda se ci si muove sul terreno dell’aereonautica del futuro. Certo è che dopo l’annus horribilis 2020 in cui il mondo dell’aviazione civile è stato travolto in maniera ancora maggiore rispetto a tutti gli altri settori dei trasporti dall’emergenza Covid 19 (e dalla sostanziale immobilità degli utenti chiusi all’interno dei confini nazionali se non dentro casa loro) si sta facendo avanti una riflessione che punta alle novità, anche alle più strane e impensabili. La certezza da parte di tutti i soggetti (dai costruttori degli veivoli alle compagnie aeree) è che difficilmente si tornerà al “passato com’era”. O che, almeno, se si vuole uscire dalla crisi con una prospettiva di più lungo termine c’è bisogno di idee nuove che riguardano l’impatto ambientale, la vivibilità degli aeromezzi, persino la loro forma.

Si sa che da almeno un ventennio (i tempi per passare dal progetto al primo volo e poi alla diffusione commerciale dei modelli sono sempre lunghi, come gli investimenti che sono giganteschi) il tema del risparmio è centrale nella ricerca e gli aerei della nuova generazione hanno puntato ad un forte risparmio di carburante attraverso nuovi motori tradizionali nell’alimentazione, ma sempre più raffinati, su un forte alleggerimento degli aeromobili attraverso materiali innovativi, anche abbandonando il gigantismo che a partire dal Jumbo sembrava essere diventato il marchio di fabbrica del volo di massa. Le nuove creature delle ultime generazioni, pensate una quindicina di anni fa, hanno ridotto i consumi del 15-20% rispetto ai loro “genitori” e i progetti accolti meglio dal pubblico e dalle compagnie aeree sono stati proprio quelli che puntavano sul risparmio e non – per fare un esempio che pure è stato tentato – sull’aumento della velocità. Insomma voli di massa, costi più ridotti: il rovescio della strada tentata e fallita con i supersonici Concorde. Bellissimi, velocissimi e costosissimi che oggi appaiono come un vicolo cieco dell’evoluzione aerea. Per fare un esempio, AirFrance si muove tenendo conto del fatto che il governo francese ha condizionato gli aiuti di primavera all’impegno nella conversione ambientale. Entro il 2030 Air France dovrà tagliare metà delle emissioni di CO2 per passeggero/chilometro rispetto al 2005, rinnovando la sua flotta con l’acquisto dei nuovi Airbus 350 e 200 e sviluppando il carburante verde. Il governo ha anche chiesto di cancellare i voli interni che si possono sostituire con meno di due ore e mezza in alta velocità ferroviaria.

E domani? Domani – stando a quello che le compagnie aree come la Klm o i costruttori come il consorzio Airbus fanno uscire sulla stampa internazionale – siamo in una fase nuova che vede persino modificarsi l’immagine degli aerei che somigliano più a dei pesci volanti che alle fusoliere di oggi. Airbus ha mostrato i rendering di tre nuovi aeromobili: due di tipo “tradizionale” e uno del tutto innovativo, comunque tutti e tre con turbofan o turboeliche a idrogeno. L’aereo che assomiglia ad una manta è pensato con quella forma per aumentare enormemente la superficie alare (all’interno della quale comprendere la cabina dei passeggeri) per migliorare le prestazioni aerodinamiche e per massimizzare la spinta dei motori ad idrogeno che però ancora sono solo allo studio. La forma dell’airbus non è del tutto nuova, il consorzio europeo l’aveva già lanciata qualche anno fa ma era rimasta solo un concept chiamato Maveric. Ora il fatto che agli aerei da fantascienza si affianchino forme più tradizionali, ma con ali più lunghe e flessibili, fa pensare che dai “sogni” si potrà passare ai progetti. “Fino a cinque anni fa – confessa Glenn Llewellyn, Vicepresidente di Airbus, Zero-Emission Aircraft – la propulsione a idrogeno non era nemmeno sul nostro radar come un percorso tecnologico praticabile per la riduzione delle emissioni. Ma i dati convincenti di altre industrie di trasporto hanno cambiato rapidamente tutto questo. Oggi, siamo entusiasti dell’incredibile potenziale che l’idrogeno offre all’aviazione in termini di riduzione delle emissioni”.

La forma a manta è stata lanciata anche da KLM che sta lavorando insieme all’università olandese di Delft. In particolare, il vettore, che è stato battezzato Flying-V, contribuirà alla ricerca di TU Delft per mettere a punto un concetto di volo innovativo, ma non fantascientifico. Infatti gli studi puntano a un velivolo che ha la stessa apertura alare di un Airbus A350. Questo consentirà al Flying-V di poter operare sulle infrastrutture aeroportuali esistenti, di usare gli stessi gate, piste e hangar. Inoltre, di poter trasportare lo stesso numero di passeggeri (314 nella configurazione base) e lo stesso volume di merci (160 m3). Il progetto KLM sembra più realistico visto che grazie a cabina passeggeri, stiva e serbatoi integrati nelle ali si otterrebbe un miglioramento aerodinamico che unito al peso ridotto consentiranno un risparmio di carburante del 20% rispetto al widebody europeo, che rappresenta la soluzione ad oggi più avanzata sul mercato. Questo senza abbandonare i motori turbofan di più recente concezione e già sul mercato. Nel design attuale vola ancora a kerosene, ma potrà essere facilmente adattato alle innovazioni, usando ad esempio turboventole potenziate elettricamente. D’altra parte l’aviazione contribuisce per circa il 2,5% alle emissioni globali di CO2 e l’idea di abbassare consumi ed emissioni è vitale allo sviluppo di questa industria. Fantasia? I progettisti dell’università di Delft e KLM parlano di un primo aereo tra il 2040 e il 2050. Non ci resta che attendere.

1 Lo studio “Opzioni e prospettive per il trasporto marittimo, aereo e stradale al 2030 e al 2050” è stato realizzato da RIE con la collaborazione del Prof. Ing Bruno Dalla Chiara, Professore Ordinario di Sistemi di Trasporto del Politecnico di Torino e dell’Ing. Andrea Rosa, esperto di modellistica dei trasporti.

2 Sono state considerate cinque macro-dimensioni di valutazione: sociale-lavorativa (economie di scala nella produzione del carburante e lato motore, decarbonizzazione della filiera); economica (investimento medio per il mezzo, costo di esercizio, costo di produzione e costo finale del carburante, investimenti per la creazione dell’infrastruttura di rete, etc.); energetica (rendimento del motore, densità energetica del carburante/vettore, autonomia del mezzo, sviluppo della rete di rifornimento/ricarica, etc.); ambientale (emissioni di CO2 lungo l’intero ciclo di vita, emissioni di inquinanti); disponibilità e sicurezza energetica (volumi disponibili della materia prima e del prodotto finale nella catena di approvvigionamento delle diverse tipologie di alimentazione).

3 Al 2050 non si considera più l’opzione del combustibile petrolifero ad alto tenore di zolfo.

4 I SAF di tipo HEFA (esteri idroprocessati ed acidi grassi) impiegano come feedstock oli vegetali e grassi di scarto che, dopo una prima fase di deossigenazione, vengono sottoposti a idrogenazione. L’output finale è costituito da idrocarburi paraffinici a catena dritta privi di composti aromatici, ossigeno e zolfo, con tassi di miscelazione con i combustibili fossili che possono arrivare al 50%. Il processo di conversione oleochimica che porta alla produzione di fuel di tipo HEFA è simile a quello da cui si ottiene l’olio vegetale idrotrattato (Hydrotreated Vegetable Oil – HVO), con l’aggiunta di ulteriori processi di hydrocracking per ottenere prodotti compatibili con il jet fuel. 

5 Ad oggi, i velivoli ibridi -in cui i motori a turbina sono accoppiati ad un motore elettrico che viene utilizzato come propulsione addizionale per soddisfare la domanda di picco – sono ancora a uno stadio dimostrativo e l’attuale congiuntura negativa per il settore aereo potrebbe rallentarne ulteriormente lo sviluppo. Nella categoria 15-20 posti, vi sono già aeromobili che impiegano questo sistema di propulsione che, tuttavia, solo nel lungo termine potrà essere utilizzato su jet regionali (50-100 posti).