Muoversi 1 2021
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TRASPORTI: COME AFFRONTARE LA SFIDA DELLA DECARBONIZZAZIONE

TRASPORTI: COME AFFRONTARE LA SFIDA DELLA DECARBONIZZAZIONE

di Francesco Ramella

Francesco Ramella

Direttore esecutivo Bridges Research

Riprendendo un vecchio adagio danese, Niels Bohr, premio Nobel per la fisica nel 1922, ha scritto che è difficile fare previsioni, soprattutto per il futuro.

Per Antoine de Saint-Exupéry, piuttosto che cercare di prevederlo, il futuro dovremmo cercare di renderlo possibile.

Si tratta di capire come. È possibile immaginare che nell’arco di tre decenni il settore dei trasporti muti radicalmente aspetto abbandonando l’uso del petrolio che ne è stato finora il cardine?

Sognare si può ma c’è il forte rischio di risvegliarsi bruscamente, sopraffatti da quello che a conti fatti si rivela essere un incubo.

Ne abbiamo fatta una parziale, ma assai dolorosa, esperienza nel corso di quest’anno. Per rallentare la diffusione della pandemia abbiamo imposto restrizioni senza precedenti alle attività produttive e, ancor più, alla mobilità di persone e merci. I consumi di petrolio sono crollati e così le emissioni di CO2. Ma il prezzo pagato è stato molto alto: nel Mondo 120 milioni di persone hanno visto il loro reddito scendere sotto il livello della povertà assoluta. La decrescita economica è senza dubbio la strada più facile da percorrere ma, al contempo, la meno auspicabile. Non sembra esservi proporzione tra i benefici ambientali e i costi umani che ne derivano.

Un’altra ipotesi che va per la maggiore nel dibattito sulla decarbonizzazione dei trasporti è quella del cosiddetto riequilibrio modale ossia lo spostamento di quote rilevanti di domanda dai modi di trasporto con più elevati consumi energetici ed emissioni a quelli più frugali. È una politica che l’Unione europea persegue da almeno un paio di decenni e che ha dimostrato di essere quasi del tutto inefficace. Nonostante le ingentissime risorse destinate alle ferrovie e ai trasporti pubblici, le “quote di mercato” dei modi di trasporto terrestri sono rimaste pressoché invariate e, nonostante un buon successo delle linee ad alta velocità, la domanda (passeggeri-km) del trasporto aereo è raddoppiata. Non diversa è la situazione per le merci, settore che ha visto il consolidarsi anche nei Paesi dell’Europa orientale di una posizione di assoluto predominio del trasporto su gomma.

Identica tendenza si va rafforzando anche nei Paesi emergenti dai quali proverrà gran parte dell’aumento delle percorrenze nei prossimi decenni.

Un’altra ipotesi che va per la maggiore nel dibattito sulla decarbonizzazione dei trasporti è quella del cosiddetto riequilibrio modale ossia lo spostamento di quote rilevanti di domanda dai modi di trasporto con più elevati consumi energetici ed emissioni a quelli più frugali. È una politica che l’Unione europea persegue da almeno un paio di decenni e che ha dimostrato di essere quasi del tutto inefficace

Dovrebbe essere giunto il momento di riconoscere che l’opzione del cambio modale è una costosa illusione essendo priva del requisito necessario per poter incidere in misura rilevante sul problema: la scalabilità. Tutte le risorse dovrebbero essere investite per favorire l’innovazione tecnologica rendendo le alternative al petrolio fattibili tecnicamente ed economicamente convenienti. Il percorso da seguire è analogo a quello già seguito con grande successo nell’ambito delle emissioni di inquinanti locali. Anche se la maggior parte dei cittadini italiani ed europei ne è all’oscuro, la qualità dell’aria nelle nostre città è oggi molto migliore di quella di trenta o quaranta anni fa. Il merito di questa evoluzione è pressoché esclusivamente da ricondursi ai progressi compiuti nella produzione dei carburanti e nell’abbattimento delle emissioni dei veicoli (e di quelle degli altri settori); senza di essi il trend sarebbe stato di segno opposto.

Come affrontare ora la sfida della decarbonizzazione? Per il trasporto terrestre gode di ampio sostegno l’ipotesi di una sostituzione in tempi molto rapidi dei motori a combustione interna con quelli elettrici. Sembra quasi essersi scatenata una gara a chi garantisce i sussidi più generosi e mette per primo al bando i motori termici.

“Fate presto!” è lo slogan che meglio si addice a questo approccio. Forse, però, sarebbe preferibile “fare bene” e valutare con attenzione non solo i benefici ma anche i costi da sopportare che sono tanto più alti quanto più si vogliono comprimere i tempi della transizione. E sarebbe auspicabile che il soggetto pubblico evitasse di scegliere apriori il vincitore della gara ma che si limitasse a finanziare la ricerca di base e a svolgere il compito di regolatore ossia di internalizzare i costi esterni di ciascun modo di trasporto, lasciando poi a produttori e consumatori scegliere quali siano le opzioni più efficienti per ridurre le emissioni.

Al riguardo occorre osservare come, per quanto concerne il trasporto terrestre ossia il segmento responsabile della quota largamente maggioritaria delle emissioni, l’attuale livello di prelievo fiscale in Italia e in Europa eccede, nella maggior parte dei casi, le esternalità ambientali generate. È pertanto vagamente surreale il dibattito che si trascina ormai da qualche anno a proposito dell’eliminazione dei “sussidi ambientalmente dannosi”, sussidi che, tranne poche eccezioni, sono inesistenti.

Per ogni tonnellata di CO2 emessa lo Stato introita all’incirca oltre 300 euro nel caso del gasolio e più di 400 per la benzina. È un caso unico che non ha paragoni negli altri settori e in altre aree geografiche. L’elevato livello di prelievo implica un altrettanto ingente costo opportunità della riduzione delle emissioni del settore: per ogni tonnellata in meno di CO2 emessa, ad esempio scegliendo per i propri spostamenti la bicicletta invece dell’auto, lo Stato si priva di 300-400 euro, risorse con le quali potrebbe abbattere emissioni per un multiplo di questa quantità (oppure destinarle a finalità che comportino maggiori benefici).

È pertanto vagamente surreale il dibattito che si trascina ormai da qualche anno a proposito dell’eliminazione dei “sussidi ambientalmente dannosi”, sussidi che, tranne poche eccezioni, sono inesistenti. Per ogni tonnellata di CO2 emessa lo Stato introita all’incirca oltre 300 euro nel caso del gasolio e più di 400 per la benzina. È un caso unico che non ha paragoni negli altri settori e in altre aree geografiche

Con una frazione di queste risorse il comparto potrebbe essere reso carbon neutral fin da oggi senza attendere il 2030 o il 2050.

L’ipotesi più pessimistica, qualora non vi fossero alternative meno costose è quella della cattura diretta della CO2 dall’atmosfera. Ipotizzando un costo pari a 200 euro per tonnellata catturata, sarebbe possibile azzerare tutte le emissioni del trasporto stradale, di poco inferiori a 100 milioni di tonnellate, con un costo complessivo pari a 20 miliardi grosso modo la metà di quanto ogni anno lo Stato incassa, al netto delle spese, dal trasporto su strada.

A guardare bene, dunque, auto e camion sono assai più sostenibili di quanto possa apparire a uno sguardo superficiale o prevenuto.