Muoversi 1 2022
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LA RICETTA È SEMPLIFICARE E SOSTENERE I SETTORI IN TRASFORMAZIONE

LA RICETTA È SEMPLIFICARE 

E SOSTENERE I SETTORI IN TRASFORMAZIONE

intervista a Gianni Pietro Girotto

di Marco D’Aloisi

Gianni Pietro Girotto

Presidente Commissione Industria del Senato

 

La recente COP26 ha lasciato irrisolti diversi nodi. Secondo alcuni è un modello superato. È certo però che per raggiungere gli obiettivi sarà necessario un approccio maggiormente coordinato. Cosa servirebbe, a suo avviso, per rendere i processi decisionali più efficaci?

È sempre difficile trovare una quadra su certe tematiche. È chiaro che quando si parla di rapporti tra più Stati non ce ne può essere uno che dice d’ora in avanti si fa così perché lo dico io. Si deve andare verso una collaborazione sempre più stretta perché gli interessi tendono ad essere divergenti e su tutta una serie di materie comuni, come ad esempio l’energia, una gestione unica sarebbe più efficace. Ripeto, sono questioni che non hanno una risposta facile. L’Europa importa gran parte del suo fabbisogno energetico e proprio da qui nascono tutta una serie di problemi. Una soluzione strutturale potrebbe essere quella di arrivare agli Stati Uniti d’Europa. Un primo passo è stato fatto con il discorso degli stoccaggi comuni su base volontaria. Se l’Europa fosse meno dipendente dalle fonti estere avremmo molte meno difficoltà e questo lo si può fare attraverso le rinnovabili e l’efficienza energetica. Dobbiamo far sì che l’Europa diventi il più possibile autonoma da un punto di vista energetico. La politica, si sa, tende a discutere molto prima di arrivare ad una soluzione. Abbiamo la moneta unica, dovremmo arrivare anche all’energia unica.

Si deve andare verso una collaborazione sempre più stretta perché gli interessi tendono ad essere divergenti e su tutta una serie di materie comuni, come ad esempio l’energia, una gestione unica sarebbe più efficace. Ripeto, sono questioni che non hanno una risposta facile

Il Senato ha svolto diverse audizioni sul PTE e sull’attuazione del PNRR. Quale bilancio ne può trarre?

La mole di documenti esaminati è stata enorme, ma il bilancio si riduce a poche cose e abbastanza semplici. Noi viviamo con la spada di Damocle dei cambiamenti climatici che sono un costo a prescindere, sia che usiamo fonti fossili o meno; importiamo gran parte del nostro fabbisogno e abbiamo consumi molto più alti di quello che riusciamo a produrre. Come gruppo politico abbiamo sempre detto che la strada è quella delle rinnovabili e dell’efficienza energetica che devono andare in parallelo. Quindi tutte queste discussioni in corso, a mio avviso, man mano stanno delineando che la strada da seguire è questa come appunto dicono la Commissione europea, l’Agenzia internazionale per l’energia e anche la nuova amministrazione Biden che ha cambiato completamente rotta rispetto alla precedente. Da un punto di vista interno ci siamo resi conto, per chi non se ne fosse reso ancora conto, che il problema grosso sono, da un lato, il permitting sulle rinnovabili e, dall’altro, il completamento della riforma del mercato elettrico che non è ancora pronto per la gestione delle rinnovabili in forma aggregata per tutti i servizi ancillari, e la partecipazione attiva dei cittadini.

I pareri sul PTE, sia di Senato che Camera, mettono in evidenza alcuni aspetti che sono importanti appunto fra quelli anche il discorso della neutralità tecnologica. Secondo lei si sposa con un ragionamento che spinge sulle rinnovabili a prescindere dalla loro maturità o meno?

Non so chi dica rinnovabili a prescindere dalla loro maturità o meno. Lo Stato ha la possibilità di incentivare le rinnovabili non mature perché scommette sul fatto che se noi diamo una spinta iniziale, poi calano i prezzi e si ha una produzione tale, a un costo tale, che mi ripaga dello sforzo pubblico iniziale. Questo è stato fatto in passato con il fotovoltaico, con i vari conti energia e con l’eolico. Noi continuiamo a ripetere che tecnologicamente dobbiamo rimanere neutrali proprio in questo senso: vediamo dove il denaro pubblico è meglio speso, ma nel momento in cui una qualsiasi tecnologia raggiunge una maturità che la fa stare sul mercato da sola, a quel punto lì deve farcela con le proprie forze. Tra l’altro, ciò porta più concorrenza e si sviluppano ulteriori miglioramenti tecnologici. Così diventa un circuito virtuoso. Quindi, il ruolo del pubblico è gestire il denaro pubblico in maniera che si incentiva qualche cosa che mi restituirà l’importo iniziale che gli ho destinato.

Sul discorso della raffinazione diciamo che di impegni parlamentari non ce ne sono stati molti, non perché non sia un settore importante quanto sembra. Si ha l’idea una sua trasformazione in chiave low carbon non sia percorribile ovvero che i prodotti tradizionali non possano evolvere verso qualcosa di diverso?

Questa è una situazione assolutamente delicata e importante. Delicata, perché se pensiamo ad esempio agli aerei, a cui nessuno vuole rinunciare, prima di avere un’alternativa a batteria o idrogeno passerà parecchio tempo, ma ciò non significa che nel frattempo si rinunci a volare e servono perciò i combustibili appropriati. Importante, perché sappiamo che una raffineria per rimanere economicamente sostenibile deve lavorare determinati volumi. Da una parte dobbiamo essere coscienti di questo, dall’altro, che parte del sistema si può riconvertire sui biocombustibili da oli vegetali, esausti o altre matrici derivanti da biomasse. Nel frattempo, non è che possiamo permetterci di chiudere le raffinerie aspettando che arrivi la soluzione tecnica vincente che ci può far rinunciare a questa tecnologia. Bisognerà accompagnare il sistema in questa trasformazione. Le stesse multinazionali hanno capito, ormai direi, che comunque dovranno cambiare il proprio business model e affiancare l’attività con nuove fonti rinnovabili e via via abbandonare le materie prime fossili.

È evidente che il “Fit for 55” andrà perfezionato e tutte le altre normative europee e nazionali dovranno includere l’LCA tra gli strumenti indispensabili. È un punto di partenza da cui non si può prescindere, altrimenti di che cosa stiamo parlando? Altrimenti come facciamo a dire che una tecnologia è più o meno performante di un'altra o più pulita di un'altra

Per rendere tutto ciò possibile servono dei fattori abilitanti che al momento mancano nella normativa europea. A partire dal sistema di calcolo delle emissioni che è solo allo scarico e non sull’intero ciclo di vita. Vede possibilità di correzione in questa direzione?

Su questo tema ho sempre detto chiaro e tondo che qualsiasi tecnologia va valutata sempre e comunque in termini di Life Cycle Assessment (LCA), ci mancherebbe. Non lo dico solo io, ma tutto il Movimento 5 Stelle. Continueremo a ribadire che qualsiasi tecnologia va valutata in questo modo, non ci piove. È evidente che il “Fit for 55” andrà perfezionato e tutte le altre normative europee e nazionali dovranno includere l’LCA tra gli strumenti indispensabili. È un punto di partenza da cui non si può prescindere, altrimenti di che cosa stiamo parlando? Altrimenti come facciamo a dire che una tecnologia è più o meno performante di un’altra o più pulita di un’altra. 

Questo forse aiuterebbe il sistema industriale a restare competitivo ed evitare rischi di delocalizzazioni?

La soluzione per evitarle rimane quella di una seria carbon border tax. Qualsiasi prodotto o servizio che arriva da un qualsiasi punto del pianeta deve incorporare nel suo costo le esternalità negative. Questa è la soluzione strutturale definitiva, altro non c’è. Nel “Fit for 55” c’è un tentativo in questo senso, la CBAM, che, anche se parziale e prevista per il 2026 senza ancora i dettagli su come si farà a calcolare la tassazione dei vari prodotti, è però qualcosa di cui la politica inizia a parlare. L’unica strada per evitare le delocalizzazioni è quella di avere un playing level field il più possibile paritetico anche se determinati paesi continueranno avere il vantaggio delle materie prime in casa, di manodopera a costo più basso. Questo però per il momento è ineluttabile. Ci sarà comunque una concorrenza su questi fattori.

I pareri espressi dal Parlamento sul PTE danno degli indirizzi chiari al Governo. Quale è il suo auspicio?

Il PTE, di cui mi ero evidenziato gli aspetti più importanti quando è uscito a luglio, dice un sacco di cose assolutamente di buon senso e condivisibili: transizione, sostenibilità, economia circolare, giustizia sociale. Direi che sono d’accordo per il 99% su ciò che c’è scritto. Come sempre il passaggio è concretizzarle. Il PNRR ha disposizione una serie di denari per farlo e quindi dobbiamo cercare di utilizzarli al meglio. Rispetto al PTE non ho molto da aggiungere, perché se riuscissimo a concretizzare quello che prevede vorrebbe dire che avremmo fatto veramente un gran lavoro. Osservo e continuo ad osservare che siamo indietro sulle due cose che ho citato prima, cioè il permitting e il completamento del mercato elettrico che non è ancora pronto.  Gli strumenti a disposizione vanno assolutamente perfezionati e dobbiamo completare il discorso di semplificazione burocratica, che non è solo ed esclusivamente a favore delle rinnovabili, ma per tantissime altre cose di cui l’Italia ha bisogno. Semplificare non vuol dire sacrificare la legalità, ma sicuramente togliere discrezionalità soggettiva. Questo è un passaggio chiave: in uno Stato non può decidere un funzionario con criteri suoi personali. In uno Stato il funzionario segue pedissequamente una procedura che deve essere il più possibile oggettiva e lo spazio alla discrezionalità personale deve essere il minimo indispensabile. Se vogliamo uno Stato che funzioni, le procedure devono essere chiare e non interpretabili ad personam. Il Parlamento fa le leggi e i livelli sottostanti devono fare quello che dice la legge. Non è solo un auspicio, ma una dichiarazione di intenti di impegno politico che il Parlamento deve sostenere con forza.