Muoversi 1 2022
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ABBANDONARE UNA VISIONE CONFESSIONALE

ABBANDONARE UNA VISIONE CONFESSIONALE

DELLA POLITICA AMBIENTALE

intervista a Aurelio Regina

di Marco D’Aloisi


Aurelio Regina

Presidente
Delegato per l'energia del Presidente di Confindustria

Le ultime previsioni dicono che la nostra economia tornerà sui livelli pre-Covid non prima della metà del 2022. Nel quarto trimestre dell’anno c’è stato però un rallentamento. Quali i fattori che hanno inciso e cosa dobbiamo aspettarci?

Nel corso del 2021 la crescita dell’economia italiana è stata sicuramente tra le migliori nel contesto europeo. Dobbiamo però essere consapevoli che circa il 60% di questa crescita è dovuta al settore delle costruzioni, grazie agli incentivi per la riqualificazione energetica degli immobili. Nella fase finale dell’anno purtroppo sono emersi dei rischi concreti di un brusco rallentamento, legato all’aumento senza precedenti dei costi energetici: in Italia il gas naturale è cresciuto di oltre il 600%, l’energia elettrica del 450%. Per il primo trimestre 2022 guardiamo con preoccupazione la fermata per 30/40 giorni di importanti settori manifatturieri di base, che potrebbero avere degli effetti negativi rilevanti sulle aspettative per l’anno in corso.

Cosa servirebbe per sostenere adeguatamente un percorso di crescita duraturo che permetta di sfruttare al meglio le risorse messe a disposizione dal PNRR?

Il PNRR è sicuramente un volano importante per l’accelerazione della ripresa economica post pandemica, soprattutto con riferimento alla transizione ecologica, per la quale sono stanziati oltre 70 miliardi dei 200 messi a disposizione dalla UE. È però necessario considerare che il fabbisogno di investimenti italiani per raggiungere gli obiettivi del “Fit for 55” al 2030 richiederà al Paese un flusso di investimenti senza precedente superiore a 700 miliardi. Pertanto, dobbiamo essere consapevoli che il PNRR rappresenta solo il 10% di quello che gli italiani dovranno investire per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. Il resto dovrà necessariamente essere trovato attraverso ulteriori misure di finanza pubblica oppure, considerato lo spazio di manovra limitato nei nostri conti pubblici, dal settore privato. Credo quindi che il PNRR debba costituire un banco di prova concreto per la capacità della nostra macchina burocratica di essere in grado di programmare e autorizzare gli investimenti infrastrutturali pubblici e privati. È anche una prova di maturità cruciale per un Paese che aspira a tenere il passo delle moderne economie.

Esiste una forte preoccupazione di una corsa dei prezzi nella prima fase del 2022, accompagnata da una diminuzione dell'attività produttiva di base. E ci sono precise responsabilità nella regolamentazione dei mercati

Parliamo di energia. Come si possono prevenire, o almeno mitigare, nuove impennate dei prezzi come quelle attuali?

L’aumento dei prezzi di gas di energia e gas sta mettendo a dura prova non solo i bilanci delle famiglie ma, come dicevo, rischia di bloccare i processi produttivi di importanti settori manifatturieri di base con un rischio concreto di avviare una fase di stagflazione: esiste infatti una forte preoccupazione di una corsa dei prezzi nella prima fase del 2022, accompagnata da una diminuzione dell’attività produttiva di base. È importante, prima di analizzare la prognosi, soffermarci sulla diagnosi dei fattori che stanno mettendo a dura prova i cittadini italiani. Esistono precise responsabilità nella regolamentazione dei mercati: ad esempio, per quale motivo dal 2016 i consumatori sotto tutela – in particolare nel settore elettrico che ha visto dal 1° gennaio un nuovo aumento del 55% – non sono più stati tutelati attraverso le coperture dell’Acquirente Unico per l’anno successivo? Ricordiamoci che fu una scelta per incentivare i consumatori ad andare velocemente sul mercato libero. Se a dicembre del 2020 l’Acquirente Unico, come accadeva fino al 2015, avesse coperto a termine metà del suo fabbisogno, per il 2021 avremmo risparmiato al Paese oltre 8 miliardi di euro, ovvero quasi l’importo complessivamente impiegato dal Governo in termini di fiscalità generale per calmierare – si fa per dire – gli aumenti di gas ed elettricità.

Veniamo alle prognosi. Prima di tutto e con riferimento al fabbisogno dei nostri settori industriali è necessario rivalutare il ruolo del gas nel processo di decarbonizzazione e quindi rimuovere veti e pregiudiziali all’uso delle riserve italiane. La stessa Commissione il 2 gennaio 2022 ha riabilitato le infrastrutture gas come investimenti per la transizione “green”. Non solo per ragioni di costi, ma anche perché è a somma zero sul piano ambientale rispetto al gas importato. In secondo luogo, dobbiamo agire rapidamente su una riforma dei mercati, soprattutto quello elettrico. Siamo, lo dice la Commissione, un Paese virtuoso sullo sviluppo delle rinnovabili e quindi non è più accettabile che la produzione rinnovabile ed idroelettrica, che dovrà arrivare a circa il 70% nel 2030, sia determinata e fatta pagare ai cittadini italiani al valore del gas naturale.

Recentemente il Presidente Bonomi è stato in visita a Siracusa che ospita il più grande polo petrolchimico d’Italia, per il quale è stato chiesto il riconoscimento dell’area di crisi industriale complessa viste le difficoltà strutturali in cui versa la raffinazione italiana. Nonostante i ripetuti appelli degli operatori e delle Associazioni di categoria, la politica non sembra interessarsi molto del futuro di un settore che rimane strategico. Cosa ne pensa?

L’Italia nel dopoguerra aveva assunto il ruolo di leadership nella raffinazione europea. Oggi, grazie anche alla capacità di innovazione di importanti operatori italiani, presenta tutte le competenze per assumere un ruolo di leadership nella produzione di carburanti bio e rinnovabili, fondamentali per accompagnare il percorso di transizione energetica. Credo che la nostra classe politica debba comprendere prima di tutto che la produzione di commodities e vettori energetici è strettamente connesso allo sviluppo delle tecnologie che li utilizzano. Manca la capacità di una visione strategica in grado di comprendere il rationale economico della transizione, con il rischio di distruggere capacità produttiva che potrebbe essere progressivamente riconvertita a produzioni innovative e funzionali alla decarbonizzazione del sistema economico. È quindi necessaria una nuova visione in grado di trasformare in positivo la parola crisi in rilancio/riconversione/opportunità, di promuovere e valorizzare le competenze per mantenere un indotto di capacità produttiva funzionale alla produzione del fabbisogno e raggiungere progressivamente gli obiettivi sfidanti di riduzione delle emissioni.

Negli ultimi tempi si è tornati a parlare di misure per vietare le delocalizzazioni industriali. Settori concretamente esposti a questo rischio sono l’automotive e la raffinazione. Come si possono evitare simili eventualità?

Prima di tutto dobbiamo abbandonare una visione confessionale della politica ambientale e ricondurla a pragmatismo e razionalità. La transizione non è fatta di on-off, sul gas ad esempio sta pagando un prezzo carissimo. Questo significa che in relazione agli obiettivi di decarbonizzazione le tecnologie off-takers (automotive) e raffinazione devono essere valutate all’interno di una visione strategica integrata del sistema economico. Non possiamo demonizzare a prescindere importanti risultati che le recenti tecnologie di trazione endotermica ha consentito di raggiungere sul piano ambientale, così come, realisticamente, non possiamo pensare che il potere di acquisto dei consumatori sia una variabile irrilevante.

Dobbiamo abbandonare una visione confessionale della politica ambientale e ricondurla a pragmatismo e razionalità. Non possiamo demonizzare a prescindere importanti risultati delle tecnologie di trazione endotermica

Questo significa identificare un percorso di transizione basato su una razionalità economica delle decisioni strategiche basata sul “Life Cycle Assessment”. Solo in questo modo sarà possibile avviare un percorso di politica energetica integrata con la politica industriale per il settore automotive in grado di agire pro-attivamente, trasformando il rischio di delocalizzazione in politica di rilancio della capacità produttiva.

Confindustria sostiene che uno dei punti di forza del nostro sistema industriale è il capitale umano. La transizione richiederà nuove competenze e professionalità. Cosa si può fare per valorizzare quelle che abbiamo ed evitare che vengano disperse?

Le competenze del nostro capitale umano è parte integrante del successo manifatturiero del nostro Paese che rappresenta la seconda manifattura europea dopo la Germania. Le nuove tecnologie, tuttavia, richiedono continui aggiornamenti sul piano delle competenze professionali per la loro gestione. Su questo ritengo molto importante l’attuazione del programma di relazioni industriali tra Confindustria Energia in rappresentanza dei settori energetici con le controparti sindacali, in grado di guardare al futuro per garantire la capacità produttiva italiana nel settore energetico.