Muoversi 1 2022
11

RECLUTARE LE GIUSTE COMPETENZE PER “ABITARE” NELLA DOPPIA TRANSIZIONE

RECLUTARE LE GIUSTE COMPETENZE

PER “ABITARE” NELLA DOPPIA TRANSIZIONE

di Marco Baldi


Marco Baldi

Presidente
Responsabile Area Economia e Territorio Fondazione Censis

Il concetto di “transizione”, ormai da diversi anni, domina la scena delle riflessioni tecnico-politiche sul futuro del mondo. Per dare un’idea della pervasività che ha raggiunto anche nel nostro Paese, basti pensare che figura per ben 133 volte nelle 270 pagine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Alla parola transizione vengono associati i più disparati aggettivi, anche se alla fine i concetti di “transizione ecologica” e “transizione digitale” hanno finito per imporsi grazie al loro indiscutibile potenziale semantico (addirittura il primo dei due è servito per rinominare il vecchio Ministero dell’Ambiente).

Che le due transizioni siano oggi in corso, certamente nessuno può metterlo in discussione. E questo vale anche per la “transizione energetica”, che di quella “ecologica” può essere considerata il più importante addentellato. Sul piano tecnico, economico, politico e sociale – li possiamo considerare dei processi in atto ai quali tutti i soggetti sono chiamati a partecipare.

Tutte le imprese interpellate hanno gestito con successo il lavoro a distanza, le linee non si sono fermate, i controlli e le manutenzioni sono proseguiti, e, soprattutto, hanno continuato a fornire energia al Paese. Quanto è avvenuto è stato descritto come un acceleratore di processi aziendali già fortemente voluti, in alcuni casi già sperimentati o schedulati. Naturalmente anche la trasformazione digitale delle imprese energetiche si caratterizzerà in base al tipo di business

La situazione si presenta però ben diversa sia per quanto concerne il tema della velocità con cui le transizioni devono procedere, sia con riferimento ai possibili punti di approdo. Certamente l’obiettivo generale costituito dal passaggio ad economie e società meno dipendenti dal carbonio contenuto nelle fonti fossili apre interrogativi a cui non è possibile dare risposte univoche. E anche sulle sinergie possibili e auspicabili tra le due transizioni, non esistono scenari definiti.

La recente ricognizione effettuata da Confindustria Energia e Censis presso le principali aziende energetiche operanti nel nostro Paese ci dice che è forte e trasversalmente diffusa la consapevolezza della necessità che il mondo dell’energia metta in campo scelte adeguate per rispondere alle sollecitazioni derivanti dalle policies, dagli assetti del mercato, dalle intenzioni degli investitori, dagli orientamenti dell’opinione pubblica, e dai comportamenti di consumo. In altre parole, tutte le aziende sanno di dover cambiare, anche se il modello di business e il posto che esse occupano lungo la filiera energetica suggerisce visioni temporali e schemi di partecipazione differenziati.

Accanto e in sovrapposizione alla transizione energetica si colloca la sfida digitale. Anche in questo caso si tratta di una issue che taglia trasversalmente il mondo delle imprese energetiche. L’elemento accomunante è certamente “l’inevitabilità”. Nessuno, quale che sia il tipo di business, può pensare di non mettersi nella condizione di cogliere le opportunità che vengono dalla digital transformation.  In questo senso, un potente test sulle imprese è stato il lockdown della primavera scorsa.
Tutte le imprese interpellate hanno gestito con successo il lavoro a distanza, le linee non si sono fermate, i controlli e le manutenzioni sono proseguiti, e, soprattutto, hanno continuato a fornire energia al Paese. Quanto è avvenuto è stato descritto come un acceleratore di processi aziendali già fortemente voluti, in alcuni casi già sperimentati o schedulati. Naturalmente anche la trasformazione digitale delle imprese energetiche si caratterizzerà in base al tipo di business. Chi possiede grandi reti distributive rivolge il suo interesse verso i big data. Chi gestisce impianti industriali complessi interpreta le soluzioni digitali in chiave Industry 4.0 per l’ottimizzazione dei processi, il monitoraggio, la manutenzione predittiva, ed è dunque interessato alle soluzioni dell’internet of things, alla sensoristica smart, all’intelligenza artificiale e alla robotica. Chi è entrato nel business delle rinnovabili vede nel digitale il vero elemento di ottimizzazione dei processi di produzione, di distribuzione e di consumo.

La responsabilità è enorme, perché la questione si gioca sulla capacità di imporsi in quanto soggetti in grado di presidiare e produrre il cambiamento (compresa ovviamente la de-carbonizzazione dell’economia) e di offrire soluzioni avanzate rispetto alle criticità con cui si confronta la società, sia a livello di Sistema-Paese che in senso più ampio

Ma qual è l’impatto sulle risorse umane di questi potenti processi di trasformazione? Innanzitutto è bene chiarire che le aziende energetiche operano in uno dei settori tra i più knowledge Intensive del panorama produttivo nazionale. La ricerca sopra menzionata ha evidenziato, ad esempio, che nell’ultimo decennio la percentuale di laureati sul totale degli addetti è cresciuta di 15,4 punti percentuali, passando dal 28,6% al 44%. Si consideri, in termini comparativi, che il mondo del lavoro italiano presenta nel complesso una percentuale di laureati sul totale che non va oltre il 24,0% (fonte Istat 2020).

In ogni caso, in questo scenario in rapido cambiamento e interessato da notevoli elementi di discontinuità, emerge un notevole interesse delle aziende per persone dotate di nuove competenze, preferibilmente talenti flex-skill, ovvero capaci di cambiare e adeguare velocemente le proprie capacità alle nuove richieste. Viviamo infatti una fase storica nella quale possiamo ritenere che “ciò che c’è da scoprire sia più rilevante di ciò che viene tradizionalmente conteso”. Se questo è vero, alle truppe fedeli, ordinate, disciplinate, ben formate alla gestione delle attività core, vanno affiancati soggetti che siano in grado e che abbiano voglia di esplorare nuovi orizzonti.

Bisogna considerare che nell’industria dell’Oil & Gas la catena del valore non si genera più solo dal grande progetto estrattivo o dal grande insediamento industriale di rilevanza sovranazionale da cui, a cascata, tutte le attività di filiera vengono improntate per quanto concerne i singoli margini di profitto. Assistiamo invece ad una moltiplicazione della progettualità –  tanto nelle fonti tradizionali quanto e soprattutto nelle rinnovabili – che richiede modelli operativi specifici e dove il valore si crea con il ricorso alle più avanzate soluzioni digitali. In altre parole, esiste ancora un dispositivo operativo e organizzativo, ma al suo fianco se ne sviluppano tanti altri, spesso nuovi e in competizione tra loro. Per questo c’è bisogno di reclutare anche dei talenti ribelli, come qualcuno li ha definiti.

Bisogna però operare alcune distinzioni sulla base del business di riferimento delle aziende e della loro collocazione attuale nel processo di transizione energetica. Le aziende che decidono di interpretare la transizione sviluppando attività diverse rispetto al loro core prevalente, tendono a creare unità di business specifiche. In queste unità le competenze richieste sono del tutto nuove e anche il mandato dei responsabili HR cambia drasticamente. Là dove non sono previste diversificazioni importanti, si attribuisce invece un peso decisivo alla “digitalizzazione” del personale esistente. Nel drilling, nell’upstream in genere, nel refining, il digitale consente di migliorare i processi, di ridurre tempi e costi, di controllare le emissioni, divenendo sostanzialmente indispensabile. C’è dunque consapevolezza che servirà un grande piano formativo anche perché, senza riqualificazione, una parte di questo personale andrà sostituito con ampio ricorso agli ammortizzatori sociali. Infine, nelle aziende che si definiscono “in transizione” (per affiancamento di nuovi business o per sostituzione – in prospettiva – del business principale), le esigenze possono essere molto diverse. Queste aziende mettono in campo un’attività ricerca e di reclutamento di figure professionali anche molto diverse dal passato. Da qui la selezione e incorporazione di start up o aziende specializzate, la collaborazione con poli tecnologici o universitari, la creazione di nuove business unit.

In ogni caso, quale che sia l’ambito di business delle aziende energetiche, è evidente che il loro futuro si definisce adesso, e non tra vent’anni. Per comprenderlo è sufficiente andare a vedere il livello di coinvolgimento potenziale del settore energetico nelle azioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La responsabilità è enorme, perché la questione si gioca sulla capacità di imporsi in quanto soggetti in grado di presidiare e produrre il cambiamento (compresa ovviamente la de-carbonizzazione dell’economia) e di offrire soluzioni avanzate rispetto alle criticità con cui si confronta la società, sia a livello di Sistema-Paese che in senso più ampio.

In questo schema è evidente come gli stessi responsabili delle risorse umane siano chiamati a rivedere il loro ruolo: il reclutamento di persone dotate di competenze digitali avanzate, ad esempio, non dovrà avvenire solo ed esclusivamente per fargli fare ciò che è già oggi fattibile, immaginabile, prefigurabile. Una volta definiti e condivisi la vision e i macro-obiettivi aziendali, dovranno essere “sguinzagliate” ad esplorare con autonomia i sentieri più promettenti per raggiungerli.