Muoversi 1 2022
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ARRIVA LA BEFANA CON UN CARICO DI…

ARRIVA LA BEFANA CON UN CARICO DI…

di Alberto Clô


Alberto Clô

Direttore
Rivista Energia

Se la Befana fosse arrivata con la sua calza nel mondo dell’energia non avrei dubbi a chi avrebbe consegnato regali e balocchi – consumatori, famiglie e imprese – e a chi il più nero e peggior carbone: l’Unione Europea. Perché nell’anno da poco finito, Bruxelles è riuscita a dare il peggio di sé. Per diverse ragioni. In primo luogo, per aver voluto imporre il suo European Green Deal, incardinato nel “Fit for 55”, senza aver contezza di quel che avrebbe comportato, degli immensi investimenti necessari, dei costi che si andavano ad addossare ai consumatori. Non ultimo: dell’impossibilità a realizzare in breve tempo profonde riconversioni industriali, ad iniziare da quella nell’intera filiera automobilistica che sta mettendo a rischio il futuro di molte imprese specie di minor dimensione.

Tutti focalizzati a magnificare il Green Deal – discettando sul colore dell’idrogeno su cui puntare – i burocrati di Bruxelles e i loro vertici politici non si sono accorti e interessati della scarsità fisica del metano sui mercati internazionali con conseguente esplosione dei suoi prezzi, da meno di 2 dollari per milioni/Btu a metà del 2020 a valori sino a 40-50 dollari a ottobre del 2021, che avrebbe contagiato quelli dell’elettricità con aumenti a tre cifre percentuali

Un insieme di proposte avanzate senza alcuna preventiva valutazione dell’impatto socio-economico che ne sarebbe derivato. La seconda ragione sta nell’assoluta incapacità di Bruxelles di comprendere lo tsunami che si stava abbattendo sull’intero sistema energetico europeo con una crisi energetica peggiore di quella dei lontani anni 1970. Tutti focalizzati a magnificare il Green Deal – discettando sul colore dell’idrogeno su cui puntare – i burocrati di Bruxelles e i loro vertici politici non si sono accorti e interessati della scarsità fisica del metano sui mercati internazionali con conseguente esplosione dei suoi prezzi, da meno di 2 dollari per milioni/Btu a metà del 2020 a valori sino a 40-50 dollari a ottobre del 2021, che avrebbe contagiato quelli dell’elettricità con aumenti a tre cifre percentuali. Ne soffrirà l’auto elettrica che allo svantaggio nel suo costo iniziale di acquisto rispetto a quella endotermica dovrà aggiungere elevati costi di esercizio. L’imperiosa penetrazione della mobilità elettrica dovrà essere gioco forza ripensata.

La Commissione, tornando alla crisi, non ha adottato alcuna misura che avrebbe potuto ridurne l’impatto. Si pensi, ad esempio, al basso livello degli stoccaggi di metano – a metà anno intorno alla metà dei livelli normali – senza minimamente provvedervi, salvo proporre di accomunarli a livello europeo. Preoccupata che i governi, come sta avvenendo, prendessero ad interessarsi delle urgenze immediate più che del Green Deal, i vertici della Commissione sono arrivati a negare la stessa gravità della crisi: sostenendo che sarebbe passata nel giro di pochi mesi (indicandone nell’aprile prossimo la fine), che non vi era mancanza di metano, salvo quasi inginocchiarsi a Putin perché aumentasse le sue forniture. E sostenendo nelle parole del vicepresidente Timmermans, che la colpa della crisi era l’ancora bassa penetrazione delle rinnovabili e l’alto utilizzo del metano, trascurando il fatto che le intermittenti fonti rinnovabili abbisognano necessariamente del soccorso del metano che copre il fabbisogno residuo determinando il prezzo marginale dell’elettricità. Quel che perdurerà sino a quando non si sarà pienamente sviluppata la tecnologia degli accumuli. Ebbene, anziché riconoscerne l’essenzialità anche in futuro, la Commissione era propensa a negarle i crismi della sostenibilità (tassonomia) così impedendone lo sviluppo. Senza rendersi conto che la crisi andava frantumando come un castello di sabbia molte delle assunzioni che stavano alla base del Green Deal.

Preoccupata che i governi, come sta avvenendo, prendessero ad interessarsi delle urgenze immediate più che del Green Deal, i vertici della Commissione sono arrivati a negare la stessa gravità della crisi: sostenendo che sarebbe passata nel giro di pochi mesi (indicandone nell’aprile prossimo la fine), che non vi era mancanza di metano, salvo quasi inginocchiarsi a Putin perché aumentasse le sue forniture

Quel che è dimostrato dalle decisioni adottate dai governi in direzione esattamente opposta agli impegni che andavano assumendo alla COP26 di Glasgow. Boris Johnson, mentre rimproverava l’India di non ridurre l’uso del carbone, dimenticava di rammentare di aver riattivato vecchie centrali a carbone per sopperire alla scarsità di metano. Quel che parimenti aveva fatto la Germania, aumentando di un terzo l’impiego del carbone. Mentre il Presidente francese Macron annunciava al paese l’intenzione di accrescere e non diminuire il ricorso al nucleare non solo nel breve ma anche nel lungo termine. Un annuncio che solo pochi mesi fa non avrebbe potuto fare sotto la pressione politica per il tout-renouvable. Mentre a Bruxelles ci si scervellava se riconoscere al nucleare, come al metano, le virtù della sostenibilità. Salvo all’inizio di quest’anno dietro la pressione di alcuni governi, capeggiati dalla Francia, presentare una bozza di proposta favorevole a considerare green sia il metano che il nucleare suscitando la dura reazione specie di Germania e Austria che potrebbero formare una minoranza di blocco bocciando la proposta. Una decisione quindi soffertissima, contraria alla convinzione della Commissione che l’unica opzione tecnologica siano le rinnovabili. Un’opzione che appare tuttavia sempre più incerta. Prova ne è il crollo del 91% di qualche giorno fa del fondo di investimento ESG di BlackRock, causato dai bassi rendimenti che le rinnovabili sono in grado di assicurare, col rischio dello scoppio di una bolla green, come fu per il settore high tech e new economy alla fine degli anni Novanta. Chi tanto si vanta d’esserne leader ha di che preoccuparsi. Il sogno verde, alla base nel Recovery Plan e del NGEU, potrebbe dimostrarsi una chimera. Il recente rapporto “Renewables 2021” dell’IEA di Parigi evidenzia il forte aumento nei costi di produzione delle rinnovabili che ha invertito una curva discendente che perdurava da un decennio. Mentre, parimenti, i costi di investimento per solare ed eolico onshore sono aumentati di un quarto cancellando tre anni di loro riduzione. La piena convenienza economica delle intermittenti rinnovabili si è in conclusione fortemente attenuata con la previsione, sostiene la IEA, che una potenza programmata di 100 GW sia cancellata o ritardata. Che di tutto questo così come della crisi energetica, la Commissione non voglia prendere atto è un valido motivo perché la Befana sorvoli sulla sua scopa i grigi cieli di Bruxelles portando ai suoi burocrati e vertici politici sacchi di pessimo carbone.