Muoversi 1 2022
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3 DOMANDE AI SEGRETARI DI FILCTEM-CGIL, FEMCA-CISL E UILTEC-UIL

3 DOMANDE AI SEGRETARI DI

FILCTEM-CGIL, FEMCA-CISL E UILTEC-UIL


Marco Falcinelli

Presidente
Segretario Generale Filctem-Cgil

Marco Falcinelli - Segretario Generale Filctem-Cgil

La transizione sarà un processo lungo che avrà impatti sul mondo del lavoro. Come e dove intervenire per permettere alle filiere industriali che oggi garantiscono l’approvvigionamento energetico del Paese, in particolare il downstream petrolifero, di trasformarsi minimizzando gli impatti occupazionali?

Il modo di produrre sta cambiando. C’è una filosofia nuova che va tradotta dal punto di vista industriale e che parte da una maggiore sensibilità ambientale. Noi come rappresentanti sindacali dobbiamo fare i conti con questo cambiamento, dobbiamo governare i processi digitali e di sostenibilità ambientale che stravolgeranno non solo le economie dei Paesi ma anche gli assetti geopolitici.

Riguardo la transizione energetica, il problema occupazionale che crediamo possa verificarsi se non si interverrà per tempo è sostanzialmente riconducibile a due questioni: da una parte il crescente aumento dei costi energetici che l’industria – soprattutto media e piccola – non riesce a sostenere, dall’altra il pacchetto di proposte “Fit For 55” e la Plastic Tax europea, che, se trasformati in provvedimenti legislativi anche rispetto ai tempi per il raggiungimento degli obbiettivi previsti ( che condividiamo), metteranno in difficoltà intere filiere produttive per le quali c’è tutt’ora una forte domanda globale e dove l’Italia gioca un forte ruolo nella competizione internazionale essendo la seconda manifattura europea ed un Paese di trasformazione di materie prime, dove i costi energetici hanno un peso di rilievo sulla competizione dei prodotti.

Riguardo la transizione energetica, il problema occupazionale è riconducibile a due questioni: da una parte il crescente aumento dei costi energetici, dall’altra il pacchetto di proposte “Fit For 55” e Plastic Tax europea, che rischiano di mettere in difficoltà intere filiere produttive dove l’Italia gioca un forte ruolo nella competizione internazionale

Per realizzare una giusta transizione, che tenga insieme occupazione e sostenibilità ambientale, sono convinto sia necessario l’utilizzo del gas naturale quale vettore complementare ed insostituibile di fonte energetica per il sostegno e lo sviluppo di energie derivanti dalle rinnovabili, eolico e fotovoltaico. A questo va accostato un attento percorso per l’affermazione dell’idrogeno e della captazione, dello stoccaggio e della trasformazione della CO2. Sono temi rilevanti e importanti che vanno sostenuti sia perché saranno un viatico per nuova occupazione e nuove competenze.

Inoltre, sarebbe necessario ragionare sull’estrazione del gas nel nostro paese, tema delicato me ne rendo conto, ma i costi spaventosamente crescenti dell’energia attesi per il prossimo trimestre ci devono far ragionare anche in termini economici. Se, infatti, la dipendenza estera ha costi così elevati si dovrà considerare la ripresa degli investimenti in upstream che dal 2015 ad oggi si sono dimezzati e sono la concausa degli aumenti dei costi delle materie prime in bolletta, oltre agli assetti geopolitici che da tempo vengono avanti e che stanno condizionando l’economia europea. La ripresa dell’estrazione del gas in Italia, nell’arco di un anno, potrebbe assicurare 40 miliardi di metri cubi di gas (gli attuali sono 4 miliardi) necessari al fabbisogno dell’Italia che è di circa 72 miliardi di metri cubi l’anno. Questi elementi possono garantire quella transizione sociale in quei territori che saranno interessati da questi processi di trasformazione ed in alcuni casi di riconversione degli attuali asset industriali.

Il tutto è necessario che avvenga con la partecipazione attiva delle persone e degli attori istituzionali a tutti i livelli assicurando, non solo gli investimenti futuri, ma anche l’allocazione delle nuove filiere produttive che si svilupperanno sui temi della transizione ed una formazione continua che riveda e valorizzi le attuali competenze e ne formi le nuove.

Quali strumenti legislativi servirebbero per accompagnare questa trasformazione?

Sarà, innanzitutto, indispensabile sburocratizzare gli iter autorizzativi, accelerandone i passaggi, non solo quelli legati alle produzioni di energie tradizionali – quelle già in essere e quelle a venire necessarie alla transizione energetica – ma anche per dare il via libera a nuovi parchi eolici e fotovoltaici. L’Europa ci chiede, infatti, di raddoppiare la produzione attuale di quest’ultime entro il 2030, il problema prima ancora che finanziario sarà burocratico. I tempi legislativi, per come sono concepiti oggi, non ne permetteranno il buon esito.

Il PNRR è l’occasione che non possiamo mancare di cogliere. Il Governo, a parere mio, ha lavorato bene dal punto di vista dell’istruttoria, ma allo stesso tempo avvertiamo forte l’assenza di una politica industriale mirata a un utilizzo efficace delle risorse messe a disposizione dallo stesso piano. È indispensabile un progetto di sviluppo industriale che dia all’Italia gli strumenti e le infrastrutture necessarie al mantenimento delle capacità produttive e tecnologiche, dove la transizione energetica e ambientale si allinei a una giusta transizione dal punto di vista sociale e lavorativo. Un esempio su tutti sarà la creazione di una filiera nazionale per la realizzazione di elettrolizzatori necessari alla produzione di idrogeno e alla loro allocazione anche per riequilibrare quel dualismo industriale del nostro Paese.

Rispetto a questi cambiamenti, digitali ed industriali, che inesorabilmente saremo costretti ad affrontare sarà sempre più necessaria una formazione costante che sostenga ed aiuti l’occupazione. Un intervento normativo che rafforzi la formazione sarebbe necessario. In tal senso, sarebbero necessarie risorse finanziare da destinare a questi temi attraverso la costituzione di un fondo in capo alla fiscalità generale. Un fondo che sia partecipato da quei soggetti che riceveranno le risorse del PNRR per finanziare i propri progetti e che sia aggiuntivo ed alternativo a quelli per il sostegno al reddito.

In che modo il sindacato può accompagnare e favorire questo processo?

Il 30 novembre abbiamo presentato, con Confindustria Energia e gli altri sindacati di categoria Femca e Flaei Cisl, Uiltec Uil, al presidente del consiglio Draghi il Manifesto “Lavoro ed Energia per una Transizione Sostenibile’”, un documento fortemente apprezzato dal ministro Cingolani che lo ha, a sua volta, portato all’attenzione del tavolo europeo di settore. Senza andare nei dettagli, il documento è la sintesi di un lungo lavoro di confronto che abbiamo svolto congiuntamente con Confindustria Energia attraverso i tavoli tematici per promuovere proposte condivise sul tema della giusta transizione. È questo il nuovo modello con il quale intendiamo agire in maniera proattiva e partecipativa prendendoci la responsabilità di promuovere idee e soluzioni condivise che assicurino e governino il percorso dall’attuale fase alla nuova e che deve avere al centro il valore delle persone e del lavoro. Ci sono poi i contratti nazionali di lavoro, che sono uno strumento imprescindibile attraverso il quale bisogna enucleare i nuovi temi da noi proposti e condivisi nel lavoro che abbiamo svolto con le controparti in questi mesi di gestione anche della fase pandemica e che hanno fatto emergere nuovi bisogni rispetto alle nuove sfide ricercando le soluzioni attraverso un modello partecipativo. Non è un caso che nella piattaforma per il rinnovo del contratto elettrico – presentato il 23 dicembre scorso – tra le richieste inviate alle controparti c’è un ampio capitolo dedicato alla formazione.

È solo un esempio.


Nora Garofalo

Presidente
Segretario Generale Femca-Cisl

Nora Garofalo - Segretario Generale Femca-Cisl

La transizione sarà un processo che avrà impatti sul mondo del lavoro. Come e dove intervenire per permettere alle filiere industriali che oggi garantiscono l’approvvigionamento energetico del Paese, in particolare il downstream petrolifero, di trasformarsi minimizzando gli impatti occupazionali?

Il passaggio da un mix energetico basato su fonti fossili a uno alimentato da risorse rinnovabili e sostenibili nel lungo periodo implicherà necessariamente una profonda riconversione dei settori industriali tradizionali. Gli asset industriali che il nostro Paese attualmente possiede tuttavia non sono da “rottamare”; al contrario, la transizione ecologica e i fondi messi a disposizione per essa, se utilizzati in maniera strategica, potranno permettere la costruzione di nuove filiere nazionali emergenti (idrogeno, produzione di carburanti da rifiuti e scarti, cattura, stoccaggio e riutilizzo della CO2, recupero metalli dagli accumuli energetici).

Si stima che nel solo downstream la riconversione dei siti industriali e lo sviluppo di filiere nazionali di combustibili low carbon saranno in grado di salvaguardare oltre 150.000 posti di lavoro altamente specializzati. Tale risultato potrà essere raggiunto se la transizione avverrà in modo graduale e nei tempi necessari per salvaguardare infrastrutture, professionalità e tessuto produttivo esistente

Il settore petrolifero e tutte le fasi di lavorazione a esso connesse – estrazione, raffinazione, distribuzione – andranno certamente incontro alla trasformazione più radicale: si stima che nel solo downstream la riconversione dei siti industriali e lo sviluppo di filiere nazionali di combustibili low carbon saranno in grado di salvaguardare oltre 150.000 posti di lavoro altamente specializzati. Tale risultato potrà essere raggiunto se la transizione avverrà in modo graduale e nei tempi necessari per salvaguardare le infrastrutture, le professionalità e il tessuto produttivo esistenti. Le stime di investimenti e occupazione diffuse da Confindustria Energia per raggiungere il target 2030 prevedono 1100 miliardi di euro e 250.000 occupati. Perché la valorizzazione delle risorse – economiche, umane, tecnologiche – avvenga in maniera adeguata occorrerà puntare su un approccio sinergico alla transizione, che coinvolga il comparto energetico nelle sue diverse specializzazioni, assieme a tutti quei settori energivori (automotive, ceramica, vetro, acciaio, ecc.), in cui la componente energetica risulta determinante nel fornire leve e soluzioni competitive per la decarbonizzazione.

Quali strumenti legislativi servirebbero per accompagnare questa trasformazione?

In Italia scontiamo gravi lacune in termini di sviluppo di una politica industriale integrata e adattata alle diverse peculiarità che insistono sul nostro territorio nazionale. Il PNRR è un’opportunità unica da cogliere per rimetterci al passo in questo senso. Innanzitutto, semplificando la burocrazia – complice dei ritardi negli iter autorizzativi e quindi nella realizzazione concreta dei progetti finanziabili. È poi fondamentale che l’intero processo di transizione sia sostenuto dall’implementazione delle tecnologie sostenibili più all’avanguardia, favorendo quindi premialità alle imprese più virtuose anche attraverso la rimodulazione della fiscalità per favorirne l’attivazione e rafforzare le filiere nazionali, mantenendo la competitività e l’occupazione.

La transizione industriale dovrà poi camminare al fianco della transizione delle professionalità dei lavoratori. Il rischio di dispersione del nostro know-how e della perdita dei livelli occupazionali nel settore energetico è infatti altissimo. Pertanto, il sistema delle politiche attive per il lavoro andrà profondamente riformato, per garantire non solo un adeguato turn over, ma anche per non lasciare sole quelle persone che vedranno trasformato e rivoluzionato il proprio lavoro nei prossimi anni. In tal senso, occorre rendere strutturale l’istituto del Fondo Nuove Competenze, per la realizzazione di progetti di upskilling e reskilling, e migliorarlo nel rendere più flessibili le tempistiche relative alla progettazione e alla realizzazione dei piani formativi. Allo stesso modo, reti di protezione come ammortizzatori sociali e incentivi all’esodo, dovranno essere obbligatoriamente previsti. In sede di confronto con le imprese, abbiamo infatti proposto la costituzione di un Fondo speciale pubblico per la transizione, che permetta il coordinamento e l’implementazione di una politica integrata per la riconversione industriale ambientalmente e socialmente sostenibile e per promuovere strumenti di compensazione laddove questa non sia attuabile.

In che modo il sindacato può accompagnare questo processo? E come vi ponete rispetto  alla recente discussione al Cite sulla possibilità di un phase-out dei motori a combustione interna al 2035?

La transizione avrà i suoi impatti più grandi a livello locale, sulle singole imprese e all’interno dei distretti industriali dislocati nel nostro Paese. Per noi è quindi prioritario consolidare il dialogo con il territorio, essere agenti proattivi di un cambiamento inclusivo, per contrastare la minaccia del depauperamento di comunità e regioni, alcune già in gravi difficoltà, congiunturali e strutturali. Relazioni industriali e contrattazione sono ad ora gli strumenti universalmente riconosciuti come più tempestivi ed efficaci per affrontare le evoluzioni del mondo del lavoro e della società. Avremo certamente bisogno del sostegno e della collaborazione attiva di tutti – istituzioni, politica, imprese, associazioni – per creare ecosistemi favorevoli al lavoro con servizi, scuole, infrastrutture e incubatori sociali, con risorse e investimenti vincolati alla creazione di lavoro e occasioni di reimpiego, in piena legalità e rispetto della dignità delle persone.

Il nostro ruolo sarà anche di monitoraggio e controllo sulle modalità di realizzazione dei processi di trasformazione industriale, per identificare, ridurre, prevenire nuovi rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori e per la salubrità degli ambienti e del territorio.

Le emissioni di CO2 originano per la maggior parte da attività antropiche, in particolar modo dall’operatività delle industrie hard-to-abate. La mobilità sostenibile è un aspetto che sembra toccarci più da vicino, perché riguarda la nostra quotidianità, il nostro stile di vita, l’aria che respiriamo. Imporre una scadenza ai motori a combustione può essere però un’arma a doppio taglio se non si propongono alternative valide e realizzabili nei tempi previsti. Prima ancora di operare una scelta sul tipo di alimentazione dei trasporti, vi è innanzitutto un problema più generale e cogente di approvvigionamento dell’energia, sia per gli usi industriali che domestici, e quindi anche della mobilità. Quali saranno le fonti energetiche – durevoli, sostenibili e sicure – su cui potremo fare affidamento, una volta abbandonate quelle di origine fossile? Il fabbisogno attualmente stimato per il nostro Paese potrà essere soddisfatto dalle energie rinnovabili? Dovremo forse ripensare a un’apertura dell’Italia al nucleare, sicuro e pulito?

Il CITE dovrà quindi prima chiarire quali siano le risorse e la progettualità per produrre e fornire energia pulita a cittadini e imprese, e infine pensare a una riconversione sostenibile dei trasporti, sfruttando le potenzialità dell’idrogeno ma anche dei biocarburanti, in cui l’Italia sta sviluppando una filiera domestica di primo piano, quali le infrastrutture per l’elettrificazione dei veicoli e per lo smaltimento delle batterie che saranno utilizzate.


Paolo Pirani

Presidente
Segretario generale della Uiltec-Uil

Paolo Pirani - Segretario generale della Uiltec-Uil

La transizione sarà un processo lungo che avrà impatti sul mondo del lavoro. Come e dove intervenire per permettere alle filiere industriali che oggi garantiscono l’approvvigionamento energetico del Paese, in particolare il downstream petrolifero, di trasformarsi minimizzando gli impatti occupazionali?

La transizione va gestita attraverso il sostegno alle raffinerie presenti sul territorio nazionale che necessitano di investimenti e diversificazione produttiva. È bene considerare, solo per fare un esempio, che la raffinazione in Sicilia rappresenta il 60% del suo export e che la medesima regione è il principale produttore in Italia di idrocarburi raffinati. È necessario, quindi, supportare lo strumento del patto Stato-raffinazione, destinare risorse del Pnrr a questo settore, costruire con il governo regionale una strategia a supporto della produzione di idrocarburi. Agire a favore del Meridione insulare significa anche aiutare questa realtà a diventare un hub energetico all’interno del Mediterraneo. Ci vogliono investimenti rivolti a voci che nemmeno sono citate nel Pnrr nazionale approvato dai vertici europei. È proprio il caso del settore della raffinazione. Nonostante gli interventi a supporto predisposti dal Governo, aumenteranno i costi delle bollette per i consumi energetici, come quelli per i carburanti che si scaricheranno sulle famiglie italiane. Non vogliamo una transizione sopportabile solo dai ricchi, ma un cambiamento che determini prospettive di lavoro e futuro produttivo.

Quali strumenti legislativi servirebbero per accompagnare questa trasformazione?

è necessaria una legiferazione che salvaguardi le prospettive della filiera nazionale connessa al settore e il ruolo dell’occupazione; che supporti il costo delle soluzioni utili alle imprese energivore e ai cittadini; che garantisca il ruolo strategico dell’innovazione e della ricerca; che permetta l’opportunità della riconversione e trasformazione industriale dei settori tradizionali; che renda possibile l’accelerazione del processo di sviluppo delle rinnovabili; che sviluppi le opportunità dell’economia circolare nel settore energetico; che permetta la riconversione professionale. Insomma, ci vogliono norme utili ad una transizione energetica giusta ed efficiente. Tra le tante proposte che il sindacato, insieme alle imprese del settore, ha avanzato al Governo ce ne sono alcune di assoluto rilievo. Per esempio: valorizzare le Relazioni industriali e il welfare con il ruolo della bilateralità, per individuare le soluzioni che meglio rispondono agli effetti e alle esigenze della transizione; favorire un nuovo modello di cooperazione strutturata tra Scuola-Università-Ricerca, Industria, Istituzioni e Sindacati per definire e implementare la strategia nazionale in ambito energetico e promuovere la condivisione del Know-how, la formazione e la creazione di nuove competenze; prevedere premialità alle tecnologie più virtuose anche attraverso la rimodulazione della fiscalità e politiche industriali adeguate, anche esportando le nostre eccellenze tecnologiche; rendere più efficace il partenariato pubblico-privato attraverso la condivisione delle strategie relative alla revisione della disciplina europea sugli aiuti di Stato. Occorre tener presente che al momento non ci sono alternative alla mobilità con i prodotti petroliferi. Ogni strumento legislativo da adottare deve tener conto che il petrolio e suoi derivati sono essenziali nella crisi energetica che vive il Paese e l’intera Europa. Ci vorrà tempo per trovare alternative idonee, giuste capacità tecniche e consistente forza finanziaria per affrontare la trasformazione in atto. Bisognerà tenerne conto con sano realismo.

La transizione va gestita attraverso il sostegno alle raffinerie presenti sul territorio nazionale che necessitano di investimenti e diversificazione produttiva. È necessario, quindi, supportare lo strumento del patto Stato-raffinazione e destinare risorse del PNRR a questo settore

In che modo il sindacato può accompagnare e favorire questo processo? Recentemente al Cite si è discusso della possibilità di un phase-out dei motori a combustione interna al 2035. Come giudica questa che al momento resta un’ipotesi?

Lo può fare con il senso di responsabilità che lo ha sempre contraddistinto. Gli scenari e le opportunità offerte da questo processo richiedono un nuovo sistema di relazioni industriali che governi la sfida attraverso un continuo confronto tra le parti sociali e le Istituzioni, caratterizzato dalla molteplicità e continuità di interlocuzioni a tutti i livelli. Un percorso, la cui forza, è modello per la costruzione di processi di coesione e di dialogo partecipativo utili a creare convergenza su temi strategici del nostro Paese.

Nello specifico è fondamentale il confronto tra la parte datoriale e quella sindacale sulla sostenibilità e sul futuro dell’industria petrolchimica. La sua esclusione dal percorso di transizione energetica rischia pesanti ripercussioni non solo di natura economica, ma anche sociale. È fondamentale coniugare sviluppo e salute, benessere e sicurezza, progresso e tutela dell’ambiente auspicando un intervento del decisore politico che valorizzi una solida e consolidata tradizione industriale. Il sindacato è pronto a fare la propria parte in questa prospettiva di crescita e sviluppo.

In realtà, la riunione a cui fa riferimento ha toccato diversi punti, dalle iniziative internazionali guidate dall’Italia per promuovere il coinvolgimento dei giovani, ai sussidi ambientalmente dannosi.

Sul tema del phase-out al momento si è solo aperta una discussione che occorre ora vedere come procederà. Per quanto ci riguarda, osserviamo che allo stato attuale non ci sono ancora le condizioni per rispettare concretamente i suddetti obiettivi ai fini di una decarbonizzazione sostenibile sia dal punto di vista economico che sociale. Occorre puntare, ripetiamo, sull’utilizzo dei low carbon fuel in attesa che si creino le condizioni reali per abbandonare la produzione dei motori a combustione interna.