Muoversi 2 2022
3

L’ENERGIA NON È UN GIOCO

L’ENERGIA NON È UN GIOCO

di Claudio Spinaci

Claudio Spinaci

Presidente

Unione Energie per la Mobilità - unem

Negli ultimi anni si è fatta progressivamente strada, sia nei policy maker che nell’opinione pubblica, la convinzione che la transizione energetica fosse stata ormai avviata senza grossi traumi per il sistema industriale e per i cittadini europei, accantonando completamente il tema della sicurezza energetica. La pandemia ha in qualche modo rafforzato questo sentire comune visti gli enormi surplus che si sono venuti a creare nel corso del 2020 per il crollo dei consumi. È però bastato che nella seconda metà dello scorso anno la domanda tornasse vicina ai livelli precedenti per innescare una spirale rialzista nei prezzi del gas e dell’energia elettrica, cresciuti nel giro di pochi mesi del 400%, che ha avuto un effetto pesantissimo sul sistema delle imprese, alcune delle quali – soprattutto nei settori energivori – sono state costrette a ridurre o addirittura fermare le produzioni per costi divenuti insostenibili. Un fatto tutto sommato prevedibile che, invece, ci ha colto totalmente alla sprovvista. Poi è arrivata la guerra Russia-Ucraina e la situazione si è drammaticamente deteriorata, aggiungendo incertezza alle tensioni già in essere.

Un’Europa che nasce come comunità energetica ma che, paradossalmente, non ha mai avuto una vera politica energetica continentale condivisa. Ancora oggi sull’energia è molto più divisa di quanto voglia far apparire, dovendo fare i conti con i tanti “egoismi nazionali” che puntano solo a ottenere un vantaggio competitivo sugli altri Paesi della Comunità

Una crisi energetica soprattutto europea che, dopo anni di spinta esclusivamente verso alcune tecnologie, nei quali peraltro si è ostacolato il mantenimento in piena efficienza e l’evoluzione, verso processi e prodotti low carbon, delle infrastrutture delle fonti fossili – da cui ancora dipendiamo largamente – alla prima vera difficoltà ha rivelato la fragilità dell’Europa nel garantire, a costi sostenibili, l’energia di cui imprese e consumatori hanno bisogno. Un’Europa che nasce come comunità energetica ma che, paradossalmente, non ha mai avuto una vera politica energetica continentale condivisa. Ancora oggi sull’energia è molto più divisa di quanto voglia far apparire, dovendo fare i conti con i tanti “egoismi nazionali” che puntano solo a ottenere un vantaggio competitivo sugli altri Paesi della Comunità.

La dimostrazione è il dibattito che si è aperto su un possibile embargo a gas e petrolio, finora lasciati fuori dalle sanzioni – a differenza del carbone che però preoccupa meno – o anche sull’imposizione di un tetto al prezzo del gas. In entrambi i casi sono arrivati i veti di quei Paesi che hanno più da perdere da una simile eventualità e pareri favorevoli da quelli che ne deriverebbero un danno limitato o addirittura dei vantaggi competitivi. Ad esempio, la Germania, per voce del suo ministro delle Finanze, Christian Lindner, ha detto, non senza ragione, che “nell’immediato rinunciare al petrolio e al gas russo non è possibile perché metterebbe a rischio la stabilità economica e sociale tedesca”. Sulla stessa linea il ministro delle Finanze austriaco, Magnus Brunner, che non è a favore di nuove sanzioni legate al gas perché, con una certa dose di realismo, ha affermato, “siamo molto dipendenti dal gas russo e penso che tutte le sanzioni che colpiscono noi più di quanto colpiscano la Russia non sarebbero giuste”. Molti altri Paesi sembrano invece più possibilisti essendo meno dipendenti. Contro l’ipotesi di un price cap invece ci sono le resistenze dei Paesi del Nord Europa, in particolare della Norvegia che con i proventi della vendita del gas alimenta uno dei fonti sovrani più ricchi del mondo e che, come ha rivelato il premier Draghi all’ultimo Consiglio europeo, in questi ultimi mesi ha registrato profitti per oltre 150 miliardi di dollari. Anche il Primo Ministro olandese, Mark Rutte, ha detto di non essere “del tutto d’accordo sul tetto al prezzo del gas, che ha i suoi pro e i suoi contro”. Vale ricordare che in Olanda, ad Amsterdam, ha sede l’hub TTF dove si formano i prezzi del gas per tutta l’Europa, al centro delle polemiche sulla speculazione. Per non parlare poi del dibattito sulla Tassonomia che alla fine, oltre al gas con una formula non del tutto chiara, ha ricompreso pienamente il nucleare su spinta della Francia visto che il Governo Macron ha annunciato la realizzazione di almeno sei nuovi reattori nucleari nei prossimi decenni, il primo nel 2035, garantendo a Edf, che ha stimato i costi in 50 miliardi di euro, risorse statali sufficienti.

Questa repentina crisi dei costi dell’energia, che, come detto, la guerra ha solo acuito, dovrebbe dunque farci riflettere sul perché ci ha colti così impreparati. Anzitutto, andrebbe tenuto sempre bene a mente che con l’energia non si scherza e non si improvvisa perché è una materia che ha bisogno di programmazione, lavoro, investimenti e non di facili slogan. La stessa Agenzia internazionale per l’energia (Aie), dopo anni in cui ha concentrato la sua attenzione solo sulla decarbonizzazione dimenticando gli altri due pilastri di un sistema energetico e cioè la sostenibilità economica e sociale e, appunto, la sicurezza energetica, solo recentemente, con un approccio un po’ estemporaneo e tardivo, è tornata a preoccuparsene con il rilascio a inizio marzo di 60 milioni di barili delle proprie scorte strategiche, cui ha fatto seguito l’annuncio di un nuovo probabile rilascio, da affiancare alla decisione degli Stati Uniti di  liberare ulteriori 180 milioni di barili. Ciò comunque non ha impedito al Direttore esecutivo dell’Aie, Fatih Birol, di rimarcare come “ora che le sfide immediate alla sicurezza energetica sono salite in cima all’agenda, è fondamentale evitare che l’aggressione della Russia distolga l’attenzione dai nostri sforzi per affrontare il cambiamento climatico”. Un’affermazione che, detta così, sembra voler rafforzare nell’opinione pubblica la convinzione che il tema sicurezza energetica è un semplice fatto congiunturale legato alla guerra, mentre dovrebbe essere ormai chiaro, soprattutto all’Europa, che è un fatto strutturale che va affrontato seriamente perché altrimenti si torna al carbone, come si sta ipotizzando, ma con le centrali di vent’anni fa, con buona pace della decarbonizzazione e delle emissioni inquinanti.

Anzitutto, andrebbe tenuto sempre bene a mente che con l’energia non si scherza e non si improvvisa perché è una materia che ha bisogno di programmazione, lavoro, investimenti e non di facili slogan. La stessa Agenzia internazionale per l’energia (Aie), dopo anni in cui ha concentrato la sua attenzione solo sulla decarbonizzazione dimenticando gli altri due pilastri di un sistema energetico e cioè la sostenibilità economica e sociale e, appunto, la sicurezza energetica, solo recentemente, con un approccio un po’ estemporaneo e tardivo, è tornata a preoccuparsene

A dimostrazione che senza sostenibilità economica e sociale ogni piano di miglioramento ambientale è destinato a regredire repentinamente. Occorre dunque rimettere seriamente al centro delle politiche europee il tema della sicurezza energetica senza esitazione.

La domanda a questo punto è: come si garantisce la sicurezza energetica mantenendo viva l’attenzione per gli obiettivi ambientali? Anzitutto, serve una vera programmazione con una visione chiara e di lungo termine, soprattutto in Italia dove per anni abbiamo detto no a tutto, persino alle rinnovabili. Occuparsene in emergenza è quanto di peggio si possa fare: ha un costo altissimo e comporta enormi contraddizioni. Ad esempio, il Ministro Cingolani ha detto recentemente che nell’arco di 24-36 mesi saremo in grado di fare a meno del gas russo che è un tempo incompatibile con l’attualità della guerra e la tenuta del nostro sistema industriale. Indicando, poi, alcune soluzioni che solo pochi anni fa sono state scartate o quanto meno fortemente rallentate: si parla di GNL dagli Stati Uniti per il quale servono nuovi rigassificatori, ma i progetti sono stati bloccati solo qualche anno fa; del raddoppio della TAP sulla cui realizzazione ci si è scontrati a lungo e che ora richiederebbe almeno un paio di anni. Potremmo continuare con molti esempi di “stop and go” che hanno caratterizzato la nostra politica energetica, bruciando risorse e non risolvendo in modo strutturale la necessità di avere energia a prezzi competitivi.

Ebbene, l’Europa negli ultimi anni su tutti questi aspetti ha fatto esattamente il contrario. La programmazione è solo apparente perché ogni due anni si rivedono e si anticipano gli obiettivi, alzando sempre più l’asticella e rendendo di fatto impossibile programmare i necessari investimenti in un’ottica decennale come invece richiede l’industria dell’energia. La diversificazione rimane poi un miraggio

Altro elemento importantissimo per ridurre i rischi di crisi energetiche è la diversificazione sia delle fonti che delle aree geografiche di provenienza, come le crisi petrolifere degli anni ’70 avrebbero dovuto insegnarci. Infine, occorre avere un approccio inclusivo che garantisca attraverso la neutralità tecnologica a tutte le fonti di energia pari dignità, in modo che partecipino ed esprimano il loro massimo potenziale nel processo di transizione ecologica, e non escluderne alcune a priori su basi sostanzialmente ideologiche.

Ebbene, l’Europa negli ultimi anni su tutti questi aspetti ha fatto esattamente il contrario. La programmazione è solo apparente perché ogni due anni si rivedono e si anticipano gli obiettivi, alzando sempre più l’asticella e rendendo di fatto impossibile programmare i necessari investimenti in un’ottica decennale come invece richiede l’industria dell’energia. La diversificazione rimane poi un miraggio ed è ostacolata da errate metodologie di calcolo con le quali si valuta il contributo che varie fonti apportano alla decarbonizzazione 

Quanto all’ultimo aspetto, l’inclusione e non l’esclusione di tutte le risorse, l’esempio più evidente è quello della filiera delle energie “tradizionali” che, per quanto impegnata da anni concretamente per la sfida della riduzione delle emissioni inquinanti e climalteranti, con risultati già significativi e prospettive promettenti, realistiche e raggiungibili, si trova marginalizzata se non esplicitamente esclusa da tutte le scelte e le strategie europee e nazionali. Con rischi di disinvestimento, di perdita di competenze, di perdita di posti di lavoro, di riduzione delle possibilità di mobilità per le persone e per le merci. Eppure, senza contrapposizioni e basandosi sempre sul principio della neutralità tecnologica, sono anni che tutta la filiera – oltre che una serie di importanti esperti – ripete la stessa cosa: puntare su tutto, altrimenti salta tutto.

Questo, a mio avviso, è il nodo centrale che va affrontato con assoluta priorità: occorre rimettere al centro del processo di decarbonizzazione la sostenibilità complessiva che parte dalla disponibilità di energia e dalla sicurezza energetica. Perché alla fine è la disponibilità di energia che determina lo standard di vita e già oggi di energia non ce n’è per tutti, ma solo per chi può pagarla, con disuguaglianze sempre più evidenti e meno sopportabili.