Muoversi 2 2022
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RINNOVABILI: ANCORA TROPPE LENTEZZE NELLE AUTORIZZAZIONI

RINNOVABILI: ANCORA TROPPE LENTEZZE NELLE AUTORIZZAZIONI

di Luca Aterini

Luca Aterini

Direttore di Greenreport

Il 24 febbraio 2022, l’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina ha segnato probabilmente un punto di non ritorno nella geopolitica dell’energia europea, e italiana in particolare.

Il conflitto è deflagrato dopo un anno di forti rincari nei mercati energetici, trainati verso l’alto già nel 2021 dalla ripresa economica seguita all’interrompersi delle misure di distanziamento sociale più gravose imposte nella fase più acuta della pandemia Covid-19. A una fase storica caratterizzata da basse scorte è seguita così una forte impennata nella domanda di combustibili fossili – gas in particolare – che ancora dominano il soddisfacimento dei nostri consumi primari di energia; al contempo, la Russia ha tenuto artificialmente basse le forniture di gas dirette verso l’Europa, tagliando l’afflusso di almeno un terzo rispetto al normale.

Un insieme di concause che, a partire dalla seconda metà del 2021, ha portato a un drastico incremento nei prezzi del gas e dell’energia elettrica – sia per i cittadini sia per le imprese, energivore in particolare – stimato in Italia rispettivamente in un +460% e +360%

Un insieme di concause che, a partire dalla seconda metà del 2021, ha portato a un drastico incremento nei prezzi del gas e dell’energia elettrica – sia per i cittadini sia per le imprese, energivore in particolare – stimato in Italia rispettivamente in un +460% e +360%. Poi è scoppiata la guerra alle porte dell’Unione europea, scatenata dal principale Paese da cui dipendiamo per l’import di combustibili fossili, e le cose si sono complicate ulteriormente.

La Russia è infatti il primo fornitore nazionale di carbone (soddisfa il 52% del fabbisogno), il terzo di petrolio (12%) e ancora il primo di gas (40%). Come risultato, un quarto di tutti i consumi italiani di energia dipendono da un autocrate come Vladimir Putin, che è comunque in buona compagnia nella top ten di Paesi fatta in larga parte da Stati politicamente instabili e/o con problemi più o meno gravi sotto il profilo del rispetto dei diritti umani.

In un simile contesto servono scelte in grado di dare risposta a criticità irrisolte da decenni per la sicurezza energetica europea ed italiana, oggi più a rischio che mai.

Finora però dal Governo Draghi sono arrivate risposte parziali.

Nel corso del  Consiglio dei ministri del 18 marzo, il Governo ha individuato altri 4,4 miliardi di euro – che si aggiungono ai circa 16 miliardi impegnati dalla scorsa estate – per calmierare il costo dell’energia, ma i rincari che ancora gravano sulla bolletta di cittadini e imprese suggeriscono la necessità di ulteriori interventi a carico dello Stato, con particolare attenzione alle fasce sociali più deboli e (dunque) una maggiore progressività nell’impatto delle misure fiscali.

Di fronte ad una crisi energetica di dimensione prevalentemente europea, urgono al contempo risposte adeguate a livello continentale, compresa la possibilità di nuove emissioni di debito comune. Nel Consiglio europeo del 24-25 marzo, i Paesi europei hanno concordato di collaborare su base volontaria per acquisti congiunti di gas – godendo così di un maggior peso contrattuale – e raggiunto un’intesa sugli stoccaggi comuni, ma non quella su un tetto europeo ai prezzi del combustibile fossile, nonostante l’opportuno pressing del premier Draghi.

C’è grande fermento anche sul fronte delle diversificazioni nell’import di gas, con la UE a dichiarare che si affrancherà quanto prima dalla dipendenza dall’import di combustibili fossili russi; il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, sostiene che l’Italia può azzerare l’import di gas russo in un orizzonte minimo di circa tre anni.

C’è grande fermento anche sul fronte delle diversificazioni nell’import di gas, con la UE a dichiarare che si affrancherà quanto prima dalla dipendenza dall’import di combustibili fossili russi; il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, sostiene che l’Italia può azzerare l’import di gas russo in un orizzonte minimo di circa tre anni. Il dato di fondo è come garantire il gas naturale di cui l’Italia ha bisogno: si tratta in tutto di 76 miliardi di metri cubi nel 2021, pressappoco il dato medio degli ultimi vent’anni, di cui circa 30 dalla Russia

Il dato di fondo è come garantire il gas naturale di cui l’Italia ha bisogno: si tratta in tutto di 76 miliardi di metri cubi nel 2021, pressappoco il dato medio degli ultimi vent’anni, di cui circa 30 dalla Russia E oggi a scarseggiare sembra la materia prima oggetto d’importazione (il gas naturale) più che le infrastrutture per trasportarla nel nostro Paese – gasdotti o rigassificatori – che neanche lavorano a pieno regime.

L’incremento di importazioni del gas algerino, con le infrastrutture attuali, è ipotizzabile sino a 9 miliardi di metri cubi l’anno; dal Tap attuale vi può essere un aumento di circa 1,5 miliardi di metri cubi l’anno che, con alcuni correttivi, in 45 mesi potrebbero diventare 10 miliardi di metri cubi/anno.

I rigassicatori presenti lungo lo Stivale ci potrebbero dare circa 6 miliardi di metri cubi annuali in più, da subito. Ne servono altri? Potrebbe aver senso discuterne solo all’interno di un approccio di vera transizione ecologica, che individui nei rigassificatori un margine di sicurezza per l’approvvigionamento di gas mentre si installano gli impianti necessari per le rinnovabili, ma di fatto queste ultime non riescono a decollare. Se, infatti, il ministro Cingolani sottolinea spesso la necessità di installare circa 8 GW di impianti rinnovabili l’anno, in modo da conseguire gli obiettivi climatici indicati dalla UE, e di aver fatto «tutto ciò che era in nostro potere per preparare la strada» a questo sviluppo, di fatto le installazioni stanno proseguendo al ritmo di circa 1 GW l’anno, tanto che larga parte degli incentivi destinati alle rinnovabili dal decreto “Fer 1” neanche viene assegnato; anche nel 7° bando gestito dal Gse, su un contingente incentivabile pari a 4.825 MW, le richieste d’incentivo in posizione utile si sono fermate a circa 1.470 MW. A mancare non è certo la volontà delle imprese di realizzare impianti – a fine 2021 le richieste di allaccio a Terna sono arrivate a circa 168 GW per solo eolico e fotovoltaico – ma il rilascio delle relative autorizzazioni. 

Se solo si bloccassero i relativi iter autorizzativi, secondo Elettricità Futura si potrebbero realizzare 20 GW di nuovi impianti rinnovabili l’anno (permettendo contestualmente di ridurre l’import di 5 mld mc di gas annuo, ogni anno), mentre più a lungo termine (2030) le potenzialità del biometano nazionale potrebbero passare dagli attuali 0,7 miliardi di metri cubi l’anno a 10. E tutto questo senza considerare, ad esempio, i risparmi legati alle indispensabili misure di risparmio ed efficientamento energetico.