Muoversi 3 2021
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TANTE ANCORA LE INCOGNITE SULLA STRADA DELLA RIPRESA

TANTE ANCORA LE INCOGNITE  SULLA STRADA DELLA RIPRESA

di Stefania Tomasini


Stefania Tomasini

Prometeia Head of Economic

Analysis and Forecasting

A più di un anno dallo scoppio della pandemia, il progresso nella campagna di vaccinazione e l’arrivo della bella stagione stanno alimentando la speranza, se non addirittura l’euforia, di una sua fine imminente. Oltre a vedere la luce, si diffonde la percezione di essere oramai fuori dal tunnel. Un tunnel rappresentato dalla peggiore recessione mai registrata in tempi di pace, con una caduta di PIL del 3,9% a livello globale, dell’8,9% in Italia.

Una serie di indicatori fa da supporto a questa percezione. Il clima di fiducia delle famiglie e delle imprese è oramai tornato ai livelli pre-crisi e, in talune componenti, li ha anche superati. La produzione nelle costruzioni, sospinta dagli incentivi ma anche da un risparmio delle famiglie che, cresciuto durante la crisi, si è riversato sul mercato immobiliare, era già in marzo superiore a tali livelli del 14%; la produzione industriale li ha recuperati in aprile quando, con un balzo dell’1,8%, ha sorpreso in positivo tutti gli analisti. Anche l’occupazione, che pure strutturalmente reagisce con ritardo all’andamento dell’attività economica, nei primi mesi dell’anno ha mostrato segnali di inversione di tendenza, specialmente nella componente dei contratti a termine. Le ore autorizzate di Cassa Integrazione Guadagni stanno scendendo velocemente.

In effetti, i principali previsori stanno, uno dopo l’altro, rivedendo al rialzo le stime per l’anno in corso, dall’IMF alla Commissione Europea, alla Banca d’Italia. Anche Prometeia, che pure con un +4,7% poteva essere considerata ottimista fino a qualche mese fa, ritoccherà leggermente verso l’altro le proprie stime.

Dunque tutto terminato? Se dal punto di vista dell’uscita dalla recessione da pandemia riteniamo che l’aumentata fiducia sia ben riposta, vi sono ancora molti snodi di questa eccezionale fase storica densi di incognite, il cui esito sarà cruciale per il futuro dell’economia italiana e non solo.

Guardando al nostro paese, il principale snodo è dato dalla capacità di implementare le spese finanziate coi fondi europei attraverso il Next Generation EU (NGEU). Come noto, innovazione, coesione sociale e territoriale, ambiente sono gli obiettivi privilegiati che il piano si prefigge di raggiungere attraverso il programma di rilancio temporaneo di 750 miliardi di euro (360 miliardi di euro di prestiti e sovvenzioni a fondo perduto fino a 390 miliardi di euro), pari al 5% del Pil dell’Unione, finanziato con prestiti comuni europei e una allocazione dei trasferimenti concepita in modo da dare maggiore sostegno ai Paesi più vulnerabili e più colpiti dalla crisi. L’Italia risulterebbe il paese a beneficiarne in misura maggiore, con oltre 200 miliardi di euro, l’11,5% del Pil 2019, di cui circa 80 miliardi a fondo perduto e i rimanenti in prestiti.

L’accesso ai fondi è subordinato alla predisposizione dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR), che dettagliano i progetti di spesa, con precisi obiettivi e traguardi intermedi. Il PNRR italiano, appena approvato dalla Commissione Europea, programma di accedere al totale dei fondi potenzialmente disponibili, destinandone circa il 40% alla transizione verde e il 27% a quella digitale.

Con l’uscita dall’emergenza sanitaria non si potrà che tornare verso politiche di rientro dell’indebitamento, in un contesto che nel medio termine certamente vedrà una qualche ridefinizione delle regole del Patto di Stabilità e Crescita, da tempo in discussione, con politiche monetarie che dovranno rientrare dalle condizioni di eccezionalità degli ultimi anni

Si tratta dunque di un programma vasto e importante. Sia in termini di risorse, poiché la spesa media annua coinvolta nel periodo 2021-2026 si avvicina al 2% del Pil, sia, e soprattutto, in termini di tipologia di spesa e di obiettivi posti. Gli investimenti sono privilegiati e sono destinati alla transizione tecnologica, all’ammodernamento delle strutture logistiche, al miglioramento della sostenibilità ambientale, al rafforzamento delle strutture sanitarie e del sistema educativo e di ricerca: spese dunque per infrastrutture a cui può essere associato un alto impatto sulle potenzialità di crescita del Paese.

Parte integrante del PNRR è un ambizioso piano di riforme strutturali, che spazierebbe dalla rimozione delle lentezze e varie forme di inadeguatezza dell’operare della PA, al potenziamento dei settori della sanità e dell’istruzione. Tale piano muove dalla consapevolezza che, all’uscita dalla peggiore recessione della sua storia moderna, l’Italia continuerà a dover fare i conti con problemi strutturali nei quali è intrappolata da quasi vent’anni, problemi che l’hanno condannata a una crescita insoddisfacente, specchio della debole crescita della produttività.

Fondi del NGEU e riforme rappresentano dunque un fondamentale strumento per uscire dalla crisi pandemica, ma sono forse ancora più importanti in una prospettiva di medio termine, come occasione per il nostro paese di intraprendere quell’ammodernamento delle infrastrutture, materiali e immateriali, da molto tempo frenato da vincoli strutturali e da carenza di risorse.

Non solo: è ben noto che il tema del rilancio della crescita è una delle condizioni per rendere sostenibile l’altro fattore di debolezza strutturale della nostra economia, ossia il debito pubblico, enormemente accresciuto dalla crisi. Con l’uscita dall’emergenza sanitaria non si potrà che tornare verso politiche di rientro dell’indebitamento, in un contesto che nel medio termine certamente vedrà una qualche ridefinizione delle regole del Patto di Stabilità e Crescita, da tempo in discussione, con politiche monetarie che dovranno rientrare dalle condizioni di eccezionalità degli ultimi anni.

E ciò ci porta a un altro snodo fondamentale che condiziona il quadro prospettico, rappresentato dall’ipotesi che i tassi di interesse rimarranno molto bassi ancora a lungo, a sua volta condizionato alla previsione di tassi di inflazione mediamente inferiori ai target delle Banche centrali, della BCE e, soprattutto, della Fed.

È l’ipotesi sulla quale basiamo le nostre previsioni, che vedono quindi la possibilità di un rimbalzo del PIL italiano, dopo il -8,9% del 2020, sia quest’anno sia l’anno prossimo, su ritmi mediamente superiori al 4,5% e tali da consentire di recuperare i livelli pre-crisi nella seconda metà del 2022.

Dunque tutto terminato? Se dal punto di vista dell’uscita dalla recessione da pandemia riteniamo che l’aumentata fiducia sia ben riposta, vi sono ancora molti snodi di questa eccezionale fase storica densi di incognite, il cui esito sarà cruciale per il futuro dell’economia italiana e non solo

Tuttavia, affinché queste premesse favorevoli possano tradursi in realtà, sono molti i nodi da affrontare e le incertezze nel medio termine si moltiplicano. L’uscita dalla crisi pandemica sarà comunque irta di ostacoli, con i suoi strascichi di maggiore incertezza e fragilità psicologica ed economica, con trasformazioni nelle abitudini che tenderanno a divenire permanenti, con i costi di dover avviare una transizione climatica e che, assieme alle trasformazioni indotte dal Covid-19, renderanno necessarie la riallocazione e la riconversione di molte imprese e lavoratori, in una società che invecchia e che dovrà favorire la partecipazione al mercato del lavoro di fasce via via maggiori della sua popolazione, con un debito pubblico aumentato. La crescita della produttività continua a essere e sarà sempre più la chiave di volta per rendere queste trasformazioni compatibili e gestibili.
Con il vantaggio di avere uno strumento, il NGEU che, se ben utilizzato, potrà consentire di imprimerle una svolta.