Muoversi 2 2021
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L’OPEC RIGUADAGNA LA SCENA

L’OPEC RIGUADAGNA LA SCENA

di Azzurra Pacces


Azzurra Pacces

Redattrice

Staffetta Quotidiana

Il prossimo 20 aprile sarà una ricorrenza storica per le quotazioni del petrolio. Sarà passato esattamente un anno dal giorno in cui il Wti sprofondò sotto zero, chiudendo la seduta a -37,63 dollari/barile, dopo aver toccato punte intraday a -40. Quel giorno molti festeggiarono la tanto attesa fine dell’era del barile di petrolio, messo in ginocchio dalla pandemia, dal blocco di tutti i mezzi di trasporto, dal congelamento delle economie, dal rigido rispetto della tanto odiosa quanto necessaria indicazione “restate a casa”. Gli slogan di quei giorni erano: “in Texas il petrolio non lo vuole più nessuno”; “se ritiri un barile di petrolio, ti regalano 40 dollari”. Slogan falsi: il prezzo negativo – come tutti gli addetti del settore sanno bene – non fu mai utilizzato per prezzare gli scambi di petrolio. Si trattò di un semplice errore tecnico su circuiti elettronici andati in tilt a causa deN’avvicinarsi della scadenza di maggio per un contratto futures sul WTI molto sottile (poco scambiato). Incidente abilmente gestito dalle autorità che vigilano sui mercati Usa. Però il messaggio che arrivò alle masse fu in effetti proprio questo: di petrolio non c’è più bisogno. A un anno dallo scoppio della pandemia e delle conseguenti incertezze, è possibile dire che, nonostante il rispetto delle regole da parte della maggioranza della popolazione, il bilancio è negativo: sono morte milioni di persone; viaggiare o spostarsi è complicato e fa ancora tanta paura; l’economia mondiale e il turismo sono in ginocchio; l’inflazione spaventa; nuovi equilibri si disegnano e nuove superpotenze sorgono, sulla base di una cartina geopolitica vincolata agli stabilimenti delle case farmaceutiche. E il petrolio? In barba a tutte le facili Cassandre, è tutt’altro che morto. Nella petrolchimica si usa quanto se non più di prima, per le mascherine filtranti, i guanti monouso, i disinfettanti a base di etilene, le siringhe usa e getta dei vaccini e gli imballaggi delle spedizioni e.commerce, aumentate a livelli record. E il gelo in Texas ha dimostrato che è meglio affidarsi a sistemi ibridi di generazione di energia elettrica, che possano funzionare anche in caso di eventi naturali avversi. La vera spina nel fianco del petrolio è l’assenza di mobilità, che ha compresso i consumi di carburanti e jet fuel in tutto il mondo.

Ma nonostante questa contrazione, evidente soprattutto nei paesi Ocse, il mercato del petrolio rispecchia ancora nitidamente quello che accade nel mondo dal punto di vista macroeconomico e geopolitico. Anzi – meglio – il mercato del petrolio è una bussola accurata per capire anzitempo cosa sta cambiando nell’economia mondiale e negli equilibri dello scacchiere internazionale. Con Big Oil e Big Pharma che viaggiano oggi più che mai concettualmente insieme, entrambe tanto odiate quanto necessarie per il benessere della popolazione, per mantenere quelle aspettative di vita cui la maggioranza degli abitanti di questo Pianeta è abituata, spesso date per scontate.
Che il petrolio sia necessario – nonostante la pandemia, forse proprio a causa della pandemia – lo dicono i dati,non solo il prezzo che da quel meno 40 è risalito di giorno in giorno, fino a sfiorare i 70 dollari al barile a metà marzo scorso. Secondo le stime contenute nell’Oil Market Report di marzo dell’Agenzia internazionale dell’Energia, l’organismo Ocse che si occupa di energia a 360 gradi, dopo aver raggiunto nel 2019 il record di 100 milioni di barili/giorno, nel secondo trimestre del 2020 la domanda mondiale di petrolio è scesa a 83 milioni. Nel suo acme, la pandemia ha contratto la richiesta mondiale di petrolio di 17 milioni barili/giorno: 10 milioni in meno nei paesi Ocse; 7 milioni in meno in quelli non-Ocse. Poi. da quel minimo, la domanda mondiale è risalita progressivamente a 92,67 milioni nel terzo trimestre e 94,73 milioni nel quarto. Per poi ridiscendere leggermente nel primo trimestre di quest’anno a circa 94 per quella recrudescenza del virus che oramai è nota a tutti come l’esplosione delle varianti, in concomitanza con la terza ondata. Ma le previsioni sulla domanda per il futuro sono di crescita: sempre secondo le previsioni Aie, dovrebbe risalire già quest’anno a 96,5 milioni barili/giorno, per poi crescere a 99,4 nel 2022 e tornare sopra 100 nel 2023.

Ma nonostante questa contrazione, evidente soprattutto nei paesi Ocse, il mercato del petrolio rispecchia ancora nitidamente quello che accade nel mondo dal punto di vista macroeconomico e geopolitico. Anzi - meglio - il mercato del petrolio è una bussola accurata per capire anzitempo cosa sta cambiando nell’economia mondiale e negli equilibri dello scacchiere internazionale

Al di là delle previsioni, per definizione sempre aleatorie, se di fronte ai recenti sconvolgimenti le quotazioni del petrolio hanno mantenuto una certa stabilità, (fatta eccezione per quel terribile 20 aprile) è senz’altro merito del lavoro fatto in questi ultimi 12 mesi dai Paesi produttori raggruppati in quell’entità internazionale chiamata in gergo “Opec Plus” oppure “Opec allargata”, ma che un nome vero e proprio non ce [’ha. così come non ha uno statuto. È piuttosto un patto d’acciaio tra Russia e Arabia Saudita, assieme agli altri paesi firmatari della Dichiarazione di Cooperazione nel 2017 (Algeria, Angola, Congo, Emirati Arabi Uniti, Gabon, Guinea Ecuadorian. Iraq, Kuwait, Nigeria, Azerbaijan, Bahrain, Brunei, Guinea Equatoriale, Kazakhstan, Malesia, Messico, Oman, Sudan e Sud Sudan; con Iran, Libia e Venezuela esentati dalle quote pur facendo parte dell’Opec). L’Opec Plus con una disciplina ferrea ha contenuto l’offerta petrolifera, consentendo alle scorte petrolifere di tornare alla normalità e alla logistica di respirare.

Con un magistrale colpo di reni, l’Opec Plus riuscì nel miracolo di ridare stabilità al mercato del petrolio e di riportare lentamente i prezzi ai livelli pre-pandemia, tanto che solo qualche settimana fa alcuni esperti si sono interrogati sulla possibilità di un superciclo del petrolio, ovvero una lunga fase rialzista prolungata causata dalla scarsità degli investimenti upstream

Il 12 aprile dell’anno scorso, dopo una lunga serie di negoziati, appoggiati anche dal G20 energia, l’Opec Plus decise di ritirare dal mercato ben 9,7 milioni di barili al giorno a partire dal 1° maggio, per un periodo iniziale di due mesi (che poi fu prolungato), prima di tornare ad aumentare progressivamente l’offerta, nell’ambito di un accordo che si protrarrà fino ad aprile 2022, con serrati monitoraggi mensili. Aprile scorso fu il momento peggiore per il prezzo del petrolio, col Brent a quota 30 e il Wti in caduta libera, messo in ginocchio dalle cisterne piene, dal fallimento delle compagnie dello shale oil, dal costo dei noli schizzato alle stelle perché anche le petroliere servivano per lo stoccaggio. La confusione era tanta, gli operatori erano nel panico. Con un magistrale colpo di reni, l’Opec Plus riuscì nel miracolo di ridare stabilità al mercato del petrolio e di riportare lentamente i prezzi ai livelli pre-pandemia, tanto che solo qualche settimana fa alcuni esperti si sono interrogati sulla possibilità di un superciclo del petrolio, ovvero una lunga fase rialzista prolungata causata dalla scarsità degli investimenti upstream. Un’ipotesi che non convince l’Aie e neanche la stessa Opec Plus, che lotta ogni mese per la stabilità di un mercato alle prese con mille fattori destabilizzanti, che spaziano dagli incidenti allo stretto di Suez, alle ondate anomale di freddo, all’arrivo di nuove varianti del virus letale, all’alta volatilità del cambio euro dollaro, condizionato a sua volta da politiche valutarie, economiche e sociali di Stati Uniti e Ue. Un lavoro che richiede all’Opec Plus massima concentrazione e che non può e non deve piegarsi ai giochi speculativi dell’alta finanza.

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