Muoversi 4 2023
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LA CENTRALITÀ DELLE BIORAFFINERIE NELLA TRANSIZIONE ENERGETICA

LA CENTRALITÀ DELLE BIORAFFINERIE NELLA TRANSIZIONE ENERGETICA

di Salvatore Carollo

La quarta puntata de “L’energia spiegata”, curata da Salvatore Carollo, ci spiega perché le bioraffinerie saranno centrali nel processo di transizione, soprattutto se l’Europa dovesse accogliere la richiesta italiana di considerare i biocarburanti “carbon neutral”. Una sfida gigantesca che offre l’opportunità unica di dare vita ad un modello da esportare. Come ai suoi tempi fece Mattei.

Salvatore Carollo

Oil and Energy Analist e Trader

Mentre in Europa e in Italia si “fantastica” sulla fine delle fonti fossili, la domanda mondiale di petrolio e gas continua a salire facendo registrare mensilmente un nuovo record.

Timmermans ha deciso di sparire prima che i contraccolpi delle sue strategie cominciassero a farsi sentire sul sistema produttivo europeo. L’Europa, dopo il voto del Parlamento sulla fine dei motori a combustione interna è sembrata, nelle varie discussioni e decisioni a livello di Consiglio e di Commissione, alla ricerca di vie di uscita onorevoli che consentano di allontanare nel tempo la scadenza del 2035 e di aprire la porta a soluzioni alternative.

Gli idrocarburi ed i motori a combustione interna sono assi portanti della nostra economia e lo saranno ancora per qualche decennio. Occorre quindi saper introdurre in questi settori forti elementi di innovazione tecnologica che consentano di ridurre drasticamente il livello delle emissioni e di creare modelli produttivi non solo validi per noi, ma che siano anche esportabili verso il resto del mondo

In particolare, la Germania ha presentato e si è fatta approvare la soluzione che prevede il mantenimento dei motori a combustione interna se alimentati con e-fuel. Tutti sanno che la loro disponibilità avverrà in tempi lunghi e che, ad oggi, non ci sono soluzioni tecnologiche già operative ed in fase di industrializzazione. Ma la Germania è la Germania ed il suo peso si è fatto sentire.

L’Italia, dal lato suo, ha portato avanti la proposta di inserire i biocombustibili fra quelli da mantenere in vita. Ha trovato molte più resistenze di quella della Germania, ma, comunque, ha fatto sì che la partita rimanesse aperta per il futuro.

E qui veniamo al punto della nostra politica energetica ed industriale.

Il perno del nostro sistema energetico sono stati gli idrocarburi, petrolio e gas con un contributo marginale dell’idroelettrico. Negli ultimi decenni, grazie al pesante intervento finanziario pubblico, abbiamo sviluppato una quota di solare ed eolico. Il nucleare, dove già negli anni ’70 eravamo all’avanguardia in Europa, è morto e sepolto, nonostante i tentativi di riaprire una discussione di merito non ideologica.

Con una certa dose di realismo dovremmo cercare di capire che la transizione energetica del nostro paese deve partire dalla consapevolezza che la nostra dipendenza dagli idrocarburi è forte e strutturale, che ci piaccia o meno.

Continuiamo a consumare almeno 60 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi all’anno, di cui 7-8 milioni sono di benzine, 5 milioni di jet fuel per gli aerei, 24 milioni di gasolio, più i feedstock per l’industria chimica. E sarà così almeno nei prossimi 10-20 anni. Tutte le riduzioni di cui si prevede di usufruire grazie alle rinnovabili (o auto elettrica) portano ad una variazione non sostanziale di questi numeri.

Il quadro odierno della raffinazione italiana ci consente di sopravvivere e di garantire l’approvvigionamento dei prodotti finiti al nostro mercato nazionale. Le raffinerie a ciclo tecnologico più semplice hanno bisogno di effettuare delle ottimizzazioni con semilavorati provenienti dall’esterno per riuscire a vendere prodotti in linea con le specifiche europee.

Come del resto avviene ormai da due decenni negli USA.

Né si può pensare, nel quadro generale del paese, dove si ritiene che il petrolio debba scomparire dall’orizzonte energetico durante il prossimo decennio, che operatori possano pensare ad investimenti strutturali di lungo periodo.

Se il clima dovesse cambiare e se la proposta italiana in Europa dovesse essere accettata, il nostro sistema di raffinazione si troverebbe ad affrontare una sfida gigantesca, che richiederebbe interventi di politica industriale, sostegni finanziari e fiscali. Ad oggi, nessuno si pone esplicitamente questi problemi. Sono stati espressi consensi alla posizione italiana sui biocombustibili, ma, forse per scetticismo o pessimismo, non si è effettuata alcuna campagna per sostenere una politica nuova in questa direzione.

Il nostro ingresso nel settore dei biocombustibili è avvenuto, almeno all’inizio, quasi per caso, per rispondere all’impatto sociale della chiusura degli impianti di raffinazione, soprattutto in aree dove la riduzione di posti di lavoro sarebbe risultata dirompente.

In concreto, due raffinerie che producevano 8 milioni di tonnellate/anno di prodotti petroliferi sono state riconvertite in impianti che al più producono soltanto 800 mila tonnellate/anno. Si è ridotta la capacità del 90%, da 8 milioni a 800 mila tonnellate, ma il messaggio sociale che è passato è stato quello della evoluzione e lo sviluppo del nostro sistema di raffinazione verso la tecnologia del futuro. A parte la capacità di produzione, si tratta comunque e sicuramente di un elemento positivo, su cui continuare a lavorare.

Se dovessimo fare fronte alla sfida che l’Italia ha lanciato in Europa, occorrerà un piano integrato fra industria di raffinazione e settore agricolo per garantire le biomasse per l’alimentazione degli impianti che dovremo costruire.

Questo sembra essere uno dei punti di caduta della nostra strategia energetica. Gli idrocarburi ed i motori a combustione interna sono assi portanti della nostra economia e lo saranno ancora per qualche decennio. Occorre quindi saper introdurre in questi settori forti elementi di innovazione tecnologica che consentano di ridurre drasticamente il livello delle emissioni e di creare modelli produttivi non solo validi per noi, ma che siano anche esportabili verso il resto del mondo.

Occorrerebbero investimenti importanti che nessun imprenditore privato o azienda vuole o è in grado di sostenere nel clima politico di incertezza e di mancata condivisione delle strategie di lungo periodo. Non dimentichiamo che, ufficialmente, il 2035 rimane una deadline temporale oltre il quale gli investimenti nel settore petrolifero dovrebbero praticamente sparire

Una simile scelta strategica chiara e determinata sarebbe la vera base di quel “Piano Mattei” di cui tanto si parla. Le alleanze con i vari paesi produttori devono essere basate sulla capacità di offrire loro modelli energetici compatibili con la loro economia e con le fonti energetiche di cui dispongono. Pensare di portare in Africa il modello dell’auto elettrica sembra, non solo irrealizzabile, ma anche irrisorio. Mattei, a suo tempo, intraprese delle alleanze con i vari paesi produttori di idrocarburi, ai quali ha consentito di raddoppiare la quota di profitti e revenues finanziarie provenienti dalla produzione e vendita dei loro idrocarburi. Ha aperto alla Russia, nei momenti più drammatici della guerra fredda, la via all’esportazione di gas verso l’Europa.

In tal modo, non solo ha portato in Italia energia a basso costo, ma ha fatto in modo che le opere e le infrastrutture nei vari paesi fossero realizzate dalle aziende italiane, che lui stesso si impegnò a far nascere e crescere.

Il tutto girava intorno allo sviluppo in Italia di una robusta industria della raffinazione, che consentiva non solo di portare a casa il greggio prodotto nei vari paesi, ma di esportare benzina e gasolio verso i mercati più remunerativi del Nord America e del Nord Europa. Senza citare l’esportazione di impianti e di know how tecnologico nazionale verso i paesi produttori.

Se diamo un’occhiata al patrimonio nazionale di tecnologie di cui già disponiamo e che potremmo sviluppare nella giusta scala industriale, ce ne sono diverse che potrebbero non solo farci tornare ad essere un riferimento centrale a livello europeo, ma che potrebbero consentire al dialogo con i paesi produttori (africani e asiatici) di fare un salto di qualità. Pensiamo appunto alle tecnologie dei biocombustibili e a quelle di “Gas to Liquid” (GTL). L’impianto EST della raffineria di Sannazzaro è stato un esempio di avanguardia in questo settore.

Il quadro internazionale intorno a noi si sta complicando terribilmente. Le recenti decisioni dell’Opec Plus e dei BRICS sembrano delineare un crescente conflitto con i paesi del Nord Atlantico che negli ultimi tre decenni hanno avuto il controllo del prezzo del petrolio attraverso la finanziarizzazione dei mercati energetici, relegando i paesi produttori ad un ruolo assolutamente marginale. Si parla oggi, abbastanza esplicitamente, di nuovi benchmark diversi dal Brent e di valute di pagamento diverse dal dollaro.

Ridefinire il valore strategico del nostro sistema di raffinazione, ovviamente ripensato con le integrazioni tecnologiche indispensabili nel nuovo contesto ambientale, potrebbe consentirci di dare respiro alla nostra strategia energetica per garantirci livelli di approvvigionamento adeguati e sicuri nel medio lungo periodo.

Occorrerebbero investimenti importanti che nessun imprenditore privato o azienda vuole o è in grado di sostenere nel clima politico di incertezza e di mancata condivisione delle strategie di lungo periodo. Non dimentichiamo che, ufficialmente, il 2035 rimane una deadline temporale oltre il quale gli investimenti nel settore petrolifero dovrebbero praticamente sparire.

Purtroppo, non sarà così, ma saremo obbligati ad arrivare alla vigilia di grandi crisi impreparati ed “autodistrutti”. Subiremo lo tsunami dei prezzi dei prodotti petroliferi, così come abbiamo dovuto subire quello dei prezzi del gas nel 2022. Mentre per le energie rinnovabili sono stati abbandonati i criteri della economicità e si è sostenuto con interventi pubblici massicci lo sviluppo di queste fonti, si sta facendo crollare un sistema industriale essenziale e vitale per il futuro degli approvvigionamenti del paese.

Non possiamo limitare la cooperazione con i paesi africani a progetti che prevedono quasi esclusivamente lo sviluppo di piantagioni di arbusti di ricino per la produzione di quei feedstock che mancano alle nostre bioraffinerie. I paesi produttori vedrebbero questi progetti con scetticismo e, forse, ostilità. Occorre sviluppare le nostre tecnologie e prevedere la loro esportazione nei paesi con cui vogliamo dialogare. Anche loro hanno bisogno di energia più pulita.

Lo tsunami della speculazione del prezzo del gas che ci ha colpito nel 2022 dovrebbe insegnarci che le crisi energetiche sono sempre dietro l’angolo ed esplodono senza particolari e chiari preavvisi. Ci eravamo illusi che l’ancoraggio del nostro sistema di prezzi al TTF fosse una scelta “smart”. Invece siamo stati obbligati a svegliarci e capire che ci muoviamo in una situazione di grande fragilità. Diciamolo chiaro: non abbiamo finora trovato una alternativa affidabile e stabile al sistema di approvvigionamento del passato. Il GNL (gas liquido) non garantisce la stessa continuità, lo stesso prezzo e lo stesso impatto ambientale.

Occorre una riflessione condivisa sulle politiche di approvvigionamento e sulla politica estera che oggi non sembra essere all’ordine del giorno. Non aspettiamo una crisi equivalente per l’approvvigionamento dei prodotti petroliferi.  Presentiamoci agli appuntamenti europei con progetti industriali alternativi e concreti che rafforzino il nostro sistema industriale ed energetico e che ci proteggano dalle crisi che si profilano all’orizzonte. Un “Piano Mattei” non può che partire da qui.